La Grazia
Somma Teologica I-II, q. 110
La grazia di Dio nella sua essenza
Passiamo a considerare la grazia di Dio nella sua essenza.
Su codesto tema tratteremo quattro argomenti: 1. Se la grazia
ponga qualche cosa nell'anima; 2. Se la grazia sia una qualità; 3.
Se la grazia differisca dalle virtù infuse; 4. La sede della grazia.
ARTICOLO
1
Se la grazia ponga qualche cosa nell'anima
SEMBRA che la grazia non ponga niente nell'anima. Infatti:
1. Si dice che uno ha la grazia di Dio, come si usa dire che uno
ha la grazia di un uomo, secondo quell'espressione della Genesi: "Il Signore fece trovar grazia a Giuseppe presso il capo del
carcere". Ora, per il fatto che uno ottiene la grazia di un uomo, non viene ad avere in sé qualche cosa da codesta grazia; ma si riscontra
piuttosto una specie di compiacenza in chi la concede. Quindi
quando si dice che l'uomo ha la grazia di Dio, non si viene a porre qualche cosa nell'anima, ma si
vuol solo indicare la compiacenza divina.
2. Come l'anima vivifica il corpo, così Dio vivifica l'anima; poiché
sta scritto: "È egli la tua vita". Ma l'anima vivifica il corpo in
maniera immediata. Dunque non c'è niente di mezzo tra Dio e
l'anima. Quindi la grazia non mette niente di creato nell'anima.
3. Commentando l'espressione paolina,
"Grazia a voi e pace", la Glossa spiega:
"Grazia, cioè la remissione dei peccati". Ora, la
remissione dei peccati non pone niente nell'anima, ma solo
presuppone in Dio la non imputazione del peccato, secondo le parole del
Salmo: "Beato l'uomo cui Dio non imputa colpa". Dunque
neppure la grazia pone qualche cosa nell'anima.
IN CONTRARIO: La luce pone qualche
cosa in chi è illuminato. Ora,
la grazia è una luce dell'anima; infatti S. Agostino ha scritto: "Il
trasgressore della legge è giustamente abbandonato dalla luce
della verità, privo della quale diviene realmente cieco". Perciò la
grazia pone qualche cosa nell'anima.
RISPONDO: Secondo l'uso comune il termine grazia può avere tre
significati. Primo, può indicare l'amore di qualcuno: si usa dire p. es.,
che un soldato ha la grazia del re, nel senso che il re lo
gradisce. Secondo, può indicare un dono gratuito; come quando si
dice: "Ti faccio questa grazia". Terzo, può avere il senso di
riconoscenza per un beneficio gratuito: come quando si parla di
rendimento di grazie. Di questi tre sensi il secondo dipende dal primo:
infatti dall'amore per cui a uno è gradita una data persona,
derivano le gratificazioni verso di essa. Il terzo poi dipende dal
secondo: poiché il rendimento di grazie segue ai benefici offerti
gratuitamente.
Ora, negli ultimi due casi è evidente che la grazia implica
qualche cosa in colui che se ne giova: in un caso lo stesso dono
gratuito; nell'altro la riconoscenza per esso. Ma nel primo di questi
due casi bisogna notare la differenza esistente tra la grazia di Dio
e la grazia degli uomini. Infatti, derivando il bene delle creature
dalla volontà di Dio, qualsiasi bene che la creatura accoglie,
promana dall'amore col quale Dio vuole il bene della creatura. Invece
la volontà dell'uomo viene mossa dal bene preesistente nelle cose:
ecco perché l'amore dell'uomo non causa totalmente la bontà delle
cose, ma la presuppone, o in parte, o in tutto. Perciò è evidente che
qualsiasi bene, comunque causato nella creatura, segue sempre a
un atto di amore da parte di Dio, e non è mai coeterno all'eterno
amore. Però dalle differenze di tali beni scaturiscono le differenze
dell'amore di Dio verso la creatura. C'è infatti un amore
universale, con il quale "egli ama tutte le cose esistenti", come dice la
Scrittura; e in forza di esso viene elargita l'esistenza naturale a
tutte le cose create. C'è poi un amore speciale, di cui Dio si serve
per innalzare la creatura ragionevole, sopra la condizione della
natura, alla partecipazione del bene divino. E in questo ultimo caso
si dice che Dio ama una persona in senso assoluto: poiché con
questo amore Dio vuole senz'altro alla creatura quel bene eterno, che
è lui medesimo.
Ecco perché quando si dice che uno ha la grazia di Dio, si vuol
indicare un dono soprannaturale prodotto da Dio nell'uomo. - Tuttavia
talora si denomina grazia di Dio lo stesso amore eterno
di Dio: si parla così della grazia di predestinazione, in quanto Dio
non per i meriti, ma gratuitamente, ha scelto o predestinato alcuni,
come insegna S. Paolo: "Ha predestinato noi ad essere figli suoi
adottivi, a lode della gloria della sua grazia".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Anche quando si parla della
grazia che uno riscuote da parte degli uomini, si vuole intendere che
in lui c'è qualche cosa che lo rende gradito, come quando si dice
che uno ha la grazia di Dio; ci sono però delle differenze. Infatti
ciò che rende gradito un uomo a un altro è presupposto a codesto
amore, o gradimento; mentre ciò che rende graditi a Dio viene
causato dall'amore di Dio, come abbiamo spiegato.
2. Dio è la vita dell'anima come causa efficiente: l'anima invece
è vita del corpo come causa formale. Ora, tra forma e materia non
ci possono essere dati intermedi: poiché la forma da se stessa
informa la materia, o il subietto. Invece la causa agente non informa
il subietto con la sua sostanza, ma mediante la forma che essa
produce nella materia.
3. S. Agostino ha scritto nelle sue Ritrattazioni:
"Quel passo nel
quale affermai che la grazia è la remissione dei peccati, mentre la
pace consiste nella riconciliazione di Dio, non va inteso nel senso
che la pace stessa e la riconciliazione non siano da attribuire alla
grazia nel suo significato ordinario: ma che in un senso particolare
il termine grazia può indicare la remissione dei peccati". Perciò la
grazia non abbraccia soltanto la remissione dei peccati, ma anche
molti altri doni di Dio. E la stessa remissione dei peccati non
avviene, senza che Dio produca in noi un effetto, come vedremo.
ARTICOLO
2
Se la grazia sia una qualità dell'anima
SEMBRA che la grazia non sia una qualità dell'anima. Infatti:
1. Nessuna qualità agisce sul proprio subietto: poiché l'azione
della qualità è inseparabile dall'azione del subietto, cosicché
quest'ultimo agirebbe su se stesso. Ma la grazia agisce sull'anima.
Dunque la grazia non è una qualità.
2. La sostanza è più nobile della qualità. Ora, la grazia è più
nobile che la natura dell'anima: poiché con la grazia possiamo molte
cose, alle quali non basta la natura, come abbiamo visto. Quindi
la grazia non è una qualità.
3. Nessuna qualità rimane, se cessa di esistere in un soggetto.
Invece la grazia rimane. Infatti essa non si corrompe: poiché allora
sarebbe ridotta al nulla, come dal nulla viene creata, tanto che si
parla di "nuova creatura". Dunque la grazia non è una qualità.
IN CONTRARIO: Illustrando l'espressione del Salmista:
"Perché
renda vivace il volto con l'olio", la Glossa afferma che "la grazia
è il candore dell'anima, che attira il santo amore". Ora, il candore
dell'anima è una qualità, come la bellezza del corpo. Dunque la
grazia è una qualità.
RISPONDO: Come abbiamo spiegato nell'articolo precedente,
quando si dice che uno ha la grazia di Dio, si vuole indicare che in lui
si trova un effetto della gratuita volontà di Dio. Ma sopra abbiamo
già visto che l'uomo è aiutato in due maniere dalla gratuita volontà
di Dio. Primo, in quanto l'anima umana viene mossa da Dio a
conoscere, a volere, o a compiere qualche cosa. E allora codesto
effetto gratuito che si opera nell'uomo non è una qualità, ma un moto
dell'anima: infatti, a detta del Filosofo, "l'atto di chi muove è un
moto in chi viene mosso".
Secondo, l'uomo viene aiutato dalla gratuita volontà di Dio, in
quanto Dio infonde nell'anima un dono abituale. E questo perché
non è ragionevole che Dio provveda ciò che ama in vista di un bene
soprannaturale, meno di ciò che ama in vista di un bene naturale.
Ora, alle creature di ordine naturale egli non provvede soltanto
muovendole ai loro atti naturali, ma donando loro le forme e le
facoltà che sono i principii di codesti atti, perché da se stesse
tendano ad essi. Ed è così che i moti impressi da Dio diventano
connaturali e facili alle creature, secondo le parole della Sapienza: "Tutto dispone con
soavità". Perciò a maggior ragione egli
infonde forme, o qualità soprannaturali in coloro che muove al
conseguimento di un bene soprannaturale, mediante le quali li muove
a raggiungere i beni eterni con soavità e con prontezza. Ecco
quindi che il dono della grazia è una qualità.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La grazia, in quanto è una qualità,
agisce nell'anima non come causa efficiente, ma come causa
formale: cioè come la bianchezza fa bianchi, e la giustizia fa giusti.
2. Per sostanza s'intende, o la natura stessa di una data cosa;
oppure una parte di codesta natura, vale a dire come lo è la
materia, o la forma. Ora, la grazia, essendo superiore alla natura
umana, è impossibile che sia una sostanza, o una forma sostanziale:
ma è una forma accidentale dell'anima. Infatti ciò che si trova in
Dio in maniera sostanziale, viene ad essere in maniera accidentale
nell'anima che partecipa la bontà divina: come avviene per la
scienza. Ma per il fatto che l'anima partecipa imperfettamente la bontà
divina, quella partecipazione che corrisponde alla grazia ha
nell'anima una sussistenza meno perfetta che la sussistenza
dell'anima in se stessa. Però è superiore alla natura dell'anima, essendo un'emanazione
e una partecipazione della bontà divina: ma non quanto al modo di esistere.
3. Come dice Boezio,
"l'esistenza dell'accidente è l'inerenza".
Infatti l'accidente non si denomina ente perché ha l'essere in se
stesso, ma perché per suo mezzo una cosa è: ecco perché Aristotele
scrive che l'accidente "più che ente è dell'ente". E poiché la
corruzione e la produzione appartengono al soggetto cui appartiene
l'essere, propriamente parlando un accidente né si produce, né si
corrompe: ma si dice che si produce o si corrompe, in quanto il
soggetto comincia o cessa di essere in atto rispetto a codesto accidente.
È in tal senso che si parla della creazione della grazia, cioè nel senso
che gli uomini vengono creati in essa, ossia vengono costituiti in
un nuovo modo di essere dal nulla. ossia dall'inesistenza dei
meriti: secondo le parole di S. Paolo; "Creati in Cristo Gesù nelle
opere buone".
ARTICOLO
3
Se la grazia si identifichi con la virtù
SEMBRA che la grazia s'identifichi con la virtù. Infatti:
1. S. Agostino insegna, che
"la grazia operante è la fede che
opera mediante la carità". Ma la fede che opera mediante la carità
è una virtù. Dunque la grazia è una virtù.
2. Se a una cosa conviene una definizione, conviene pure il
definito. Ora, le definizioni che i Santi Dottori e i filosofi danno della
virtù convengono anche alla grazia: questa infatti "rende buono
chi la possiede, e l'opera che egli compie"; inoltre essa è "una
buona qualità della mente, con la quale rettamente si vive, ecc.". Perciò la grazia è una virtù.
3. La grazia è una qualità. Ora, è evidente che essa non è nella
quarta specie della qualità, che è "la forma o la figura costante di
una cosa": poiché non appartiene al corpo. E non è nella terza,
perché non è "una passione, o qualità passibile", che si riscontra
nell'anima sensitiva, come Aristotele dimostra; mentre la grazia
risiede in maniera principale nella mente. E neppure è nella
seconda specie, che è "la potenza o l'impotenza naturale": perché la
grazia è superiore alla natura; e non è indifferente al bene e al
male come codesta potenza. Perciò deve appartenere alla prima
specie, che è "l'abito o la disposizione". Ora, gli abiti dell'anima sono
le virtù: poiché persino la scienza è in qualche modo una virtù,
come sopra si disse. Dunque la grazia s'identifica con la virtù.
IN CONTRARIO: Se la grazia fosse una virtù, dovrebbe essere
certamente una delle tre virtù teologali. Ma non è né la fede né la
speranza; perché queste possono trovarsi anche senza la grazia
santificante. E neppure è la carità: perché, a detta di S. Agostino, "la
grazia previene la carità". Perciò la grazia non è una virtù.
RISPONDO: Alcuni hanno pensato che la grazia s'identifichi
essenzialmente con la virtù, distinguendosi da essa soltanto secondo
ragione; essa, cioè, si chiamerebbe grazia in quanto rende l'uomo
grato a Dio, oppure in quanto viene data gratuitamente; e sarebbe
virtù in quanto dispone a ben operare. Sembra che questa fosse
l'opinione del Maestro delle Sentenze.
Ma se si considera bene la nozione di virtù, ci si accorge che così
non può essere. Poiché, come si esprime il Filosofo, "la virtù è la
disposizione di un essere perfetto; e chiamo perfetta quella cosa che
è disposta secondo natura". Dal che si dimostra che la virtù di
una cosa qualsiasi è relativa a una natura preesistente: si parla
cioè di virtù quando un essere è disposto in conformità con la sua
natura. Ora, è evidente che le virtù acquisite con gli atti umani,
e delle quali abbiamo già trattato, sono disposizioni che
dispongono l'uomo in conformità con la natura umana. Invece le virtù
infuse dispongono l'uomo in una maniera superiore, e a un fine più
alto: perciò è necessario che esse si ricolleghino anche a una
natura superiore. E cioè alla natura divina partecipata, di cui così
parla S. Pietro: "Ha donato a noi grandissime e preziose
promesse, affinché per mezzo di queste diventiate partecipi della natura
divina". Per aver noi ricevuto codesta natura, possiamo dire di
essere stati rigenerati come figli di Dio.
Perciò, come la luce naturale della ragione è distinta dalle virtù
acquisite, che si ricollegano a codesta luce; così la luce della
grazia, che è una partecipazione della natura divina, è distinta dalle
virtù infuse, che da essa derivano e che ad essa sono ordinate.
Infatti l'Apostolo così si esprime: "Una volta eravate tenebre, ma
ora siete luce nel Signore: camminate come figli della luce".
Poiché, come le virtù acquisite predispongono l'uomo a camminare in
conformità con la luce naturale della ragione; così le virtù infuse
lo predispongono a camminare conforme alla luce della grazia.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino denomina la grazia
fede operante mediante la carità, perché l'atto di codesta fede è il primo atto in cui si manifesta la grazia santificante.
2. La bontà di cui si parla nella definizione della virtù si
concepisce come conformità a una natura preesistente, o essenziale, o
partecipata. Non è questa invece la bontà che si attribuisce alla
grazia: alla quale la bontà va attribuita perché radice della bontà
umana, secondo le spiegazioni date.
3. La grazia appartiene alla prima specie della qualità. Però non
s'identifica con la virtù: essendo un abito presupposto alle virtù
infuse, quale loro principio e radice.
ARTICOLO 4
Se
la grazia risieda nell'essenza dell'anima, o in qualcuna
delle sue facoltà
SEMBRA che la grazia non risieda nell'essenza dell'anima, ma in
qualcuna delle sue facoltà. Infatti:
1. Scrive S. Agostino che la grazia sta alla volontà, o al libero
arbitrio, "come il cavaliere sta al cavallo". Ora, la volontà, o libero
arbitrio, è una facoltà, come abbiamo visto nella Prima Parte.
Dunque la grazia risiede in una facoltà dell'anima.
2. Come insegna S. Agostino,
"dalla grazia derivano i meriti
degli uomini". Ma i meriti consistono in determinati atti, i quali
promanano da una potenza. Dunque la grazia è dotazione di una
potenza dell'anima.
3. Se l'essenza dell'anima è la sede propria della grazia, è
necessario che l'anima in quanto ha l'essenza, sia capace della grazia.
Ma questo è falso: ché allora qualsiasi anima sarebbe capace
della grazia. Perciò l'essenza dell'anima non è il subietto proprio
della grazia.
4. L'essenza dell'anima è prima delle sue facoltà. Ora, chi è
prima può concepirsi senza ciò che è dopo. Quindi ne seguirebbe che
si può concepire la grazia in un'anima, a prescindere dalle parti,
o facoltà di quest'ultima, cioè a prescindere dalla volontà,
dall'intelligenza, ecc. Il che è assurdo.
IN CONTRARIO: Mediante la grazia veniamo rigenerati come figli
di Dio. Ora, la generazione ha come termine più l'essenza che le
facoltà. Dunque la grazia è più nell'essenza dell'anima che nelle
sue potenze.
RISPONDO: Questo problema dipende da quello precedente. Infatti
se la grazia si identifica con le virtù, è necessario che abbia la sua sede nelle potenze dell'anima. Se invece differisce dalle virtù, è
inammissibile che le facoltà dell'anima siano la sede della grazia:
poiché qualsiasi perfezionamento delle facoltà psichicbe ha natura
di virtù, come sopra abbiamo detto. Perciò rimane stabilito che la
grazia, come precede le virtù, così deve avere una sede che preceda
le potenze dell'anima: essa cioè deve risiedere nell'essenza
dell'anima. Infatti l'uomo, come partecipa la conoscenza divina con la
virtù della fede mediante la facoltà dell'intelletto, e l'amore divino con
la virtù della carità mediante la facoltà volitiva; così partecipa la
natura divina, secondo una certa somiglianza, con una nuova
generazione o creazione, e mediante la natura dell'anima.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dall'essenza dell'anima
emanano le facoltà, che sono principii degli atti, così dalla grazia
emanano le virtù nelle varie facoltà dell'anima, le quali muovono
all'atto codeste potenze. Ecco perchè la grazia viene riferita alla
volontà come il motore alla cosa mossa, cioè come il cavaliere al
cavallo: non già come un accidente al suo subietto.
2. È così risolta anche la seconda difficoltà. Infatti la grazia è
principio degli atti meritori mediante le virtù: come l'essenza
dell'anima è principio degli atti vitali mediante le facoltà.
3. L'anima è sede della grazia in quanto appartiene alla specie
delle nature intellettive, o razionali. Ora, l'anima non è costituita
nella sua specie da qualcuna delle sue facoltà: essendo queste
ultime proprietà naturali che seguono la specie. Perciò l'anima
umana differisce specificamente dalle altre anime, cioè da quelle
delle bestie e delle piante, in forza della propria essenza. E quindi,
se l'essenza dell'anima umana è sede, o subietto della grazia, non
ne segue che qualsiasi anima debba essere sede della grazia:
poiché ciò conviene all'essenza dell'anima in quanto appartiene a
quella data specie.
4. Essendo le facoltà dell'anima proprietà naturali che
accompagnano la specie, l'anima non può esistere senza di esse. Ma anche
ammesso che esistesse in codesto modo, l'anima dovrebbe ancora
dirsi intellettiva o razionale nella sua specie: non perché possiede
codeste potenze in maniera attuale, ma per la specie di
quell'essenza, dalla quale esse son chiamate a derivare.
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