La Devozione
Somma Teologica II-II, q. 82
Veniamo ora a considerare gli atti della religione. In primo luogo
gli atti interni, che sono i principali, come abbiamo detto; in
secondo luogo quelli esterni, che sono secondari. Ora, gli atti interni
della religione sono devozione e preghiera. Perciò dobbiamo
trattare: primo, della devozione; secondo, della preghiera.
Sul primo argomento esamineremo quattro cose: 1. Se la devozione
sia un atto specificamente distinto; 2. Se sia un atto della
virtù di religione; 3. La causa della devozione; 4. I suoi effetti.
ARTICOLO
1
Se la devozione sia un atto specificamente distinto
SEMBRA che la devozione non sia un atto specificamente distinto.
Infatti:
1. Ciò che si riduce a un modo di altri atti non è un atto speciale.
Ma la devozione si riduce a un modo di altri atti, poiché si legge
nei Paralipomeni: "Tutta la moltitudine offrì vittime e lodi e
olocausti con animo devoto". Dunque la devozione non è un atto
speciale.
2. Nessun atto specifico può rientrare in generi diversi di atti.
Ora, la devozione si riscontra in atti di generi diversi, e cioè in
atti corporali e in atti spirituali: infatti si può dire che uno è
devoto e nel meditare, e nel genuflettere. Quindi la devozione non è
un atto specifico, o speciale.
3. Qualsiasi atto specifico appartiene, o alla
facoltà appetitiva,
o a quella conoscitiva. Ma la devozione non è attribuita né all'una
né all'altra; com'è evidente per chi scorre l'enumerazione già
ricordata dei loro atti specifici. Perciò la devozione non è un atto
speciale.
IN CONTRARIO: Come sopra abbiamo notato, si merita con gli atti.
Ora, la devozione ha un'efficacia speciale nel meritare. Dunque la
devozione è un atto specifico.
RISPONDO: Devozione deriva da devovere (consacrare): infatti
si dicono devoti coloro che in qualche modo si consacrano a Dio,
sottomettendosi a lui totalmente. Per questo in antico presso i
pagani erano detti devoti coloro che si immolavano agli idoli per la
salvezza dell'esercito, come narra Tito Livio dei due Deci. Perciò
la devozione non è altro che una volontà o volizione di dedicarsi
prontamente alle cose attinenti al servizio di Dio. Ecco perché
nell'Esodo si legge, che "la moltitudine dei figlioli d'Israele con animo
prontissimo e devoto offrì le cose più preziose al Signore". Ora, è
evidente che la volontà di compiere con prontezza le cose attinenti
al servizio di Dio è un atto speciale. Dunque la devozione è un atto
speciale della volontà.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Chi muove imprime anche la
maniera al moto del mobile. Ora, la volontà muove le altre potenze
dell'anima ai loro atti: poiché la volontà nel volere il fine muove
se stessa in rapporto ai mezzi, come sopra dicemmo. Perciò, essendo
la devozione l'atto volitivo di un uomo il quale offre se stesso al
servizio di Dio, e quindi a Dio che è l'ultimo fine, ne segue che la
devozione determina il modo di tutti gli altri atti, sia di quelli della
volontà rispetto ai mezzi, sia di quelli delle altre potenze che sono
mosse dalla volontà.
2. La devozione si riscontra in atti di generi diversi non come
una specie di essi, ma come l'infiusso di un motore si riscontra nei
moti di quanto esso muove.
3. La devozione è un atto della parte appetitiva dell'anima, ed è,
come abbiamo detto, un moto della volontà.
ARTICOLO
2
Se la devozione sia un atto della virtù di religione
SEMBRA che la devozione non sia un atto della virtù di religione.
Infatti:
1. La devozione, come abbiamo detto, consiste nel darsi a Dio.
Ora, questo si compie specialmente mediante la carità: perché, a
detta di Dionigi, "l'amore di Dio produce l'estasi, non permettendo
l'amore a chi ama di appartenere a se stesso, ma a coloro che ama". Perciò la devozione è più un atto di carità che di religione.
2. La
carità precede la religione. La devozione invece sembra
precedere la carità: poiché nella Sacra Scrittura la carità è
paragonata al fuoco, e la devozione alla pinguedine, che è l'alimento
di esso. Dunque la devozione non è un atto di religione.
3. Dalla religione l'uomo, come abbiamo visto, è ordinato solo
in rapporto a Dio. Invece la devozione si può avere anche verso
gli uomini: infatti ci sono alcuni che son devoti di certi santi;
si dice inoltre dei sudditi che son devoti ai loro governanti, come
S. Leone Papa afferma dei Giudei, che dissero di "non aver altro
re all'infuori di Cesare, come devoti alle leggi romane". Quindi
la devozione non è un atto di religione.
IN CONTRARIO: Devozione, come abbiamo visto, deriva da devovere.
Ma il voto è un atto di religione. Dunque anche la devozione.
RISPONDO: Spetta a una medesima virtù voler fare una cosa e
avere la pronta volontà di farla: poiché i due atti hanno il
medesimo oggetto. Di qui l'affermazione del Filosofo: "La giustizia è
quella virtù con la quale gli uomini vogliono e compiono cose giuste". Ora, è evidente, dalle cose già dette, che compiere quanto
riguarda il culto e il servizio di Dio appartiene alla religione.
Dunque ad essa appartiene anche avere prontezza di volontà nel
compiere codeste cose, e cioè la devozione. Perciò è evidente che la
devozione è un atto della virtù di religione.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Immediatamente alla carità spetta
di far sì che l'uomo si doni a Dio aderendo a lui secondo una certa
unione spirituale. Ma a far sì che un uomo doni se stesso a Dio
con degli atti di culto, immediatamente spetta alla virtù di
religione; e mediatamente appartiene alla carità, che è il principio
(anche) di codesta virtù.
2. La pinguedine del corpo è prodotta dal calore naturale della
digestione; e a sua volta conserva il calore naturale come alimento
di esso. Parimenti la carità produce la devozione, poiché
uno è reso pronto dall'amore a servire un amico; e d'altra parte
la carità viene alimentata dalla devozione, come qualsiasi amicizia
viene conservata e accresciuta dalla prestazione e dallo scambio
di favori amichevoli.
3. La devozione verso persone sante, vive o morte che siano, non
ha in esse il suo termine, ma in Dio; poiché nei servi di Dio
veneriamo Dio stesso. - La devozione poi attribuita ai sudditi nei
riguardi delle autorità civili è di altro genere: come è di un genere
diverso dal servizio divino quello che si presta alle autorità civili.
ARTICOLO
3
Se la contemplazione, o meditazione, sia la causa della devozione
SEMBRA che la contemplazione, o meditazione, non sia la causa
della devozione. Infatti:
1. Nessuna causa impedisce il proprio effetto. Ora, le sottili
elucubrazioni spesso impediscono la devozione. Dunque la
contemplazione, o meditazione non è causa della devozione.
2. Se la contemplazione fosse la causa propria e diretta della
devozione, bisognerebbe che le cose di più alta contemplazione
fossero le più adatte per eccitare la devozione. Invece l'esperienza
dimostra il contrario; spesso infatti nasce più devozione dal
considerare la passione di Cristo, e gli altri misteri della sua umanità, che
dalla considerazione della grandezza di Dio. Dunque la
contemplazione non è la causa propria della devozione.
3. Se la contemplazione fosse la causa propria della devozione,
bisognerebbe che i più preparati per contemplare fossero anche i
più disposti alla devozione. Invece si riscontra il contrario: poiché
la devozione è più frequente negli uomini semplici e nelle donne,
in cui c'è una deficienza di contemplazione. Dunque la
contemplazione non è la causa propria della devozione.
IN CONTRARIO: Sta scritto:
"Nella mia meditazione divampò il
fuoco". Ma il fuoco spirituale causa la devozione. Quindi la
meditazione causa la devozione.
RISPONDO: Causa estrinseca e principale della devozione è Dio;
a proposito del quale S. Ambrogio afferma, che "Dio chiama quelli
che si degna chiamare, e rende religioso chi vuole: e se avesse
voluto avrebbe reso devoti i samaritani indevoti". Ma la causa
intrinseca da parte nostra deve essere la meditazione, o
contemplazione. La devozione, infatti, come abbiamo notato, è un atto della
volontà, che consiste nell'essere pronti a dedicarsi al culto di Dio.
Ora, ogni atto della volontà deriva da qualche considerazione,
poiché oggetto della volontà è un bene conosciuto
dall'intelletto: cosicché S. Agostino insegna che il volere nasce dall'intendere.
Dunque è necessario che la meditazione sia causa della devozione:
poiché l'uomo concepisce il proposito di consacrarsi al culto di
Dio mediante la meditazione.
E su codesto proposito influiscono due considerazioni. La prima
relativa alla bontà di Dio e ai suoi benefici, cui accennano le
parole dei Salmi: "Buon per me lo stare unito a Dio, porre nel
Signore Iddio la mia speranza". Questa considerazione eccita l'amore,
causa prossima della devozione. - La seconda relativa all'uomo,
il quale considera le sue deficienze, per cui ha bisogno di
appoggiarsi a Dio, secondo le parole dei Salmi: "Alzo gli occhi
verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal
Signore, che ha fatto cielo e terra". E questa considerazione
esclude la presunzione, che ostacola la sottomissione dell'uomo a
Dio, facendolo contare sulle proprie forze.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La considerazione di quanto serve
a suscitare l'amore di Dio causa la devozione. Mentre la
considerazione di cose di altro genere, che distraggono la mente, impedisce
la devozione.
2. Le perfezioni divine di suo sono le cose che suscitano
maggiormente l'amore, e quindi la devozione: poiché Dio è degno di
essere amato sopra ogni cosa. Ma la debolezza della mente umana
fa sì che l'uomo, come nella conoscenza delle cose di Dio, così
nell'amore sia nella necessità di essere condotto quasi per mano dalle
cose sensibili a noi più note, e tra queste la principale è l'umanità
di Cristo, come appare da quelle parole del Prefazio: "affinché
mentre conosciamo Dio in forma visibile, siamo da lui rapiti
nell'amore delle cose invisibili". Ecco perché le cose riguardanti l'umanità
di Cristo eccitano al massimo la devozione, come una guida
che prende per mano: mentre la devozione ha principalmente di
mira le perfezioni divine.
3. La scienza e tutto ciò che può dare prestigio è un'occasione
offerta all'uomo per confidare in se stesso, e quindi per non darsi
totalmente a Dio. Ecco perché tutto questo talora impedisce
occasionalmente la devozione: mentre questa abbonda nei semplici e
nelle donne, con la mortificazione dell'orgoglio. Però se un uomo
sottomette a Dio perfettamente la scienza e ogni altra perfezione,
allora anche per questo fatto la devozione aumenta.
ARTICOLO 4
Se l'effetto della devozione sia la gioia
SEMBRA che l'effetto della devozione non sia la gioia. Infatti:
1. La passione di Cristo specialmente è fatta per eccitare la
devozione. Ma codesta considerazione provoca nell'anima una certa
tristezza; poiché sta scritto, a proposito della passione: "Ricordati
della mia miseria, delle mie amarezze e acerbità. Nel rammentarle
si strugge in me l'anima mia". Dunque il piacere, o la
gioia, non è l'effetto della devozione.
2. La devozione consiste specialmente in un sacrificio interiore
dello spirito. Ora, nei Salmi si legge: "Sacrificio a Dio è lo spirito
contrito". Perciò effetto della devozione è più l'afflizione che la
giocondità, o la gioia.
3. S. Gregorio Nisseno afferma, che
"come il riso deriva dalla
gioia, così le lacrime e i gemiti son segni di tristezza". Ma capita
che alcuni prorompano in lacrime per la devozione. Dunque la letizia,
o gaudio, non è l'effetto della devozione.
IN CONTRARIO: In una colletta si legge:
"Fa' che quanti son castigati
dai rituali digiuni, siano rallegrati da una santa devozione".
RISPONDO: La devozione di per sé e principalmente causa la gioia
spirituale: di riflesso però e indirettamente causa la tristezza.
Sopra infatti abbiamo notato che la devozione nasce da due
considerazioni. Prima di tutto dalla considerazione della bontà divina:
che costituisce quasi il termine ultimo del moto della volontà
nell'atto di donarsi a Dio. E da questa considerazione direttamente
nasce la gioia, secondo le parole dei Salmi: "Mi son ricordato di
Dio, e mi sono rallegrato"; però indirettamente questa
considerazione causa una certa tristezza in coloro che non hanno ancora il
pieno godimento di Dio, secondo quelle altre parole del Salmista: "Ha sete l'anima mia del Dio vivente... Le mie lacrime sono il
mio pane...". - In secondo luogo, come abbiamo detto, la devozione
viene causata dalla considerazione delle proprie deficienze:
la quale costituisce il termine da cui l'uomo si allontana col moto
della volontà animata dalla devozione, non volendo confidare in
se stesso, ma sottomettersi a Dio. E in questa considerazione gli
effetti sono all'inverso della prima. Essa infatti direttamente è
fatta per causare la tristezza, col ricordo delle proprie deficienze:
e indirettamente la gioia, per la speranza dell'aiuto di Dio. - È così
dimostrato che la devozione in primo luogo e direttamente è
accompagnata dalla gioia; secondariamente e indirettamente è
accompagnata dalla "tristezza secondo Dio".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nella meditazione della passione
di Cristo c'è qualche cosa che rattrista, e cioè la miseria umana,
per togliere la quale "fu necessario che Cristo patisse": ma c'è
pure qualche cosa che rallegra, e cioè la benignità di Dio verso di
noi, nel procurarci una tale liberazione.
2. Lo spirito che per una parte viene contristato per la deficienza
della vita presente, dall'altra viene rallegrato alla considerazione
della bontà di Dio e in vista del suo aiuto.
3. Le lacrime non scaturiscono soltanto dalla tristezza, ma anche
da una certa tenerezza di affetti: specialmente quando si considera
qualche cosa di piacevole mescolato a elementi di tristezza;
cosicché gli uomini son soliti piangere per il sentimento della pietà
quando recuperano i figli o gli amici che credevano di aver perduto.
E in tal modo possono derivare le lacrime anche dalla devozione.
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