Dio
Somma Teologica I, q. 4
La perfezione di Dio
Dopo aver considerato la semplicità di Dio, dobbiamo parlare della
sua perfezione. E siccome ogni essere, in quanto perfetto, si dice
buono, dobbiamo trattare: primo, della perfezione di Dio; secondo,
della sua bontà.
Sul primo punto ci sono tre quesiti: 1. Se Dio sia perfetto; 2. Se
sia universalmente perfetto, cioè se abbia in sé le perfezioni di tutte
le cose; 3. Se le creature si possano dire simili a Dio.
ARTICOLO
1
Se Dio sia perfetto
SEMBRA che essere perfetto non convenga a Dio. Infatti:
1. Dire perfetto è come dire totalmente fatto. Ora, non conviene
a Dio di esser fatto. Dunque neppure di esser perfetto.
2. Dio è il principio delle cose. Ora, i principi delle cose pare che
siano imperfetti: difatti il seme è principio degli animali e delle
piante. Dunque Dio è imperfetto.
3. Sopra abbiamo dimostrato che la natura di Dio è l'essere stesso.
Ma l'essere pare che sia cosa imperfettissima, essendo ciò che vi
è di più generico e passibile delle determinazioni di tutte le cose.
Dunque Dio è imperfetto.
IN CONTRARIO: È detto nel Vangelo:
"Siate perfetti, come è perfetto
il Padre vostro celeste".
RISPONDO: Come narra Aristotele alcuni antichi filosofi, cioè i Pitagorici
e Speusippo, non attribuirono al primo principio la bontà
e la perfezione assoluta. E la ragione si è che gli antichi filosofi considerarono
soltanto la causa materiale; e la causa materiale è la
più imperfetta. La materia infatti, in quanto tale, è in potenza, perciò
la prima causa materiale è per necessità massimamente in potenza, e
quindi sommamente imperfetta.
Ora, si afferma che Dio è la prima causa, non materiale, ma nell'ordine
delle cause efficienti, e una tale causa è necessariamente
perfettissima; perché come la materia, in quanto tale, è in potenza,
così l'agente, in quanto tale, è in atto. E quindi il primo principio
attivo deve essere attuale al massimo grado e per conseguenza sommamente
perfetto, perché un essere è detto perfetto in proporzione
della sua attualità; perfetta infatti è detta quella cosa alla quale
non manca niente avuto riguardo al grado della sua perfezione.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Gregorio
"noi parliamo
delle grandezze di Dio, balbettando come possiamo: a rigore,
quel che non è stato fatto, non può dirsi perfetto". Ma, siccome tra
le cose che si fanno si dice perfetta quella cosa che è passata dalla
potenza all'atto, si usa lo stesso termine perfetto per indicare qualsiasi
cosa alla quale niente manchi della pienezza del suo essere,
sia che abbia ciò dall'essere stata fatta, o no.
2. Il principio materiale, riscontrato sempre imperfetto, non può
essere il primo in modo assoluto, ma è preceduto da qualche cosa
di perfetto. Infatti, il seme, sebbene sia il principio dell'animale
generato dal seme, tuttavia presuppone un animale o una pianta
da cui si è distaccato. Difatti bisogna che prima dell'essere in potenza
ci sia l'essere in atto; giacché l'ente in potenza non passa
all'atto se non per mezzo di un ente in atto.
3. Tra le cose, l'essere è la più perfetta, perché verso tutte sta in
rapporto di atto. Niente infatti ha l'attualità se non in quanto è:
perciò l'essere stesso è l'attualità di tutte le cose, anche delle stesse
forme. Quindi esso non sta in rapporto alle altre cose come il ricevente
al ricevuto, ma piuttosto come il ricevuto al ricevente. Infatti,
se di un uomo, di un cavallo o di qualsiasi altra cosa dico che è,
l'essere stesso è considerato come principio formale e come elemento
ricevuto, non come ciò cui convenga l'esistenza.
ARTICOLO
2
Se si trovino in Dio le perfezioni di tutte le cose
SEMBRA che non si trovino in Dio le perfezioni di tutte le cose. Infatti:
1. Dio,
come si è dimostrato, è semplice; le perfezioni delle cose
invece sono numerose e diverse: perciò in Dio non possono trovarsi
tutte le perfezioni delle cose.
2. Gli opposti non possono coesistere nel medesimo soggetto. Ora,
le perfezioni delle cose sono tra loro opposte, perché ogni specie di
cose ha la sua perfezione in forza della differenza specifica; e le differenze
per le quali si divide il genere e si costituiscono le specie,
procedono per via di opposizione. Non potendosi dunque trovare gli
opposti nel medesimo soggetto, non sembra che in Dio possano trovarsi
tutte le perfezioni delle cose.
3. Il vivente è più perfetto dell'ente, il conoscente più perfetto del
vivente. Quindi anche il vivere è più perfetto dell'essere, e il conoscere
più del vivere. Ora, l'essenza di Dio non è che l'essere stesso.
Dunque Dio non ha in sé la perfezione della vita, della sapienza e
altre perfezioni di questo genere.
IN CONTRARIO: Dionigi dice che Dio
"nella sua unità precontiene
tutti gli esistenti".
RISPONDO: In Dio si trovano le perfezioni di tutte le cose. Perciò
è anche detto universalmente perfetto; perché non gli manca neppure
una sola delle perfezioni che si possono trovare in qualsiasi
genere di cose, come dice il Commentatore. E questo si può arguire
da due considerazioni.
In primo luogo, per il fatto che quanto vi è di perfezione nell'effetto
deve ritrovarsi nella sua causa efficiente: o secondo la stessa natura,
se si tratta di agente univoco, com'è per l'uomo che genera l'uomo,
oppure in grado più eminente, quando si tratta di agente analogico;
così nel sole si ritrova l'equivalente di ciò che è generato per la virtù
del sole. È evidente, infatti, che l'effetto preesiste virtualmente nella
causa agente: ora, preesistere nella virtualità della causa agente
non è un preesistere in modo meno perfetto, ma in modo più perfetto;
per quanto preesistere virtualmente nella causa materiale sia
un preesistere in maniera più imperfetta; e questo perché la materia,
in quanto tale, è imperfetta; mentre l'agente, in quanto tale,
è perfetto. Essendo, dunque, Dio la causa efficiente prima delle
cose, bisogna che in lui le perfezioni di tutte le cose preesistano in un
grado più eminente. Accenna a questa ragione anche Dionigi, quando
dice di Dio che "non è questo sì e quello no, ma è tutto, essendo
causa di tutto".
In secondo luogo, da quanto abbiamo già dimostrato, che cioè Dio
è l'essere stesso per sé sussistente: di qui la necessità che egli contenga
in sé tutta la perfezione dell'essere. È chiaro, infatti, che se
un corpo caldo non ha tutta la perfezione del caldo, ciò avviene
perché il calore non è partecipato in tutta la sua perfezione; ma se
il calore fosse per sé sussistente, non gli potrebbe mancare niente di
ciò che forma la perfezione del calore. Ora, Dio è lo stesso essere
per sé sussistente; quindi niente gli può mancare della perfezione
dell'essere. Ma le perfezioni di tutte le cose fanno parte della perfezione
dell'essere, essendo perfette le cose a seconda che partecipano
dell'essere in una data maniera. Di qui ne segue che a Dio non può
mancare la perfezione di nessuna cosa. E anche a questa ragione accenna
Dionigi quando dice che Dio "non è esistente in una qualche
maniera; ma in modo assoluto ed illimitato precontiene in sé uniformemente
tutto l'essere". E poco dopo aggiunge che "Egli è l'essere
di quanto sussiste".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Bisogna dire con Dionigi che, come
il sole "pur essendo uno e splendendo ugualmente su tutto, precontiene
nella sua unità le sostanze tutte delle cose sensibili e le loro
qualità molteplici e diverse; così, a più forte ragione, è necessario
che, nella causa di tutte le cose, tutte preesistano unificate nella natura
di essa". E in tal modo, esseri, che considerati in se stessi sono
diversi e opposti, preesistono in Dio come una cosa sola, senza menomare
la semplicità divina.
2. E con ciò è sciolta anche la seconda difficoltà.
3. Come dice lo stesso Dionigi nel capitolo citato, sebbene l'essere
stesso sia più perfetto della vita, e la vita più perfetta della sapienza,
se si considerano in astratto le loro distinzioni; tuttavia quello che
vive è (in concreto) più perfetto di quello che ha soltanto l'essere,
perché il vivente è anche ente; e il sapiente è anche ente e vivente.
Quindi, sebbene la nozione di ente non includa in se stessa la nozione
di vivente e di sapiente, perché non è necessario che chi partecipa
l'essere lo partecipi secondo tutti i modi dell'essere, tuttavia l'essere
stesso di Dio include in sé anche la vita e la sapienza, perché nessuna
delle perfezioni dell'essere può mancare a Colui che è l'essere
stesso per sé sussistente.
ARTICOLO
3
Se una creatura possa essere simile a Dio
SEMBRA che nessuna creatura possa essere simile a Dio. Infatti:
1. È detto nei Salmi:
"Non v'è simile a te tra gli dei, o Signore".
Ora, tra tutte le creature, le più nobili sono quelle che sono chiamate
dei per partecipazione. Dunque molto meno possono dirsi simili a
Dio le altre creature.
2. La somiglianza è una specie di confronto. Ma non si dà confronto
tra cose di diverso genere; quindi neppure somiglianza: nessuno
infatti dice che il dolce somiglia al bianco. Ora, nessuna
creatura è dello stesso genere di Dio che, come si è provato, è al di sopra
di ogni genere. Perciò nessuna creatura è simile a Dio.
3. Simili si dicono quelle cose che hanno comunanza di forma.
Ora, niente combina con Dio nella forma, perché in nessuna cosa,
tranne che in Dio, l'essenza si identifica con l'essere. Perciò nessuna
creatura può essere simile a Dio.
4. Tra cose simili la somiglianza è reciproca, perché il simile è
simile al simile. Se dunque qualche creatura è simile a Dio, Dio sarà
simile a qualche creatura. Ciò contrasta apertamente col detto di
Isaia: "A chi rassomigliereste Dio?".
IN CONTRARIO: Nella Genesi si dice:
"Facciamo l'uomo a nostra immagine
e somiglianza" e in S. Giovanni: "Quando si sarà manifestato, saremo simili a lui".
RISPONDO: Siccome la somiglianza si prende dal convenire o comunicare
nella forma, vi sono tante maniere di somiglianza a seconda
dei vari modi di comunicare nella forma. Si dicono simili
alcune cose le quali hanno in comune la stessa forma secondo la
stessa natura (o attributo essenziale), e secondo lo stesso grado: in
questo caso non solo sono simili, ma uguali nella loro somiglianza:
come due cose ugualmente bianche si dicono simili nella bianchezza.
E questa è la somiglianza più perfetta. - In secondo luogo si dicono
simili quelle cose che hanno un'uguale forma, secondo la stessa natura
non però secondo lo stesso grado, ma secondo un più e un
meno; come una cosa meno bianca si dice simile a un'altra più
bianca. E questa è somiglianza imperfetta. - In terzo luogo, si dicono
simili alcune cose che hanno la stessa forma, ma non secondo la
stessa natura (specifica), come è il caso degli agenti non univoci.
Siccome ogni agente, in quanto tale, tende ad imprimere la sua somiglianza,
ed ogni cosa agisce secondo la sua forma, è necessario
che nell'effetto ci sia una somiglianza della forma dell'agente. Se
dunque l'agente è contenuto nella stessa specie del suo effetto, la somiglianza
tra la causa e l'effetto sarà nella forma secondo la stessa
natura specifica; come avviene dell'uomo che genera un altro uomo.
Se poi l'agente non è contenuto nella stessa specie, vi sarà somiglianza,
ma non secondo la stessa natura specifica: così le cose che
si generano per la virtù del sole, si accostano sì a una certa somiglianza
col sole, ma non sino a partecipare alla forma del sole
secondo la somiglianza specifica, ma solo secondo una somiglianza
generica.
Se dunque vi è un agente che non è contenuto in alcun genere, i
suoi effetti avranno una somiglianza anche più lontana dalla di lui
forma; cioè non arriveranno mai a somigliare la forma dell'agente
secondo la stessa natura specifica o generica, ma solo secondo una
certa analogia, come nel caso dell'essere, il quale è comune a tutte le
cose. E solo in questo modo le cose prodotte da Dio possono a lui somigliare
come enti al primo ed universale principio di tutto l'essere.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice Dionigi, quando la Scrittura
nega che qualche cosa sia simile a Dio, "non contesta la somiglianza
con lui. E infatti le medesime cose possono essere simili
a Dio e dissimili: simili, in quanto lo imitano nella misura in cui
è consentito imitare colui, che non è perfettamente imitabile; dissimili,
in quanto si discostano dalla loro causa"; e non solo secondo
una minore o maggiore intensità, come il meno bianco si discosta
dà ciò che è più bianco, ma anche perché non vi è comunanza di
specie né di genere.
2. Dio non sta in rapporto alle creature come cosa di genere diverso;
ma come ciò che è fuori d'ogni genere e principio di tutti i generi.
3. Non si dice che vi è somiglianza della creatura con Dio per comunanza
di forma secondo la stessa natura specifica o generica;
ma solo secondo analogia, in quanto cioè Dio è ente per essenza, e le
altre cose per partecipazione.
4. Se in qualche modo si concede che la creatura è simile a Dio,
in nessuna maniera si deve ammettere che Dio è simile alla creatura,
perché, come dice Dionigi, "la mutua somiglianza si dà tra
esseri appartenenti ad uno stesso ordine, non tra causa e causato":
così si usa dire che il ritratto somiglia a una data persona, e non viceversa. Parimente, in qualche modo si può dire che la creatura è
simile a Dio, non già che Dio è simile alla creatura.
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