Fin dal IV sec. è attestato in Oriente l'uso di accostare il saluto di Gabriele: «Ave, Maria, gratia plena,
Dominus tecum» (Lc 1,28) all'esclamazione di Elisabetta: «Benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui» (Lc 1,42).
In Occidente, sono gli antifonari medievali ad informarci che tali versetti erano cantati come antifona d'offertorio nella messa del mercoledì delle Tempora di dicembre e della IV domenica di Avvento,
come pure nella festività dell'Annunciazione il 25 marzo.
Varcando il confine della liturgia, dal XII sec. l'Ave Maria (fino a «benedictus fructus ventris tui») divenne una delle preghiere insegnate a tutti i cristiani.
Nel diffonderne la recita, accanto alla predicazione popolare, contribuirono grandemente i racconti di prodigi e favori spirituali e materiali ottenuti grazie a questa preghiera (le raccolte dei miracoli di "Notre Dame",
la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine).
Dante Alighieri († 1321), nell'empireo, la sente intonare dall'arcangelo Gabriele e recitare in coro da tutti i beati (cfr. Paradiso, XXXII, 94ss).
Il testo più arcaico della preghiera, compresa la supplica Santa Maria, è stato individuato nell'aggiunta eseguita a mano sul dipinto dell'Annunziata di Firenze da fra Giovanni Giorgi († 1391): «Ave,
dulcissima et immaculata virgo Maria: gratia plena, dominus tecum: benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui Jesus.
Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis nunc et in hora mortis. Amen».
Nel XV sec. si stabilizzò la formula che conosciamo ancora oggi e l'uso di pregarla a conclusione della giornata (da qui il suono serale della campana detto Ave Maria).
C'è chi pensa che l'uso di recitarla prima del sonno notturno abbia favorito l'aggiunta finale: «et in hora mortis nostrae».
S. Pio V la introdurrà nel Breviario Romano (1568), prescrivendola dopo il Pater «ante Matutinum et omnes Horas praeterquam ad Completorium».
(Dizionari san Paolo. Mariologia)