Giugno 1. Il Signore preparerà per tutti i popoli su
questo monte (di Sion) un banchetto di
carni grasse... e di vini prelibati (cf. Is 25,6).
È ciò che fa oggi la chiesa, per la quale Cristo
ha preparato un banchetto splendido e sontuoso,
di una duplice e abbondante ricchezza:
diede il suo vero corpo e il suo vero sangue, e
comandò che fosse dato anche a tutti quelli
che avrebbero creduto in lui.
Perciò si deve credere fermamente e confessare
con la bocca che quel corpo che la Vergine
partorì, che fu inchiodato sulla croce, che
giacque nel sepolcro, che risuscitò il terzo
giorno, che salì alla destra del Padre, egli lo
diede realmente agli apostoli, e la chiesa ogni
giorno lo "prepara" e lo distribuisce ai suoi fedeli.
2. Il contemplativo, quando si alza alle sfere
superiori, non percorre una via stabilita o
diritta, perché la contemplazione non è in potere
del contemplativo, ma dipende dalla volontà
del creatore, il quale elargisce la dolcezza
della contemplazione a chi vuole, quando vuole e come vuole.
3. Il gaudio della speranza del cielo e l'ascolto
dei divini precetti seppelliscono il giusto
nella duplice spelonca della vita attiva e
contemplativa, perché sia protetto al riparo
del volto di Dio, nascosto agli intrighi degli
uomini e lontano dalle lingue che contraddicono (cf. Sal 30,21).
4. Nella penitenza, come nella mandorla, ci
sono tre elementi: la corteccia amara, il
guscio solido, il seme dolce. Nella corteccia
amara è indicata l'amarezza della penitenza,
nel guscio solido la costanza della perseveranza
e nel seme dolce la speranza del perdono.
5. Benché l'albero, cioè il corpo dell'uomo,
venga tagliato dalla scure della morte, sia
invecchiato, decomposto nella terra e ridotto
in polvere, tuttavia l'uomo deve avere la speranza
ch'esso rifiorirà, cioè risorgerà, e che le
sue membra ricresceranno e che, al sentore
dell'acqua, cioè per la munificenza della sapienza
divina, germoglierà di nuovo e ritornerà
al suo splendore, come nel paradiso terrestre.
6. Colui che nutre la speranza dei beni eterni è
pieno dell'umore della devozione.
Invece la speranza posta nei beni terreni non
produce il frutto della carità; è piccola e meschina
perché non cresce in Dio; è insipida perché
la sua sapienza non è condita con il divino sapore.
7. Quando all'inizio della conversione e della
nuova vita scoppiano i tuoni, cioè le
tentazioni della prosperità o delle avversità,
queste riescono spesso a guastare le uova della
speranza e dei santi propositi. Quindi il figlio
della grazia deve domandare al Padre della
misericordia l'uovo della speranza dei beni eterni
perché, come dice Geremia, "benedetto è l'uomo
che confida nel Signore: il Signore
stesso sarà la sua speranza" (Ger 17,7).
8. Come si deve aver paura del pungiglione
che lo scorpione ha sulla coda, così è un
atto contrario alla speranza guardare indietro,
cioè al passato: la speranza è la virtù che si protende
in avanti, che aspira cioè ai beni futuri.
9. Leggiamo in Giobbe:
"Il legno (l'albero)
ha una speranza: se viene tagliato, ancora ributta" (Gb 14,7). Così l'uomo ha e deve
avere la speranza che il legno, cioè il suo corpo,
dopo essere stato tagliato dalla scure della
morte, rifiorirà nella risurrezione finale.
10. Dove ci sono timore e speranza, lì c'è una
vita impegnata in Dio. E considera ancora
che l'olio galleggia su tutti i liquidi, e per
questo simboleggia la speranza, che ha per oggetto
le cose eterne, le quali sono al di sopra di
ogni bene transitorio. Infatti si chiama speranza,
in latino spes, perché è il piede, in latino pes,
per camminare verso il Signore. Speranza è attesa
dei beni futuri, ed essa esprime il sentimento
dell'umiltà e un'attenta dedizione di
sudditanza.
11. Quelli che non sperano in se stessi ma solo
nel Signore, che è il Dio della speranza,
riacquisteranno forza, per essere forti in lui,
anche se sono deboli in questo mondo.
12. Come l'uccello è fornito di due ali, così
nell'anima c'è la fede e la speranza. La fede e la speranza
riguardano le cose invisibili, e quindi
dalle cose visibili innalzano a quelle invisibili.
Ma coloro che hanno la fede solo a parole,
che pongono la loro speranza solo in se stessi
e nelle loro cose e pongono la fiducia nell'uomo,
costoro bramano avidamente le
cose terrene, gustano solo quelle e solo su
quelle si fermano.
13. La virtù dei santi è come il piombino del
muratore che controlla la perpendicolarità dei muri...
Quando si celebrano le feste dei santi,
viene teso questo piombino sulla vita
dei peccatori; e quindi celebriamo le loro feste
per avere dalla loro vita una norma per la nostra.
È ridicolo perciò nelle solennità dei santi,
volerli onorare con i cibi (con grandi pranzi),
quando sappiamo che essi hanno conquistato
il cielo con i digiuni.
14. Giuseppe e Maria sono figura della speranza
e del timore, che sono come i "genitori"
del giusto. La speranza è l'attesa dei beni
futuri, che genera un sentimento di umiltà
e una pronta disponibilità di servizio. La speranza è
detta in latino spes, quasi pes, piede,
passo di avanzamento: ecco l'aumento, l'accrescimento.
Al contrario si dice disperazione,
quando non c'è nessuna possibilità di andare
avanti, poiché quando uno ama il peccato non
spera certo nella gloria futura. E perché la speranza
non degeneri in presunzione, dev'essere
unita al timore, che è principio della saggezza
(Sal 110,10; Eccli 1,16), al cui possesso nessuno
può giungere se prima non ha assaporato
l'amarezza del timore. Per questo è detto nell'Esodo
che i figli d'Israele, prima di arrivare
alla dolcezza della manna, trovarono l'amarezza
dell'acqua di Mara (cf. Es 15,23). Bevendo
una medicina amara si arriva alla gioia della guarigione.
15.
"Ogni ipocrita è malvagio" (Is 9,17), dice
Isaia; e Michea: "Il migliore tra di essi è
come un pruno, e il più retto come le spine
della siepe" (Mic 7,4). Veramente oggi molti
sono ipocriti, pruni e spine. L'ipocrita è colui
che finge di essere ciò che non è; è come il
cespuglio di pruni, che sembra morbido nelle
parole, ma punge con i fatti; è come le spine
che feriscono i passanti per succhiarne il sangue
della lode e del denaro.
16. Gesù Cristo darà il premio della vita eterna
a colui che avrà sconfitto l'appetito
della carne, avrà imitato gli esempi dei santi,
e avrà scacciato gli zoppi e i ciechi, cioè i prelati
e i sacerdoti che zoppicano da entrambi i
piedi, vale a dire nei sentimenti e nelle opere,
e che sono ciechi da entrambi gli occhi, vale a
dire nella vita e nella scienza. Costoro hanno
in odio la vita di Gesù Cristo, poiché vendono
al diavolo la loro anima, per la quale Cristo ha
dato la sua vita.
17. Come nelle mani ci sono dieci dita, così
dieci sono le specie di flagellazione, cioè
di mortificazione che dobbiamo praticare: la
rinuncia alla propria volontà, l'astinenza dal
cibo e dalla bevanda, la rigorosità del silenzio,
le veglie di preghiera durante la notte, l'effusione
delle lacrime, il dedicare un congruo
tempo alla lettura, il lavoro materiale, la generosa
partecipazione alle necessità del prossimo,
il vestire dimessamente, il disprezzo di sé. Con
queste dieci dita dobbiamo afferrare il flagello
e colpirci senza pietà, senza misericordia, quasi
con ferocia, perché nel giorno del castigo
che spezzerà le ossa, possiamo trovare misericordia.
18. Come l'oro è superiore a tutti i metalli,
così la scienza sacra è superiore a ogni altra
scienza: non sa di lettere chi non conosce le "lettere sacre".
19. Gesù Cristo fu misericordioso nell'Incarnazione,
forte e valoroso nella Passione e
sarà sommamente desiderabile per noi nella
beatitudine eterna. Parimenti è misericordioso
nell'infusione della grazia.
20. La nostra anima è il giardino nel quale
Cristo, come un giardiniere, mette a dimora
i misteri della fede e poi la irriga quando
le infonde la grazia della compunzione. Egli
l'ha generata nei dolori della sua Passione.
21. Il giusto, nell'abbondanza della grazia
che gli è elargita, entra nel sepolcro della
vita contemplativa; come a suo tempo il mucchio
di grano viene portato nel granaio, così,
soffiata via la paglia delle cose temporali, la
sua mente si rinchiude nel granaio della pienezza
celeste e così rinchiusa si sazia della sua dolcezza.
22. Il volto del Padre è il Figlio. Come infatti
una persona si riconosce dal volto, così
per mezzo del Figlio conosciamo il Padre.
Quindi la luce del volto di Dio è la conoscenza
del Figlio e l'illuminazione della fede, che
nel giorno della Pentecoste fu segnata e impressa
nel cuore degli apostoli.
23. L'edera che da se stessa non può spingersi
in alto, ma lo fa attaccandosi ai rami
di qualche albero, sta a significare il ricco
di questo mondo, il quale può elevarsi al cielo
non per se stesso, ma con le elemosine
elargite ai poveri, che lo sollevano a modo di braccia.
24. Giovanni (Battista) è detto
"cervo slanciato",
cioè agile e veloce, che scavalca
luoghi spinosi e scoscesi, perché incrementa
la corsa con i salti. Così il beato Giovanni scavalcò
rapidamente le ricchezze del mondo,
raffigurate nelle spine, e i piaceri della carne,
paragonati alle scabrosità del suolo. Se egli,
santificato già nel grembo materno e del quale,
a testimonianza del Signore, uno più grande
non ci fu tra i nati di donna, si tormentò
con vesti così rozze e visse con cibo così povero,
cosa possiamo dire noi, miseri peccatori,
concepiti nei peccati, pieni di vizi, che detestiamo
ogni asprezza e cerchiamo delicatezze e comodità?
25. Quando nel cuore dell'uomo ci sono le
tenebre del peccato mortale, l'uomo è in
preda alla mancanza della conoscenza di Dio e
all'ignoranza della propria fragilità, e non sa
distinguere il bene dal male. Invece la luce
che illumina l'anima è la contrizione del cuore,
che produce la conoscenza di Dio e della
propria infermità, e mostra la differenza tra
l'uomo retto e quello malvagio.
26. Come l'aurora segna la fine della notte e
l'inizio del giorno, così la contrizione
segna la fine del peccato e l'inizio della penitenza.
27. L'anima fedele che in Matteo viene chiamata
"vigna",
deve essere sarchiata con il
sarchio (la zappa) della contrizione, potata con
la falce della confessione e sostenuta con i paletti
della penitenza (o soddisfazione).
28. Cingiti con la cintura della confessione e
raccogli i tuoi vestiti perché non scendano
a toccare le cose immonde della strada.
E non voler passare per l'abbondanza dei beni
terreni, dove molti si sono perduti, ma scegli
di passare per la semplicità e le strettezze della povertà.
29. Coloro che rinnegano Cristo tre volte
nelle tenebre dei peccati, al canto del gallo,
cioè alla predicazione della parola di Dio, si
pentano, per essere poi capaci, nella luce della
penitenza, insieme con il beato Pietro, di dichiarare
per tre volte: "Amo, amo, amo". Amo
con il cuore per mezzo della fede e della devozione;
amo con la lingua con la professione della
verità e con l'edificazione del prossimo; amo
con la mano mediante la purezza delle opere.
30. Ogni giorno il ventre esige ad alta voce il
tributo della gola; ma il penitente non lo
ascolta per nulla, perché gli obbedisce non per
il piacere, ma solo per necessità.
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