Il Santo Rosario

Dio

Somma Teologica I, q. 5

Il bene in generale

Continuando passiamo alla questione del bene. Tratteremo: primo, del bene in generale; secondo, della bontà di Dio.
Sul primo punto poniamo sei quesiti: 1. Se il bene e l'ente si identifichino nella realtà; 2. Supposto che differiscano soltanto concettualmente, si domanda: se sia prima logicamente il bene o l'ente; 3. Supposto che l'ente sia prima, si chiede se ogni ente sia buono; 4. A quale causa si riduca la nozione di bene; 5. Se la nozione di bene consista nel modo, nella specie e nell'ordine; 6. Come il bene si divida in onesto, utile e dilettevole.

ARTICOLO 1

Se il bene differisca realmente dall'ente

SEMBRA che il bene differisca realmente dall'ente. Infatti:
1. Dice Boezio: "nelle cose io scorgo che altra cosa è esser buono, ed altra cosa essere". Dunque il bene e l'ente differiscono realmente.
2. Niente è forma di se stesso. Ma il bene, come si ha nel libro De Causis, è determinazione formale dell'ente. Dunque il bene differisce realmente dall'ente.
3. Il bene può essere maggiore o minore; l'ente no. Dunque il bene è realmente distinto dall'ente.

IN CONTRARIO: S. Agostino dice: "In quanto siamo, siamo buoni".

RISPONDO: Il bene e l'ente si identificano secondo la realtà, ma differiscono solo secondo il concetto. Eccone la dimostrazione. La ragione di bene consiste in questo, che una cosa è desiderabile: infatti Aristotele dice che il bene è "ciò che tutte le cose desiderano". Ora è chiaro che una cosa è desiderabile nella misura che è perfetta, perché ogni cosa tende appunto a perfezionare se stessa. Ma in tanto una cosa è perfetta in quanto è in atto: e così è evidente che una cosa in tanto è buona in quanto è ente; l'essere infatti è l'attualità di ogni cosa, come appare da quanto si è detto in antecedenza. E così si dimostra che il bene e l'ente si identificano realmente; ma il bene esprime il concetto di appetibile, non espresso dall'ente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nonostante che il bene e l'ente siano in realtà l'identica cosa, pure siccome differiscono nel loro concetto, una cosa è detta ente in senso assoluto (simpliciter), ed è detta bene in senso assoluto non alla stessa maniera. Siccome infatti ente indica che qualche cosa è propriamente in atto, e atto dice ordine alla potenza, diremo che una cosa è ente in senso pieno ed assoluto in forza di quell'elemento per cui originariamente viene a distinguersi da ciò che è solo in potenza. E questo è l'essere sostanziale di ogni realtà; quindi una cosa è detta ente in senso pieno e assoluto in forza del suo essere sostanziale. In forza degli atti sopraggiunti invece, si dice che una cosa è ente (secundum quid cioè) in qualche modo; così esser bianco significa essere in quella maniera: in realtà il fatto d'esser bianca non toglie una cosa dalla pura potenza ad esistere, dal momento che l'esser bianca viene ad aggiungersi a una realtà che preesiste già in atto. Il bene invece esprime l'idea di cosa perfetta, vale a dire desiderabile: e per conseguenza include il concetto di cosa ultimata. Perciò si chiama bene in senso pieno e assoluto ciò che si trova in possesso della sua ultima perfezione. Quello invece che non ha l'ultima perfezione che dovrebbe avere, sebbene abbia una certa perfezione in quanto è in atto, non si dice per questo perfetto in senso pieno ed assoluto, e neppure buono in senso pieno ed assoluto, ma solo buono in qualche modo. Così dunque in base all'essere primo e fondamentale, che è l'essere della sua sostanza, una cosa è detta ente in senso pieno ed assoluto e bene in qualche modo, cioè in quanto è una entità; al contrario, secondo la sua ultima attualità una cosa si dice ente in qualche modo, e buona in senso pieno ed assoluto. Quindi allorché Boezio afferma che "nelle cose altro è l'esser buone, altra cosa l'essere", si deve intendere dell'essere e del bene presi entrambi in senso pieno e assoluto: perché in forza dell'atto primo e fondamentale una cosa è ente in senso pieno e assoluto, ed è invece bene in tal senso in forza del suo atto ultimo. Al contrario, in forza della sua prima attualità è bene solo in qualche maniera, e in forza della sua ultima e perfetta attualità è solo in qualche modo ente.
2. Si può dire che il bene è come una forma nuova, in quanto si considera il bene in senso pieno e assoluto il quale consiste nell'ultima attualità.
3. Ugualmente si risponde alla terza difficoltà; che cioè il bene può dirsi maggiore o minore in base alle attualità (o perfezioni) aggiunte, come potrebbero essere la scienza o la virtù.

ARTICOLO 2

Se il bene concettualmente sia prima dell'ente

SEMBRA che il bene concettualmente sia anteriore all'ente. Infatti:
1. L'ordine dei nomi segue l'ordine delle cose espresse dai nomi. Ora Dionigi tra i nomi di Dio, pone il bene prima dell'ente. Dunque il bene concettualmente è anteriore all'ente.
2. È prima secondo l'ordine di ragione ciò che si estende ad un numero maggiore di oggetti. Ora, il bene ha un'estensione maggiore dell'ente; perché, al dire di Dionigi, "il bene si estende alle cose esistenti e a quelle non esistenti, mentre l'ente si estende alle sole esistenti". Dunque il bene razionalmente è prima dell'ente.
3. Ciò che è più universale ha una priorità di ragione. Ora, il bene pare che sia più universale dell'ente, perché il bene si presenta come appetibile, e per alcuni è desiderabile perfino il non esistere, come si afferma di Giuda: "sarebbe stato meglio per quest'uomo che non fosse mai nato". Dunque il bene razionalmente è prima dell'ente.
4. Non l'essere soltanto è desiderabile, ma anche la vita e la sapienza e tante altre cose del genere: di qui appare che l'essere è un desiderabile particolare, mentre il bene è il desiderabile nella sua universalità. Dunque il bene nel suo concetto è assolutamente anteriore all'essere.

IN CONTRARIO: È detto nel libro De Causis che "l'essere è la prima delle cose create".

RISPONDO: L'ente concettualmente è prima del bene. Infatti il significato letterale del nome (che noi diamo a una cosa) è ciò che l'intelletto concepisce della medesima, e che esprime mediante la parola: perciò è primo, come concetto, ciò che per primo cade sotto la concezione della nostra intelligenza. Ora, nel concepire che fa la nostra intelligenza in primo luogo viene l'ente; perché, come dice Aristotele, una cosa è conoscibile in quanto è in atto. Cosicché l'ente è l'oggetto proprio dell'intelligenza: e quindi è il primo intelligibile, come il suono è il primo oggetto dell'udito. Così dunque l'essere precede concettualmente il bene.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dionigi tratta dei nomi di Dio in quanto implicano un rapporto di causalità riguardo a Dio: noi, infatti, come egli osserva, nominiamo Dio (partendo) dalle creature, come si parte dagli effetti (per denominare) la causa. Ora, il bene, presentandosi come desiderabile, richiama l'idea di causa finale; il cui influsso ha un primato, perché l'agente non opera se non in vista del fine, e dall'agente la materia viene disposta alla forma; perciò si dice che il fine è la causa delle cause. E così, nel causare, il bene è prima dell'ente, come il fine è prima della forma; ed è per questo motivo che tra i nomi esprimenti la divina causalità, si mette il bene prima dell'essere. - Bisogna anche osservare che secondo i Platonici (e tale era Dionigi) - i quali, identificando la materia con la privazione, dicevano la materia essere un non-ente - la partecipazione del bene sarebbe più estesa della partecipazione dell'essere. E infatti la materia prima partecipa il bene, perché lo appetisce (e nessuna cosa appetisce se non ciò che le somiglia), ma non partecipa l'essere, perché, a detta dei Platonici, è un non-ente. Ed è per questo che Dionigi dice che "il bene si estende ai non esistenti".
2. Così abbiamo dato anche la soluzione della seconda difficoltà. - Oppure si può anche dire che il bene si estende alle cose esistenti ed alle non esistenti, non quale attributo intrinseco, ma per relazioni di causalità; in maniera che per non esistenti non si devono intendere delle cose che non esistono affatto, ma cose che sono in potenza e non in atto; poiché il bene importa l'idea di fine, il quale fine non solo è raggiunto dalle cose in atto, ma attrae verso di sé anche le cose che non sono in atto ma solo in potenza. L'ente, viceversa, non dice relazione che di causa formale, intrinseca o esemplare; e tale causalità non si estende se non alle cose esistenti in atto.
3. Il non essere non è appetibile di per sé, ma solo indirettamente, cioè in quanto è desiderabile la distruzione di un male, il quale male è eliminato dal non-essere. La distruzione del male poi non è desiderabile se non in quanto il male ci priva di un certo essere. Quindi ciò che è di per sé appetibile è l'essere: il non-essere è appetibile solo indirettamente, in quanto si desidera un certo essere, di cui l'uomo non sa sopportare la privazione. E così, anche il non essere si può dire bene in modo indiretto.
4. La vita, il sapere e gli altri beni, si desiderano in quanto sono in atto: perciò in tutte le cose si desidera un certo essere. E così niente è desiderabile all'infuori di ciò che è: conseguentemente all'infuori dell'ente, niente è buono.

ARTICOLO 3

Se ogni ente sia buono

SEMBRA che non ogni ente sia buono. Infatti:
1. Il bene aggiunge qualche cosa all'ente, come risulta dal già detto. Ora, ciò che aggiunge qualche cosa all'ente, lo coarta, ne restringe il significato: come fanno la sostanza, la quantità, la qualità e simili. Quindi il bene restringe l'ente, e perciò non ogni ente è buono.
2. Nessun male è buono; sta scritto infatti in Isaia: "Guai a voi che dite male il bene e bene il male". Ora, alcuni enti si dicono cattivi. Dunque non ogni ente è buono.
3. Il bene nel suo concetto dice appetibilità. Ora, la materia prima non dice appetibilità, ma appetito o tendenza (poiché tende all'atto o alla forma come ogni potenzialità). Perciò non presenta la natura di bene. Quindi non ogni ente è buono.
4. Dice Aristotele che nelle entità matematiche non esiste il bene. Ma anche le entità matematiche sono enti, altrimenti di esse non avremmo una scienza. Dunque non ogni ente è buono.

IN CONTRARIO: Ogni essere che non è Dio, è creatura di Dio. Ma "ogni cosa creata da Dio è buona" come si legge nella Scrittura. Dio poi è sommamente buono. Dunque ogni ente è buono.

RISPONDO: Ogni ente, in quanto ente, è buono. Infatti ogni ente, in quanto ente, è in atto, e in qualche modo perfetto; perché ogni atto è una perfezione. Ora, il perfetto ha ragione di appetibile e di bene, come si è dimostrato sopra. Conseguentemente ogni ente, in quanto tale, è buono.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La sostanza, la quantità e la qualità e tutto ciò che si trova contenuto sotto questi generi, restringono l'ente applicandolo a qualche quiddità o natura. Non così fa il bene rispetto all'ente; ma gli aggiunge soltanto l'idea di appetibile e di perfezione, e ciò compete allo stesso essere in qualsiasi natura si trovi. Dunque il bene non restringe l'ente.
2. Nessun ente si dice cattivo in quanto ente, ma in quanto mancante di un certo essere: così l'uomo si dice cattivo perché gli manca l'entità virtù: e l'occhio si dice cattivo quando è mancante dell'acume della vista.
3. La materia prima come non è ente se non in potenza, così non è bene se non potenzialmente. Dal punto di vista dei Platonici si potrebbe anche dire che la materia prima è un non-ente a motivo della privazione che include; ma anche così intesa partecipa qualche cosa del bene, cioè l'orientamento e l'attitudine al bene. E proprio per questo non le compete d'essere appetibile, ma piuttosto di appetire essa stessa.
4. Le entità matematiche (numeri, punti, linee, triangoli, ecc.) non sussistono separate nella realtà, ché se sussistessero, ci sarebbe in esse il bene, cioè il loro stesso essere reale. Le entità matematiche poi non esistono separate dalle cose se non per un atto della ragione, in quanto cioè sono (concepite come) astratte dal moto e dalla materia; e in tal modo sono sottratte alla ragione di fine, il quale di sua natura è principio movente. E non c'è niente di strano che in qualche essere, idealmente, manchi il bene o l'aspetto caratteristico di bene, quando sappiamo che l'idea di ente è anteriore all'idea di bene, come già si disse.

ARTICOLO 4

Se il bene abbia il carattere di causa finale

SEMBRA che il bene più che di causa finale rivesta il carattere di altre cause. Infatti:
1. Dice Dionigi: "Il bene è lodato come bellezza". Ora, il bello appartiene alla causa formale. Dunque anche il bene.
2. Il bene è diffusivo del suo essere, come abbiamo dalle parole di Dionigi, dove dice che "il bene è ciò da cui deriva che le cose sussistono e sono". Ora, essere diffusivo è proprio della causa efficiente. Dunque il bene ha il carattere di causa efficiente.
3. S. Agostino afferma che "noi esistiamo perché Dio è buono". Ora, noi siamo da Dio come da causa efficiente. Dunque il bene ha il carattere di causa efficiente.

IN CONTRARIO: Aristotele dice che "lo scopo per cui una cosa esiste è come il fine ed il bene di tutto il resto". Quindi il bene ha carattere di causa finale.

RISPONDO: Bene si dice quanto è comunque desiderato, e ciò implica l'idea di fine; è evidente quindi che il bene presenta il carattere di causa finale. Nondimeno l'idea di bene presuppone l'idea di causa efficiente e quella di causa formale. Noi infatti vediamo che le cose riscontrate come prime nel causare sono le ultime nel causato: p. es., il fuoco, prima di comunicare la sua natura di fuoco, riscalda, sebbene il calore nel fuoco sia dovuto alla sua forma sostanziale. Ora, nell'ordine delle cause, prima si riscontra il bene - il fine - che mette in movimento la causa efficiente; poi, viene l'azione della causa efficiente, che muove alla (nuova) forma; finalmente si ha (nel soggetto) la forma. Nell'effetto causato invece si ha un ordine inverso; cioè, prima si ha la forma, che costituisce l'essere; poi, in questa forma si riscontra una virtù attiva, che appartiene all'essere perfetto (perché, come insegna Aristotele, una cosa è perfetta quando può produrre il suo simile): finalmente segue la ragione di bene, su cui si fonda la perfezione dell'ente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Veramente il bello ed il buono nel soggetto in cui esistono si identificano, perché fondati tutti e due sulla medesima cosa, cioè sulla forma; e per questo il bene viene lodato come bellezza. Ma nel loro concetto proprio differiscono. Il bene riguarda la facoltà appetitiva, essendo il bene ciò che ogni ente appetisce, e quindi ha il carattere di fine, poiché l'appetire è come un muoversi verso una cosa. Il bello, invece, riguarda la facoltà conoscitiva; belle infatti sono dette quelle cose che viste destano piacere. Per cui il bello consiste nella debita proporzione; poiché i nostri sensi si dilettano nelle cose ben proporzionate, come in qualche cosa di simile a loro; il senso infatti come ogni altra facoltà conoscitiva, è una specie di proporzione. E poiché la conoscenza si fa per assimilazione, e la somiglianza d'altra parte riguarda la forma, il bello propriamente si ricollega all'idea di causa formale.
2. Si dice che il bene tende a diffondere il proprio essere (non come causa agente ma) nel senso stesso in cui si dice che il fine muove.
3. L'agente volontario (p. es., l'uomo) si dice buono in quanto ha la volontà buona, perché noi facciamo uso di tutto quello che è in noi mediante la volontà. Quindi non si dice buono un uomo che ha buona intelligenza, ma un uomo che ha buona la volontà. Ora, la volontà ha per proprio oggetto il fine; e quindi la frase (di S. Agostino) "noi esistiamo perché Dio è buono" si riferisce alla causa finale.

ARTICOLO 5

Se la natura del bene consista nel modo, nella specie e nell'ordine

SEMBRA che la natura propria del bene non consista nel modo, nella specie e nell'ordine. Infatti:
1. Il bene e l'ente concettualmente differiscono, come è già stato detto. Ora, modo, specie e ordine sembrano piuttosto appartenere al concetto di ente, poiché si dice nella Scrittura: "tutte le cose (o enti) hai disposto in misura, numero e peso"; e a questi tre elementi si riducono il modo, la specie e l'ordine, come spiega lo stesso S. Agostino, il quale appunto scrive: "La misura determina a ciascuna cosa il suo modo; il numero offre a ogni cosa la sua specie; e il peso trae ogni cosa al suo riposo e alla sua stabilità". Dunque non l'essenza del bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.
2. Modo, specie ed ordine sono anch'essi dei beni. Se dunque il bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine, bisogna che ognuna di queste cose abbia e modo e specie e ordine. Si andrebbe così all'infinito.
3. Il male consiste nella privazione del modo, della specie e dell'ordine. Ora, il male non toglie totalmente il bene. Dunque il bene non consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.
4. Non può dirsi cattivo ciò che forma l'essenza del bene. Ora, si dice: malo modo, cattiva specie, ordine difettoso. In essi dunque non può consistere l'essenza del bene.
5. Modo, specie e ordine, derivano dal peso, dal numero e dalla misura com'è evidente dal brano citato di S. Agostino. Ora, non tutte le cose buone hanno numero, peso e misura; S. Ambrogio infatti dice che "la natura della luce consiste nel non essere stata creata in numero, peso e misura". Dunque il bene non consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.

IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: "Queste tre cose: il modo, la specie e l'ordine sono come dei beni generali nelle cose fatte da Dio: per cui, dove queste tre cose sono grandi, vi sono grandi beni; dove piccole, piccoli beni; dove non ci sono, non c'è alcun bene". Ciò non sarebbe se in esse non consistesse l'essenza del bene. Dunque il bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.

RISPONDO: Una cosa è detta buona nella misura che è perfetta, perché per questo è desiderabile, come si è dimostrato sopra. Perfetto infatti è ciò cui niente manca stando al modo della sua perfezione. Siccome poi ogni essere è quello che è in forza della sua forma, e siccome ogni forma ha i suoi presupposti e le sue conseguenze necessarie; affinché una cosa sia perfetta e buona è necessario che abbia la sua forma, i prerequisiti di essa e ciò che ne deriva. Ora, ogni forma preesige l'esatta determinazione o commensurazione dei suoi principi tanto materiali che efficienti; e ciò viene espresso dal modo: per cui si dice che la misura predetermina il modo. La forma stessa è indicata dalla specie, perché mediante la forma ogni cosa è costituita nella sua specie. E per questo si dice che il numero fornisce la specie; perché, al dire di Aristotele, le definizioni che esprimono la specie sono come i numeri: come infatti un'unità aggiunta o sottratta cambia la specie del numero, così nelle definizioni una differenza aggiunta o sottratta (cambia la specie della cosa definita). Dalla forma poi deriva la tendenza al fine, o all'azione o ad altre cose di questo genere; perché ogni essere agisce in quanto è in atto, e tende verso ciò che gli si confà secondo la sua forma. Tutto ciò è indicato dal peso e dall'ordine. Cosicché la nozione di bene, come consiste nella perfezione, consiste pure nel modo, nella specie e nell'ordine.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Queste tre cose (numero, peso e misura) non accompagnano l'ente se non in quanto è perfetto: e sotto quest'aspetto l'ente è buono o bene.
2. Modo, specie e ordine si dicono beni nella stessa maniera che si dicono enti: non perché essi siano realtà sussistenti, ma perché per mezzo di essi altre cose sono enti e beni. Quindi non è necessario che essi abbiano altri principi per esser buoni. Infatti non son detti buoni come se formalmente fossero buoni per mezzo di altri principi; ma perché per mezzo di essi certe cose sono formalmente buone; come la bianchezza, p. es., non si dice che è un'entità perché è costituita da qualche cosa, ma perché per mezzo di essa una cosa ha un certo modo di essere, vale a dire è bianca.
3. Ogni essere è costituito secondo una certa forma, e perciò a seconda del vario modo di essere di ciascuna cosa, vi sarà un modo, una specie, un ordine: così, un uomo, in quanto uomo, ha un modo, una specie, un ordine; ugualmente in quanto bianco ha una specie, un modo e un ordine; così pure in quanto è virtuoso e sapiente, e così per ogni altro suo attributo. Ora, il male priva di un certo essere, p. es., la cecità priva dell'entità della vista: perciò non toglie ogni modo, specie e ordine, ma soltanto il modo, la specie e l'ordine propri dell'entità della vista.
4. Come spiega S. Agostino: "Ogni modo, in quanto modo, è buono" (e altrettanto può dirsi della specie e dell'ordine); (perciò quando si dice:) "malo modo, cattiva specie, ordine difettoso, si vuole soltanto dire o che in un dato soggetto non ci sono in quel grado in cui ci dovrebbero essere, o che non sono adattati a quelle cose alle quali devono essere adattati; cosicché (modo, specie e ordine) si dicono cattivi perché sono fuori di posto e sconvenienti".
5. La luce è detta da S. Ambrogio senza numero, senza peso e misura, non in senso assoluto, ma in confronto ad altri corpi, perché essa si estende a tutti i corpi; essendo una qualità attiva del primo corpo alterante, cioè del cielo.

ARTICOLO 6

Se il bene sia diviso convenientemente in bene onesto, utile e dilettevole

SEMBRA che il bene non sia diviso convenientemente in bene onesto, utile e dilettevole. Infatti:
1. Dice Aristotele che "il bene si divide secondo i dieci predicamenti". Ora, l'onesto, l'utile e il dilettevole si possono riscontrare in un solo predicamento. Quindi non è esatta una tale divisione.
2. Ogni divisione si fa per mezzo di contrapposizioni. Ora, queste tre cose non sembrano opposte tra loro; perché, come dice pure Cicerone, i beni onesti sono anche dilettevoli e nessuna cosa disonesta è (veramente) utile (ciò che, tuttavia, dovrebbe essere, se la divisione si facesse per contrapposizione in modo da opporre onesto e utile). Non è dunque conveniente la suddetta divisione.
3. Se una cosa esiste per un'altra (non si devono queste due cose contrapporre perché in certo modo) non ne formano che una sola. Ora, l'utile, non è buono se non perché fa raggiungere il dilettevole e l'onesto. Dunque l'utile non si deve dividere in contrapposizione all'onesto e al dilettevole.

IN CONTRARIO: S. Ambrogio usa tale divisione del bene.

RISPONDO: Questa divisione sembrerebbe propria del bene umano. Tuttavia, considerando l'idea di bene da un punto più alto e più generale, troviamo che tale divisione conviene propriamente al bene in quanto bene. Infatti, una cosa è buona in quanto è desiderabile e termine del moto della facoltà appetitiva. Il termine di questo moto si può giudicare alla stregua del movimento di un corpo fisico. Pertanto, il movimento di un corpo fisico termina, assolutamente parlando, all'ultima tappa; ma in qualche modo anche alle tappe intermedie, attraverso le quali si arriva all'ultima, che pone termine al moto; e queste si dicono impropriamente termini del moto in quanto ne terminano una parte. Inoltre, per ultimo termine del movimento si può intendere o la cosa stessa verso la quale tende il movimento, come una nuova località o una nuova forma d'essere, oppure il riposo nel punto d'arrivo. Orbene, nel moto della facoltà appetitiva, l'appetibile che termina solo relativamente il moto dell'appetito, come mezzo per tendere ad altro, si chiama utile. Quanto poi vien desiderato come scopo ultimo e che termina totalmente il moto dell'appetito, come cosa verso la quale il desiderio tende direttamente, si chiama onesto, perché onesto è ciò che si desidera direttamente. Quello poi che termina il moto dell'appetito, come riposo nell'oggetto desiderato, è il dilettevole.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il bene, in quanto in concreto si identifica con l'ente, si divide nei dieci predicamenti; ma preso nel suo concetto proprio gli si addice la divisione sopraindicata.
2. La presente divisione non si fa per opposizione di cose, ma di formalità o di concetti. Tuttavia, in senso più ristretto si chiamano dilettevoli quelle cose che in sé non hanno altra ragione di desiderabilità che il piacere, essendo talora nocive e disoneste. Utili poi si dicono quelle che in sé non hanno di che esser desiderabili, ma che si appetiscono solo in quanto conducono ad altro bene, come prendere una medicina amara. Oneste finalmente si dicono quelle cose che in sé medesime presentano un'attrattiva.
3. Il bene non si divide nei tre modi suddetti come un concetto univoco che si applica a ciascuno di essi ugualmente; ma come un concetto analogo, che si applica secondo una certa gradazione (cioè in ragione di dipendenza). La nozione di bene primieramente si applica all'onesto, in secondo luogo al dilettevole, in terzo luogo all'utile.