Febbraio 1. Non c'è angoscia più grande di quella
d'una madre che abbia perduto il suo
unico figlio: e unico figlio dell'anima è l'amore di Dio,
senza del quale la fede è morta.
Piangi dunque, o cristiano, questa perdita immensa.
2. Oggi i fedeli cristiani portano in processione
nel tempio la candela accesa, che è
composta di cera e di stoppino. Nella fiammella è
simboleggiata la divinità, nella cera
l'umanità, nello stoppino l'acerbità della passione
del Signore. In questi tre elementi consiste
la vera penitenza: nel fuoco l'ardore della
contrizione, che sradica le radici di tutti i vizi;
nella cera la confessione del peccato, che "fonde
come la cera al fuoco", nello stoppino l'asprezza
dell'espiazione.
3. La riconciliazione del peccatore con Dio
si può chiamare uno sposalizio dello Spirito Santo con
l'anima pentita. Da tale unione
germoglia il cristiano nuovo, erede della vita eterna.
4. Il contadino benda gli occhi all'asino e lo
batte con il bastone, e così l'asino trascina
intorno una mola di grande peso. Il contadino
è il diavolo e il suo asino è l'uomo mondano.
Il diavolo gli chiude gli occhi quando gli acceca
l'intelletto e la ragione con il bagliore delle
cose terrene; e lo colpisce con il bastone della
cupidigia perché trascini con sé la mola della
vanità mondana.
5. Nessuno diventa perfetto da un momento
all'altro. Perciò dobbiamo staccarci un po'
alla volta dal mondo, disprezzandone le ricchezze
e i piaceri. Un'abitudine si elimina con
un'altra abitudine; e il filosofo dice: "Scompariranno
i vizi, se si prenderà l'abitudine di abbandonarli
per qualche tempo".
6. Se uno vuole fare veramente penitenza,
non confidi nei suoi meriti, non abbia
presunzione del bene fatto; ma palesi in confessione
tutto il male compiuto, con dolore e
rossore. E non basta che si proclami peccatore,
ma, se qualcuno gli rinfaccia le sue colpe,
umilmente sopporti; se no, dimostra di non
essere pentito davvero.
7. Dobbiamo essere sempre occupati intorno
alla nostra anima, perché non ci avvenga
quello che dice Salomone: "Passai accanto
al campo del pigro e presso la vigna d'un
tale scriteriato, ed eccoli ingombri di erbacce.
Le ortiche ne coprivano la superficie e il muretto
di pietre era sgretolato" (Pro 24,30-31).
8. L'anima che si pente segue la povertà,
l'umiltà, la passione di Gesù Cristo: esse
ci parlano di lui e ci dicono quale è stata la sua
vita in questo mondo. E così l'anima diviene
sua sposa, con lui impegnata, a lui legata per
mezzo dell'anello di una fede perfetta.
9.
"Guardate
i gigli del campo", dice il Signore.
Gigli sono i poveri di spirito, nel
cui cuore l'umiltà reprime la tumida superbia,
il cui corpo è candido di castità, dalla cui vita
emana il profumo della buona fama. Essi sono
detti gigli del campo, non gigli del giardino o
del deserto. Il campo è il mondo: conservare il
fiore di virtù nel mondo è tanto più meritorio,
in quanto è più difficile.
10. Gli eremiti
fioriscono nel deserto, lontani
dalla umana convivenza; in un giardino
chiuso fioriscono i claustrali, anch'essi fuori
dal contatto col mondo. Molto più degno è
fiorire in mezzo al mondo, dove più facilmente
la grazia del fiore può perire.
11.
"Ci fu poi il mormorio di un vento leggero: ecco
la serva del Signore"; questo è
il mormorio del vento leggero. E lì c'era il Signore.
Osserva che il mormorio si fa con le
labbra un po' strette. La Vergine Maria "restrinse",
rimpicciolì se stessa: la Regina degli
angeli si dichiarò serva, e così il Signore guardò
all'umiltà della sua serva. Guardiamoci
dunque dal vento gagliardo della superbia,
nel quale non c'è il Signore, e umiliamoci nel
mormorio della nostra confessione e dell'accusa di noi stessi.
12. Vale più una sola anima santa con la sua
preghiera, che innumerevoli peccatori
con le armi in pugno: la preghiera del santo
penetra i cieli!
13. Quand'è che la nostra anima è alla presenza di Dio?
Quando è certa di non avere niente da sé,
in se stessa e per sé, ma tutto
attribuisce a colui che è ogni bene, il sommo
bene, dal quale sgorga ogni grazia. Irradiata da
Dio, l'anima veramente diviene un paradiso,
fragrante di carità, di umiltà, di castità. In lei
discende e riposa il Diletto.
14. La vita dell'uomo giusto viene paragonata
a un organo musicale, dal quale scaturisce
la melodia della buona fama, in armonia
con una vita santa.
15. La natura ha posto davanti alla lingua
due porte, cioè i denti e le labbra, per
indicare che la parola non deve uscire dalla
bocca se non con grande cautela... Ma la lingua,
male ribelle, piena di veleno mortale,
fuoco che incendia la foresta delle virtù,
sfonda la prima e la seconda porta, esce in
piazza come una meretrice, loquace e raminga,
insofferente della quiete, e porta ovunque
lo scompiglio. Chi è perfetto nella lingua, è
perfetto in tutto.
16. Per mezzo delle lingue del serpente, di
Eva e di Adamo la morte entrò nel mondo.
La lingua del serpente inoculò il veleno in
Eva; la lingua di Eva lo inoculò in Adamo, e la
lingua di Adamo tentò di ritorcerlo contro il
Signore. La lingua è un membro freddo, sempre
immersa nell'umidità, e quindi è un male
ribelle ed è piena di veleno mortale, del quale
nulla è più freddo. Per questo lo Spirito Santo
apparve in forma di lingue di fuoco, per opporre
lingue a lingue, e fuoco ardente a veleno mortale.
17. L'ira ottenebra la mente e non permette
di distinguere la vera realtà delle cose;
scompiglia tutte le facoltà dell'anima; riflette
anche all'esterno l'alterazione che c'è all'interno:
infatti, l'occhio si rannuvola, la lingua
prorompe in minacce, la mano si appresta a
percuotere. E così la carità va distrutta.
18. La nascita di un santo costituisce un bene
per tutti e perciò è motivo di comune
esultanza. Nascono i santi per l'utilità degli altri,
essendo la giustizia (la santità) una virtù
sociale che ridonda a vantaggio di tutti.
19. Nel cuore dell'uomo ci sono tre cose: c'è
la sede della sapienza; in esso fu scritta la
legge naturale che dice: "Non fare agli altri ciò
che non vuoi sia fatto a te". Il cuore è l'organo
dal quale provengono lo sdegno, il ribrezzo,
l'avversione. Così nei veri credenti c'è la sapienza
della contemplazione, c'è la legge dell'amore,
e c'è il ribrezzo e l'avversione per il peccato.
20. Cristo tiene i santi sotto il sigillo della sua
provvidenza, affinché non appaiano quando
vogliono loro, ma stiano pronti per
l'ora stabilita da lui. E quando sentiranno risuonare
nel cuore il suo comando, escano dal
nascondiglio della vita contemplativa verso le
attività richieste dalla necessità.
21. Come il ragno cattura le prede con i fili
della sua rete, così il diavolo, tirando certi
fili di pensieri capziosi, studiando cioè i difetti
ai quali l'uomo è più incline, lo avvolge
con la fitta rete delle sue tentazioni e lo fa sua preda.
22. La pazienza si alimenta e si affina a spese
di chi ci perseguita; la vera pazienza si
compiace dei duri trattamenti. Si può a mala
pena purificare l'animo fra le tribolazioni di
questo mondo, senza che resti qualche macchia
da espiare in purgatorio.
23. Quando qualcuno ti dice, in aria di plauso
o di adulazione: "Sei bravo e sai molte cose", tu gli devi rispondere:
"Da me stesso
non so nulla, nessun bene io possiedo, ma
onoro il Padre mio. A lui tutto attribuisco, a
lui rendo grazie, perché fonte di ogni sapienza,
di ogni potenza e scienza".
24. Considera quanto è spaventoso un uomo
infiammato dall'ira. Corruga la fronte, ha
la faccia pallida, le narici frementi, gli occhi
torvi, le labbra livide, digrigna i denti e ha i
pugni stretti pronti a colpire. Un uomo così
ridotto altro non sembra che una belva feroce... Preghiamo
Cristo Gesù che estirpi dal
nostro cuore il vizio dell'ira, che infonda nel
nostro spirito la tranquillità, per poter amare
il prossimo con la bocca, con le opere e con il
cuore, e giungere così a lui che è la nostra pace.
25. La pazienza è il muro inespugnabile dell'anima,
che la difende da ogni turbamento.
L'anima unita dallo Spirito Santo è tutta umile e povera,
e perciò inclinata alla obbedienza
e alla pazienza. Senza pazienza, non c'è obbedienza.
26. Se ti risolvi a venire al mercato delle tribolazioni,
dove si acquistano le vere ricchezze,
bada bene, prima, se hai a disposizione
un tesoro di pazienza sufficiente per fare buone
compere: altrimenti, io ti consiglio di non
andare verso le tribolazioni volontarie, perché
ne ritorneresti a mani vuote. Ma se sei disposto
a sborsare molta pazienza, allora vieni: non
far caso alle difficoltà, perché è certo cosa amara
il bere al calice delle tribolazioni. Ma quando
lo avrai sorbito, ne sarai felice, perché sarai
collocato alla destra del Signore, dove è la vita
che non finisce mai.
27. Chi non ha pazienza in mezzo alle tribolazioni
non è oro, ma è ferro dorato; non
ha la vera virtù, ma virtù apparente. Percosso,
il ferro non manda un suono gradevole; così
l'impaziente, percosso dai persecutori, si incollerisce
e viene meno.
28. La Scrittura parla spesso per immagini,
per metafore, affinché ciò che non si può vedere
in una cosa, si possa scoprire in un'altra simile.
Il ventre, ad esempio, viene
paragonato a un dio quando dice: "Il loro dio
è il ventre e la loro gloria è una vergogna" (Fil 3,19),
cioè si gloriano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi.
Il dio-ventre viene soddisfatto con le vittime
di varie portate, tende l'orecchio ai rumori,
è solleticato dalle varie specie di sapori, si commuove
alle chiacchiere e non alle preghiere,
è gratificato dall'ozio e si abbandona alle
delizie della sonnolenza. E questo dio-ventre
ha purtroppo monaci, canonici e conversi che
lo servono devotamente e sono quelli che nella
chiesa di Dio vivono placidamente nell'ozio,
che non si danno alla preghiera segreta, ma
sono curiosi di ascoltare i fantasiosi racconti
degli oziosi, in cui si odono risate, sghignazzi
e i rutti di un ventre rimpinzato.
29. La sapienza, così chiamata da sapore, consiste
nel gusto della contemplazione, la
prudenza nel prevedere e cautelarsi dalle insidie,
la fortezza nel sopportare le avversità, l'intelligenza
nel rifuggire dal male e scegliere il bene.
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