La Fede
Somma Teologica II-II, q. 10
L'incredulità in generale
Passiamo ora a trattare dei vizi contrari alla fede. Primo, dell'incredulità,
che si contrappone (direttamente) alla fede; secondo,
della bestemmia, che si contrappone alla confessione di essa; terzo,
dell'ignoranza e dell'ottusità, che si contrappongono alla scienza
e all'intelletto. Sul primo tema si deve considerare: primo, l'incredulità
in generale; secondo, l'eresia; terzo, l'apostasia dalla fede.
Sul primo di questi argomenti tratteremo dodici punti: 1. Se
l'incredulità sia peccato; 2. Dove essa risieda; 3. Se sia il più grave
dei peccati; 4. Se ogni azione di chi è privo di fede sia peccato;
5. Le varie specie di incredulità; 6. Loro confronto; 7. Se si debba
disputare sulla fede con gli increduli; 8. Se gli increduli si debbano
costringere a credere; 9. Se si possa avere rapporti con essi;
10. Se essi possano comandare sui cristiani; 11. Se il culto degli
infedeli si debba tollerare; 12. Se i bambini degli infedeli si possano
battezzare contro la volontà dei genitori.
ARTICOLO
1
Se l'incredulità sia peccato
SEMBRA che l'incredulità non sia peccato. Infatti:
1. Qualsiasi peccato è contro natura, come insegna il Damasceno.
Ora, l'incredulità non è contro natura, poiché S. Agostino afferma,
che "potere avere la fede, come potere avere la carità, è nella
natura dell'uomo; ma avere la fede, come avere la carità, è proprio
della grazia dei fedeli". Perciò non avere la fede, e cioè essere
increduli, non è contro natura, e quindi non è peccato.
2. Nessuno pecca facendo quello che non può evitare: poiché
ogni peccato è volontario. Ma non è in potere dell'uomo evitare
l'incredulità, da cui egli non può difendersi che accettando la
fede; infatti l'Apostolo scrive: "Come crederanno in uno di cui
non hanno sentito parlare? E come ne sentiranno parlare senza
chi lo annunzi?". Dunque l'incredulità non è peccato.
3. Abbiamo visto in un trattato precedente che ci sono sette vizi
capitali, a cui si riducono tutti i peccati. Ma in nessuno di essi
è inclusa l'incredulità. Perciò questa non è un peccato.
IN CONTRARIO: La virtù ha come contrario un vizio. Ora, la fede
è una virtù, alla quale si contrappone l'incredulità. Dunque l'incredulità è
peccato.
RISPONDO: Si possono riscontrare due tipi di incredulità. Primo,
un'incredulità di pura negazione: e così chiameremo uno infedele,
o incredulo, per il solo fatto che non ha la fede. Secondo, un'incredulità
di contrarietà alla fede: cioè per il fatto che uno resiste
alla predicazione della fede, o la disprezza, secondo il lamento di
Isaia: "Chi ha creduto a quel che ha udito da noi?". E in questo
si ha la perfetta nozione di incredulità. Ed è così che l'incredulità
è peccato.
Se invece si prende l'incredulità come pura negazione, quale si
trova in coloro che mai seppero nulla della fede, allora essa non
ha ragione di peccato, ma piuttosto di castigo, poiché tale ignoranza
delle cose divine deriva dal peccato dei nostri progenitori.
E quelli che sono increduli in questo senso si dannano per gli altri
peccati, che non possono essere rimessi senza la fede: ma non si
dannano per il peccato di incredulità. Di qui le parole del Signore: "Se non fossi venuto, e non avessi parlato, essi non avrebbero
colpa"; e S. Agostino spiega che qui si parla
"di quel peccato che
consiste nel non avere creduto in Cristo".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non è nella natura dell'uomo avere
la fede; però è nella natura di un uomo non contrastare mentalmente
alle ispirazioni interne, e alla predicazione esterna della
verità. Ed è per questo che l'incredulità è contro natura.
2. Il secondo argomento vale per l'incredulità di semplice negazione.
3. Il peccato dell'incredulità nasce dalla superbia, che suggerisce
all'uomo di non piegare la propria intelligenza alle regole
della fede, e alla sana interpretazione dei Padri. Perciò S. Gregorio
afferma, che "dalla vanagloria nascono le stravaganze dei novatori".
Però si potrebbe rispondere anche che, come le virtù teologali
non si riducono a quelle cardinali, ma le precedono; così anche i
vizi opposti alle virtù teologali non si riducono ai vizi capitali.
ARTICOLO
2
Se l'incredulità risieda nell'intelletto
SEMBRA che l'incredulità non risieda nell'intelletto.
Infatti:
1. Come insegna S. Agostino, tutti i peccati sono nella volontà.
Ora, l'incredulità è un peccato. Dunque risiede nella volontà e
non nell'intelletto.
2. L'incredulità è un peccato per il fatto che implica un disprezzo
per la predicazione della fede. Ma il disprezzo appartiene alla volontà.
Perciò l'incredulità risiede in quest'ultima.
3. La Glossa, spiegando quel passo paolino:
"Lo stesso Satana
si traveste in angelo di luce", afferma che "se l'angelo cattivo si
finge buono, non è un errore pericoloso e malsano, finché fa o dice
cose che si addicono agli angeli buoni". E questo per la rettitudine
della volontà di chi aderisce a lui, volendo aderire a un angelo buono.
Quindi tutta la malizia dell'incredulità sta nella volontà
cattiva. Essa perciò non risiede nell'intelletto.
IN CONTRARIO: I contrari si contendono il medesimo subietto. Ora,
la fede, che ha il suo contrario nell'incredulità, risiede nell'intelletto.
Dunque risiede nell'intelletto anche l'incredulità.
RISPONDO: In precedenza abbiamo dimostrato che i peccati risiedono
in quelle facoltà che sono principio dei loro atti. Ora, l'atto
peccaminoso può avere due principi. Il primo, radicale e universale,
che comanda tutti gli atti peccaminosi: e tale principio è la
volontà, poiché tutti i peccati sono volontari. Il secondo principio
del peccato è peculiare e prossimo, e questo emette l'atto peccaminoso: cioè
come il concupiscibile, p. es., è principio della gola
e della lussuria; e per questo motivo si dice che la gola e la lussuria
sono nel concupiscibile. Ora, il dissentire che è l'atto proprio
dell'incredulità, è un atto dell'intelletto, mosso però dalla volontà,
come l'assentire. Perciò l'incredulità, come la fede, ha la sua
sede immediata nell'intelletto, ma si trova nella volontà come nel
suo primo motore. E in questo senso si dice che tutti i peccati sono
nella volontà.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È così risolta la prima difficoltà.
2. Il disprezzo della volontà causa il dissentire dell'intelletto,
nel quale si attua l'incredulità. Perciò la causa dell'incredulità
è nel volere, ma l'incredulità stessa è nell'intelletto.
3. Chi crede buono un angelo cattivo non dissente dalle cose di
fede: poiché, a detta della medesima Glossa, "sebbene il senso
del corpo si inganni, la mente non abbandona la vera e giusta sentenza". Ma se uno aderisse a Satana,
"quando questi comincia
a condurre dalla sua parte". cioè al male e all'errore, allora non
mancherebbe il peccato.
ARTICOLO
3
Se l'incredulità sia il più grave dei peccati
SEMBRA che l'incredulità non sia il più grave dei peccati. Infatti:
1. S. Agostino ha scritto:
"Io non oso pronunziarmi se si debba
preferire un cattolico di pessimi costumi, a un eretico, nella cui
vita gli uomini non hanno niente da rimproverare, all'infuori dell'eresia". Ora, l'eretico è un incredulo. Dunque non si deve concludere
in senso assoluto che l'incredulità è il più grave dei peccati.
2. Ciò che scusa, o diminuisce il peccato non può essere il più
grave dei peccati. Ma l'incredulità scusa, o diminuisce il peccato;
poiché l'Apostolo afferma: "Prima ero bestemmiatore e persecutore
e prepotente; ma ottenni misericordia, perché agii per ignoranza
nella mia incredulità". Dunque l'incredulità non è il peccato
più grave.
3. Una pena maggiore deve corrispondere a un peccato più
grave, secondo le parole della Scrittura: "Secondo la gravità del peccato sarà la misura della pena". Ma ai fedeli che peccano,
come dice S. Paolo, si deve una pena maggiore che agli infedeli: "Di
quanto più severo castigo pensate sarà per essere giudicato
degno chi si sarà messo sotto i piedi il Figlio di Dio, e avrà stimato
vile il sangue del patto nel quale fu santificato?". Dunque
l'incredulità non è il massimo dei peccati.
IN CONTRARIO: S. Agostino, spiegando quel testo evangelico:
"Se
non fossi venuto e non avessi parlato, non avrebbero colpa", così
si esprime: "Sotto il termine generico di colpa vuole intendere un
peccato ben grave. Questo infatti", cioè l'incredulità, "è un peccato
che include tutti i peccati". Perciò l'incredulità è il più grave
di tutti i peccati.
RISPONDO: Qualsiasi peccato consiste formalmente, come sopra
fu detto, nell'avversione, o allontanamento da Dio. Perciò un peccato
tanto è più grave, quanto più l'uomo con esso si allontana
da Dio. Ora, l'uomo si allontana da Dio nella maniera più grave
con l'incredulità: poiché viene a mancare persino della vera conoscenza
di Dio; e con una conoscenza falsa a lui non si avvicina,
ma si allontana maggiormente. E chi ha una falsa idea di Dio non
può averne una conoscenza neppure parziale: poiché ciò che egli
pensa non è Dio. Perciò è evidente che il peccato di incredulità
è più grave di tutti i peccati nell'ordine delle virtù morali. Non
è così invece in rapporto ai peccati che si contrappongono alle
altre virtù teologali, come vedremo.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Niente impedisce che un peccato,
il quale è più grave nel suo genere, sia meno grave per alcune
circostanze. Ecco perché S. Agostino non osò pronunziarsi nel
giudicare il cattivo cattolico e l'eretico immune da altri peccati:
poiché il peccato dell'eretico, sebbene più grave nel suo genere,
può essere reso più leggero da qualche circostanza; e al contrario
il peccato del cattolico dalle circostanze può essere aggravato.
2. L'incredulità implica, sia l'ignoranza, sia la resistenza alle
cose di fede: e da questo lato acquista la natura di peccato gravissimo.
Invece per l'ignoranza merita piuttosto scusa: specialmente
quando uno non pecca per malizia, come avvenne nel caso dell'Apostolo.
3. L'incredulo è punito per il peccato di incredulità più severamente
che gli altri peccatori per qualsiasi altro peccato, stando
al genere del peccato. Ma per gli altri peccati, mettiamo per l'adulterio,
a parità di condizioni, un fedele pecca più gravemente di
un infedele: sia per la conoscenza della verità che gli viene dalla
fede; sia per i sacramenti ricevuti, e che egli peccando disonora.
ARTICOLO
4
Se qualsiasi atto di chi non ha la fede sia peccato
SEMBRA che qualsiasi atto di chi non ha la fede sia peccato.
Infatti:
1. A commento di quel detto paolino:
"Tutto quello che non è
secondo la fede è peccato", la Glossa afferma: "Tutta la vita degli
infedeli è peccato". Ora, alla vita di coloro che sono privi di
fede appartengono tutte le loro azioni. Dunque tutte le azioni di
chi non ha la fede sono peccati.
2. La fede rettifica l'intenzione. Ma non ci può essere un'opera
buona, che non sia fatta con retta intenzione. Perciò in chi è privo
di fede nessun'opera potrà essere buona.
3. Corrotto l'inizio, si corrompono anche le cose susseguenti.
Ora, l'atto della fede precede gli atti di tutte le virtù. Perciò, non
avendo gli increduli l'atto della fede, non possono compiere nessun'opera
buona, ma peccano in ogni loro azione.
IN CONTRARIO: A Cornelio, mentre era ancora privo di fede, fu
rivelato che le sue elemosine erano accette a Dio. Quindi non tutte
le azioni di chi è privo di fede sono peccati, ma alcune sono buone.
RISPONDO: È stato dimostrato in precedenza che il peccato mortale
toglie la grazia santificante, ma non distrugge totalmente il
bene di natura. Ora, essendo l'incredulità un peccato mortale, chi
è senza fede è privo della grazia, tuttavia rimangono in lui dei
beni di natura. Perciò è evidente che gli increduli non possono
compiere le opere buone che procedono dalla grazia, cioè le opere
meritorie: però essi possono compiere le opere buone per le quali
è sufficiente la bontà naturale. Quindi non è necessario che essi
pecchino in ogni loro azione: ma peccano tutte le volte che compiono
un'opera dettata dalla loro incredulità. Infatti, come uno
pur avendo la fede può commettere un peccato, sia veniale che
mortale, in un atto che non implica la fede; così chi è privo di
fede può compiere un atto buono in cose che non implicano la sua incredulità.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quella affermazione va intesa, o
nel senso che la vita degli infedeli non può essere senza peccato,
dal momento che i peccati non sono rimessi senza la fede; oppure
nel senso che quanto essi compiono, mossi dalla loro incredulità,
è peccato. Ecco perché a quel testo si aggiungono le parole: "poiché
chi vive, o agisce da incredulo pecca gravemente".
2. La fede rettifica l'intenzione rispetto al fine ultimo soprannaturale.
Ma anche il lume della ragione naturale è in grado di
rettificare l'intenzione rispetto a dei beni ad essa connaturali.
3. L'incredulità non distrugge totalmente la ragione naturale,
ma rimane negli increduli una certa conoscenza della verità, con
la quale possono compiere qualche opera buona.
4. Quanto al centurione Cornelio si deve notare che egli non era
privo di fede: altrimenti il suo operare non sarebbe stato accetto
a Dio, al quale nessuno può essere gradito senza la fede. Però
egli aveva una fede implicita, non ancora rischiarata dalla verità
evangelica. Ecco perché gli fu inviato S. Pietro, per istruirlo pienamente
nella fede.
ARTICOLO
5
Se ci siano più specie di incredulità
SEMBRA che non ci siano più specie di incredulità. Infatti:
1. Fede e incredulità, essendo tra loro contrarie, devono avere
il medesimo oggetto. Ora, la fede ha come oggetto formale la prima
verità, da cui deriva la sua unità, sebbene materialmente uno
creda molte cose. Perciò anche l'oggetto dell'incredulità è la
prima verità: mentre le cose che l'incredulo nega interessano solo
materialmente l'incredulità. Ma la differenza specifica non è basata
sui principi materiali, bensì su quelli formali. Dunque non
ci sono diverse specie di incredulità, secondo il variare delle verità
in cui gli increduli si ingannano.
2. Uno può deviare dalla verità della fede in una infinità di modi.
Perciò se si volessero determinare diverse specie di incredulità
secondo le diversità degli errori, ne seguirebbe una infinità di
specie. E quindi codeste specie non vanno considerate.
3. Uno stesso soggetto non può trovarsi in specie diverse. Invece
può capitare che uno sia incredulo, perché si inganna in diversi
dogmi. Perciò la diversità degli erori non può produrre diverse
specie di incredulità. E quindi non ci sono più specie di incredulità.
IN CONTRARIO: Ad ogni virtù si contrappongono più specie di vizi:
infatti, come dicono Dionigi e il Filosofo, "il bene si attua in una
maniera sola, il male invece in più modi". Ma la fede è una virtù.
Dunque ad essa si oppongono più specie di incredulità.
RISPONDO: Qualsiasi virtù consiste nel raggiungere la regola del
conoscere o dell'agire umano, come sopra abbiamo detto. Ma c'è
un solo modo di raggiungere la regola in una data materia: mentre
si può deviare da essa in molte maniere. Ecco perché a una
virtù si oppongono molti vizi. Ora, la varietà dei vizi contrapposti
a ciascuna virtù si può considerare sotto due aspetti. Primo, in
base al diverso rapporto che essi hanno con la virtù. E così vengono
determinate alcune specie di vizi: a una virtù morale, p. es.,
si oppone un vizio per eccesso, e un vizio per difetto. - Secondo,
in rapporto alla corruzione dei vari elementi che si richiedono per
la virtù. E da questo lato a una virtù, mettiamo alla temperanza, o alla
fortezza, si contrappongono infiniti vizi, perché sono infiniti
i modi d'alterare le varie circostanze della virtù scostandosi da
essa. Sicché i Pitagorici ritenevano che il male fosse infinito.
Perciò si deve concludere, confrontando l'incredulità alla fede,
che ci sono diverse specie d'incredulità numericamente determinate.
Infatti, consistendo il peccato d'incredulità nell'opporsi alla
fede, esso può avvenire in due maniere. Perché, o ci si oppone
alla fede non ancora abbracciata: e abbiamo l'incredulità dei
pagani, o gentili; oppure ci si oppone alla fede cristiana già abbracciata.
Se questa era stata abbracciata in modo figurale,
avremo l'incredulità dei Giudei; se invece era stata abbracciata
nella piena manifestazione della verità, avremo l'incredulità degli
eretici. Perciò possiamo attribuire all'incredulità in generale le
tre specie suddette. - Se invece distinguiamo le specie dell'incredulità
secondo gli errori relativi ai vari dogmi di fede, allora le
specie dell'incredulità non sono determinate: poiché gli errori si
possono moltiplicare all'infinito, come nota S. Agostino.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La ragione formale di un peccato
si può desumere da due fonti diverse. Primo, partendo dall'intenzione
di chi pecca: e allora oggetto formale del peccato è la
creatura, verso cui uno si volge col peccato; e da questo lato si
riscontrano molteplici specie di peccati. Secondo, partendo dall'intima
ragione di male: e allora oggetto formale del peccato è
il bene da cui ci si allontana; ma da questo lato il peccato non
ha specie, anzi è privazione di specie. Perciò si deve concludere
che la prima verità è oggetto dell'incredulità come punto dal quale
essa si allontana; mentre la falsa idea che viene abbracciata ne
è l'oggetto formale, come termine verso cui si volge: e da questo
lato le sue specie sono molteplici. Perciò come è unica la carità
che aderisce al sommo bene, mentre molteplici sono i vizi opposti
alla carità, che se ne allontanano, sia volgendosi verso i beni temporali,
sia per i diversi rapporti disordinati verso Dio; così anche
la fede è un'unica virtù, per il fatto che aderisce all'unica prima
verità; ma le specie dell'incredulità sono molteplici, per il fatto
che gli increduli seguono diverse false opinioni.
2. La seconda difficoltà vale per la distinzione di specie nell'incredulità
secondo i vari dogmi in cui è possibile sbagliare.
3. Come è unica la fede credendo molte verità in ordine a una
sola, così può essere unica l'incredulità, anche se sbaglia in più
cose, quando tutti codesti errori sono subordinati a uno solo. - Tuttavia
niente impedisce che un solo uomo possa errare in diverse
specie di incredulità; allo stesso modo che può soggiacere a
più vizi, e a molteplici malattie.
ARTICOLO
6
Se l'incredulità più grave sia quella dei gentili, o pagani
SEMBRA che l'incredulità più grave sia quella dei gentili, o pagani.
Infatti:
1. Come la malattia del corpo tanto è più grave quanto più importante è
l'organo che colpisce, così il peccato tanto è più grave
quanto è più importante nella virtù l'elemento cui si contrappone.
Ora, nella virtù della fede la cosa più importante è la fede nell'unità di Dio,
che i pagani non accettano, credendo essi in una
pluralità di dei. Dunque la loro incredulità è quella più grave.
2. Parlando degli eretici un'eresia tanto più è detestabile quanto
più importanti e numerose sono le verità di fede che essi combattono: l'eresia
di Ario, p. es., che negava la divinità di Cristo, era
più detestabile dell'eresia di Nestorio, che separava l'umanità di
Cristo dalla persona del Figlio di Dio. Ma i pagani si allontanano
dalla fede in cose più importanti che non i Giudei, o gli eretici:
poiché non accettano assolutamente nulla della fede. Quindi la
loro incredulità è quella più grave.
3. Qualsiasi bene ha il potere di diminuire il male. Ora, troviamo
del bene negli Ebrei; poiché ammettono che il vecchio Testamento
viene da Dio. E c'è del buono anche negli eretici: poiché venerano
il nuovo Testamento. Questi perciò peccano meno dei pagani,
i quali rigettano l'uno e l'altro Testamento.
IN CONTRARIO: Sta scritto:
"Meglio sarebbe stato per loro non
conoscere la via della giustizia, anziché, dopo averla conosciuta,
rivolgersi indietro". Ora, i pagani non hanno conosciuto la via
della giustizia: mentre gli eretici e gli Ebrei, avendola in parte
conosciuta, l'abbandonarono. Dunque il peccato di costoro è più grave.
RISPONDO: Abbiamo detto qui sopra che nell'incredulità si possono
considerare due cose. Primo, il suo rapporto (diretto) con la
virtù della fede. E da questo lato pecca più gravemente chi si oppone
alla fede già abbracciata, che colui il quale si oppone alla
fede non ancora accettata: come si pecca più gravemente non
stando alle promesse, che non adempiendo ciò che mai si era promesso.
E da questo lato l'incredulità degli eretici, che hanno professato
la fede evangelica e poi le si oppongono distruggendola,
peccano più gravemente degli Ebrei, i quali non hanno mai accettato
la fede evangelica. Questi però, avendola ricevuta in modo
figurale nel vecchio Testamento, la distruggono con le loro false
interpretazioni; perciò anche la loro incredulità è un peccato più
grave dell'incredulità dei pagani, i quali in nessun modo hanno
ricevuto la fede evangelica. - La seconda cosa da considerare
nell'incredulità è la perversione dei dogmi riguardanti la fede. E da
questo lato, l'incredulità dei pagani è più grave di quella degli
Ebrei, e quella degli Ebrei è più grave di quella degli eretici;
poiché i pagani negano più dogmi degli Ebrei, e gli Ebrei più degli
eretici; a esclusione, forse dei Manichei, i quali errano più dei pagani
nelle cose di fede. - Però tra i due tipi di gravità il primo prevale
sul secondo rispetto alla colpa. Infatti l'incredulità, come
sopra abbiamo detto, è colpevole più per la sua opposizione alla
fede, che per l'ignoranza delle verità di fede: la quale ha piuttosto
l'aspetto di pena, come sopra abbiamo detto. Perciò, assolutamente
parlando, la peggiore incredulità è quella degli eretici.
Sono così risolte anche le difficoltà.
ARTICOLO
7
Se si debba disputare pubblicamente con gli increduli
SEMBRA che non si debba disputare pubblicamente con gli increduli.
Infatti:
1. L'Apostolo così scriveva a Timoteo:
"Non contendere con le
parole; cosa che non giova a nulla, se non alla rovina di quelli che
ascoltano". Ora, non si può fare una pubblica disputa con gli increduli,
senza contendere a parole. Dunque non si deve disputare
pubblicamente con gli infedeli.
2. Una legge dell'imperatore Marciano, confermata dai Canoni,
suona così: "Fa ingiuria al sacrosanto Concilio, chi presume di
riesaminare e di disputare pubblicamente le cose che una volta
sono state giudicate e giustamente definite". Ma tutte le cose di
fede sono state determinate dai concili. Perciò pecca gravemente,
facendo un affronto a qualche concilio, chi presume di disputare
pubblicamente sulle cose di fede.
3. La disputa si compie con degli argomenti. Ora, l'argomento è
"una ragione che rende credibile una cosa dubbia". Ma le cose
di fede, essendo certissime, non sono da mettersi in dubbio. Dunque
non si deve disputare pubblicamente delle cose di fede.
IN CONTRARIO: Negli Atti si legge, che
"Saulo con forza crescente
confondeva i Giudei"; e che "parlava con i gentili e disputava
con gli ellenisti".
RISPONDO: Nelle dispute sulla fede si devono considerare due cose:
una a proposito di chi affronta la disputa, l'altra a proposito degli
ascoltatori. A proposito di chi disputa dobbiamo considerare l'intenzione.
Se infatti uno disputasse perché dubita della fede, senza
avere come presupposto la certezza della sua verità, volendo raggiungerla
con degli argomenti, peccherebbe indubbiamente, perché
incredulo e dubbioso sulle cose di fede. Se invece disputa sulla
fede, per confutare gli errori, o per esercizio, è cosa lodevole.
E a proposito degli ascoltatori si deve considerare, se coloro che
ascoltano la disputa sono istruiti e fermi nelle cose della fede, oppure,
se sono persone semplici e titubanti. Ora, a disputare delle
cose di fede dinanzi a persone istruite e ferme nel credere, non
c'è nessun pericolo. - Ma se si tratta di gente semplice, bisogna distinguere.
Infatti questi, o sono sollecitati e combattuti dagli increduli,
mettiamo dagli ebrei, dagli eretici, o dai pagani, che tentano
di corromperne la fede; oppure sono tranquilli, come avviene
nelle regioni in cui non ci sono increduli. Nel primo caso è necessario
disputare pubblicamente sulle cose di fede: purché vi siano
persone capaci e preparate, che possano confutare gli errori. Infatti
con questo mezzo i semplici vengono confermati nella fede,
e agli increduli si toglie la possibilità di ingannare; mentre lo stesso
silenzio di coloro che dovrebbero resistere ai corruttori della verità
della fede, sarebbe una conferma dell'errore. Di qui le parole
di S. Gregorio: "Come un discorso inconsiderato trascina nell'errore,
così un silenzio indiscreto abbandona all'errore coloro che si
potevano istruire". - Invece nel secondo caso è pericoloso disputare
pubblicamente sulla fede dinanzi alle persone semplici, la cui
fede è più ferma per il fatto che non hanno ascoltato mai niente
di diverso da ciò che credono. Perciò non conviene che essi ascoltino
i discorsi degli increduli che discutono contro la fede.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'Apostolo non proibisce qualsiasi
disputa, ma quelle disordinate, le quali sono fatte più di logomachie
che di solidi argomenti.
2. La legge suddetta proibisce le dispute che derivano da un
dubbio sulla fede; ma non quelle che tendono alla sua conservazione.
3. Non si deve disputare delle cose di fede come dubitando di
esse; ma per manifestare la verità e per confutare gli errori. Infatti
per confermare la fede talora è doveroso disputare con gli
increduli; a volte per difendere la fede, secondo le parole di S. Pietro: "Pronti
sempre a dare soddisfazione a chiunque vi domandi
ragione della speranza e della fede che è in voi"; e altre volte per
confutare gli erranti, secondo le parole di S. Paolo: "Affinché sia
in grado di esortare nella sana dottrina, e di confutare quelli che
la contraddicono".
ARTICOLO
8
Se gli increduli debbano essere costretti a credere
SEMBRA che gli increduli in nessun modo debbano essere costretti
a credere. Infatti:
1. Si legge nel Vangelo, che i servi di quel signore, nel cui campo
era stata seminata la zizzania, chiesero a costui: "Vuoi che andiamo
a raccoglierla?"; ed egli rispose: "No, perché raccogliendo
la zizzania, non strappiate anche il frumento". E il Crisostomo
spiega: "Così disse il Signore volendo proibire di uccidere. Infatti
non è necessario uccidere gli eretici: poiché se uccidete costoro,
necessariamente abbatterete con essi molti santi". Dunque per lo
stesso motivo nessun incredulo si deve costringere a credere.
2. Nel Decreto (di Graziano) si legge:
"A proposito degli Ebrei
il santo Concilio comanda che nessuno in seguito li forzi a credere".
Quindi per lo stesso motivo non si devono costringere gli altri increduli.
3. Afferma S. Agostino che altre cose l'uomo può farle anche non
volendo, ma "non può credere altro che volendo". Ora, il volere
non si può costringere. Dunque gli increduli non si possono costringere
alla fede.
4. Così Dio parla in Ezechiele:
"Non voglio la morte del peccatore".
Ma noi dobbiamo conformare la nostra volontà a quella
di Dio, come abbiamo detto in precedenza. Quindi non dobbiamo
volere che gli increduli vengano uccisi.
IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge:
"Va' per le strade e lungo le
siepi e costringi la gente a entrare, affinché la mia casa si riempia".
Ora, gli uomini entrano nella casa di Dio, cioè nella Chiesa, mediante la fede.
Dunque alcuni devono essere costretti alla fede.
RISPONDO: Ci sono degli increduli, come i Giudei e i pagani, i
quali non hanno mai abbracciato la fede. E questi non si devono
costringere a credere in nessuna maniera: perché credere è un atto
volontario. Tuttavia i fedeli hanno il dovere di costringerli, se ne
hanno la facoltà, a non ostacolare la fede con bestemmie, cattivi suggerimenti, oppure con aperte persecuzioni. Ecco perché coloro
che credono in Cristo spesso fanno guerra agli infedeli, non per costringerli
a credere (perché anche quando riuscissero a vincerli e
a farli prigionieri, li lascerebbero liberi di credere, se vogliono):
ma per costringerli a non ostacolare la fede di Cristo.
Ci sono invece altri increduli, i quali un tempo hanno accettato
la fede e l'hanno professata: e sono gli eretici, e gli apostati di
ogni genere. Costoro devono essere costretti anche fisicamente ad
adempiere quanto promisero, e a ritenere ciò che una volta accettarono.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni intesero quel testo nel senso
che è proibito, non già di scomunicare, ma di uccidere gli eretici:
e ciò è dimostrato dalla citazione del Crisostomo. Anche S. Agostino
così narra di se stesso: "Prima io ero dell'opinione che non si dovesse
costringere nessuno all'unità di Cristo, ma che bisognava trattare
a parole, e combattere con le dispute. Però questa mia opinione
è stata vinta non dalle parole, ma dai fatti. Infatti la paura delle
leggi civili ha tanto giovato, che molti sono arrivati a dire: "Sia
ringraziato il Signore, che ha spezzato le nostre catene"". Perciò,
il significato di quelle parole del Signore: "Lasciateli crescere insieme,
l'uno e l'altra, fino alla mietitura", appare da quelle che seguono: "affinché
raccogliendo la zizzania, non strappiate anche
il frumento". "Nelle quali egli mostra abbastanza chiaramente",
a detta di S. Agostino, "che quando non c'è questo timore, cioè
quando il delitto è ben noto e a tutti appare esecrabile, così da non
avere difensori o da non averne tali da poter deierminare uno scisma,
la severità della correzione non deve dormire".
2. Gli Ebrei, se non hanno mai abbracciato la fede, non si devono
costringere a credere. Ma se hanno ricevuto la fede, "devono essere
costretti per forza a ritenere la fede", come si dice in quello stesso
capitolo.
3. Come
"fare un voto è atto di libera volontà, mentre adempierlo
diviene una necessità", così accettare la fede è un atto di libera
volontà, ma ritenere la fede accettata è una necessità. Ecco perché
gli eretici devono essere costretti a mantenere la fede. Scrive infatti
S. Agostino: "Dove costoro hanno imparato a protestare: "C'è libertà
di credere e di non credere. A chi mai Cristo ha fatto violenza?".
Ebbene nel caso di S. Paolo essi possono vedere che Cristo prima
lo costringe e poi lo istruisce".
4. Rispondiamo con S. Agostino, che
"nessuno di noi vuole che
un eretico perisca. Ma la casa di David meritò di avere pace, solo
dopo che il figlio Assalonne fu ucciso nella guerra che questi combatteva
contro il padre. Così la Chiesa Cattolica, se mediante la perdita
di qualcuno può raccogliere tutti gli altri, allevia il dolore del
suo cuore materno con la liberazione di intere popolazioni".
ARTICOLO
9
Se si possa comunicare con gli increduli
SEMBRA che si possa comunicare con gli increduli. Infatti:
1. L'Apostolo così scriveva ai Corinzi:
"Se vi invita qualcuno degli infedeli,
e volete andarci, mangiate tutto quello che vi viene presentato". E il Crisostomo spiega:
"Se vuoi andare a cena dai
pagani, lo permettiamo senza nessuna proibizione". Ma andare a
cena da uno significa comunicare con lui. Dunque è lecito comunicare
con chi non ha la fede.
2. Scrive ancora l'Apostolo:
"Che devo forse giudicare io di quei
di fuori?". Ma di fuori sono gli increduli. Perciò, quando la Chiesa
giudica di dover proibire ai fedeli la comunione di qualcuno, non
deve proibire ai fedeli di avere rapporti con gli increduli.
3. Un padrone non può servirsi di uno schiavo, senza comunicare
con lui almeno con la parola: poiché egli muove lo schiavo col comando.
Ma i cristiani possono avere come schiavi uomini privi di
fede, cioè Ebrei, pagani, o Saraceni. Perciò è lecito comunicare con essi.
IN CONTRARIO: Sta scritto:
"Non verrai a patti con loro, né avrai
di loro compassione, né ti unirai con loro in matrimoni". E a proposito
di quel passo del Levitico: "La donna che al ricorso mensile,
ecc.", la Glossa commenta: "È necessario astenersi dall'idolatria,
così da non toccare neppure gli idolatri e i loro discepoli, e da non
comunicare con essi".
RISPONDO: Per due motivi può essere proibito di comunicare con
una persona: primo, per punire colui al quale viene tolta la comunione
dei fedeli; secondo, per premunire quelli ai quali viene proibito
di trattare con altri. Entrambi i motivi sono accennati nelle
parole dell'Apostolo. Infatti dopo avere pronunziato la sentenza di
scomunica egli aggiunge: "Non sapete che un po' di fermento fa
fermentare tutta la pasta?". E finalmente accenna al motivo della
punizione inflitta dal giudizio della Chiesa: "Quei di dentro non
siete voi che li giudicate?".
Perciò la Chiesa non proibisce ai fedeli, per quanto riguarda il
primo motivo, di comunicare con gli increduli che in nessun modo
hanno ricevuto la fede cristiana, cioè con i pagani e con gli Ebrei:
poiché non ha il compito di giudicarli in campo spirituale. Ma nel
temporale costoro possono essere puniti dai fedeli, se, vivendo in
mezzo ai cristiani, si rendono colpevoli. La Chiesa però proibisce
così ai fedeli di comunicare con quegli increduli, che deviano dalla
fede ricevuta, o adulterandola, come gli eretici, o totalmente abbandonandola, come gli apostati. Infatti la Chiesa pronunzia contro
costoro sentenza di scomunica.
Per quanto poi riguarda l'altro motivo, bisogna distinguere secondo
le varie condizioni di persone, di affari e di tempo. Se infatti
ci sono dei fedeli che son fermi nella fede, così da poter sperare
dalla loro comunione con gli increduli la conversione di questi
ultimi, senza paura che vengano a perdere la fede; allora non si
deve proibire ad essi di avere rapporti con gli increduli che mai
hanno ricevuto la fede, cioè con i pagani e con gli Ebrei; specialmente
poi se la necessità lo impone. Se invece si tratta di persone
semplici e inferme nella fede, di cui si può temere come probabile
la perversione, bisogna proibire loro di comunicare con gli increduli: e
specialmente di avere grande familiarità con essi, o di trattar
con loro senza necessità.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Signore diede quel comando (riferito
nell'argomento in contrario) per quei gentili nel cui territorio
erano per entrare gli Ebrei, già così portati all'idolatria. Perciò
c'era da temere che dalla convivenza continua con essi gli Ebrei
avrebbero abbandonato la fede. Ecco perché il testo così continua: "Poiché
sedurrebbe il figlio tuo a non più seguirmi".
2. La Chiesa non ha il potere di giudicare gli infedeli, per infliggere
loro una sanzione spirituale. Tuttavia su alcuni infedeli
ha la facoltà di infliggere una sanzione temporale: e in questo
rientra la sottrazione, ad alcuni di essi, della comunione dei fedeli,
per qualche colpa.
3. È più probabile che lo schiavo, sottoposto all'altrui comando,
si converta alla fede del padrone cristiano, che viceversa. Perciò
non è proibito che i fedeli abbiano schiavi infedeli. Ma se la comunione
di uno schiavo per un padrone fosse un pericolo prossimo,
questi dovrebbe allontanarlo da sé, secondo il comando del Signore: "Se il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo
lungi da te".
ARTICOLO
10
Se chi non ha fede possa dominare e comandare sui fedeli
SEMBRA che chi non ha fede possa dominare e comandare sui fedeli.
Infatti:
1. L'Apostolo raccomanda:
"Quanti sono sotto il giogo schiavi,
di ogni onore stimino degni i propri padroni"; e che parli di quelli
infedeli è evidente dalle parole che seguono: "E quelli che hanno
i padroni credenti, non li disprezzino". S. Pietro poi scriveva: "Servi,
siate soggetti con ogni timore ai vostri padroni, non solo
ai buoni e modesti, ma anche a quelli che sono difficili". Ora, i due
Apostoli non avrebbero insegnato e comandato così, se chi non ha
la fede non potesse avere un dominio sui fedeli. Dunque chi non
ha fede può avere autorità sui credenti.
2. Tutti coloro che appartengono alla famiglia di un principe,
sono a lui sottoposti. Ora, alcuni fedeli appartennero alla famiglia
di principi infedeli: scriveva infatti S. Paolo ai Filippesi: "Vi
salutano tutti i santi, massime quelli della casa di Cesare", cioè di
Nerone, che era un infedele. Dunque chi è privo di fede può comandare
sui fedeli.
3. A detta del Filosofo, il servo è come uno strumento del padrone
per le necessità della vita, come il manovale di un artigiano è uno
strumento di costui per le opere della sua arte. Ma in queste opere
un fedele può sottostare a un incredulo: poiché i fedeli possono essere
coloni di persone prive di fede. Dunque gli increduli possono
essere a capo dei fedeli anche come padroni.
IN CONTRARIO: Chi ha autorità ha il potere di giudicare i suoi
sudditi. Ma gli increduli non hanno il potere di giudicare i fedeli;
poiché l'Apostolo ha scritto: "Chi di voi, che abbia lite con un altro,
osa farsi giudicare da un tribunale di ingiusti", cioè di gente
senza fede, "e non dai santi?". Dunque gli increduli non possono
avere autorità sui fedeli.
RISPONDO: Nel parlare di questo argomento, si devono distinguere
due diverse situazioni. Primo, può trattarsi di un dominio
o di un potere, degli increduli sui fedeli, che ancora deve essere
istituito. E questo non si deve tollerare in nessun modo. Ciò infatti
sarebbe scandaloso e pericoloso per la fede: poiché coloro che sottostanno
all'autorità di qualcuno possono facilmente subire l'influsso
di chi comanda, a meno che non si tratti di sudditi dotati
di grande virtù. Del resto gli increduli verrebbero così a disprezzare
la fede, venendo a conoscere i difetti dei fedeli. Ecco perché
l'Apostolo proibiva che i fedeli contendessero in giudizio davanti
a un giudice infedele. Ed è per questo che la Chiesa non permette
assolutamente che gli increduli conquistino il potere sui fedeli, o
che in qualsiasi modo siano a capo di essi in qualche carica.
Secondo, possiamo parlare di un dominio, o di un'autorità
preesistente. E qui bisogna considerare che il dominio e l'autorità sono
state sancite dal diritto umano: mentre la distinzione tra fedeli e
increduli deriva dal diritto divino. Ora, il diritto divino, che si fonda sulla grazia, non toglie il diritto umano che si fonda sulla ragione
naturale. Perciò la distinzione tra fedeli ed increduli di suo non
abolisce il dominio e l'autorità degli increduli sui fedeli. Tuttavia
codesto dominio può essere tolto giustamente da una sentenza, o
da un ordine della Chiesa, che ha l'autorità di Dio: poiché gli increduli
per la loro incredulità meritano di perdere il potere sui fedeli,
che sono diventati figli di Dio. La Chiesa però usa, o non usa
questa facoltà secondo i casi. Per quegli increduli, p. es., che sono
soggetti alla Chiesa e ai cristiani, i canoni stabiliscono che uno
schiavo degli Ebrei il quale si faccia cristiano, immediatamente
acquisti la libertà, senza bisogno di riscatto, se era nato in schiavitù;
oppure se era stato comprato come schiavo. Se invece era
stato comprato per essere rivenduto, il padrone è tenuto a metterlo
in vendita entro tre mesi. E in questo la Chiesa non commette
un'ingiustizia: poiché essendo gli Ebrei stessi servi della Chiesa,
questa può disporre dei loro averi. Del resto gli stessi principi secolari
hanno emanato molte leggi per i loro sudditi in favore della
libertà. - La Chiesa invece non ha stabilito codesto diritto per quegli
increduli che nell'ordine temporale non sono sotto il suo dominio,
o sotto quello dei cristiani: sebbene abbia l'autorità di farlo.
Ma se ne astiene per evitare scandali. Cioè fa come il Signore, il
quale dopo avere dimostrato di potersi esimere dal tributo, perché "i figli sono
esenti"; comandò tuttavia di pagarlo, per evitare lo
scandalo. Così anche S. Paolo, dopo avere raccomandato agli
schiavi di rispettare i loro padroni, aggiungeva: "perché non si
dica male del nome di Dio e del nostro insegnamento".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Abbiamo così risolto anche la prima
difficoltà.
2. Il dominio di Cesare era precedente alla distinzione tra fedeli
ed increduli: esso perciò non era abolito per la conversione di alcuni
alla fede. Ed era utile che alcuni credenti si trovassero nella
famiglia dell'imperatore, per difendere gli altri credenti. Come
fece, p. es., S. Sebastiano il quale confortava gli animi dei cristiani,
che scorgeva in pericolo tra i tormenti, mentre era ancora
nascosto sotto le vesti militari nella casa di Diocleziano.
3. Gli schiavi sono sottoposti ai loro padroni per tutta la loro
vita, e così sono sottoposti alle autorità i sudditi in tutti i loro
affari: invece i manovali sono sottoposti ai loro capomastri solo per
certe opere particolari. Perciò che gli increduli prendano il dominio
o il potere sui fedeli, è assai più pericoloso che sottomettersi alle
loro dipendenze in qualche mestiere. Ecco perché la Chiesa permette
che i cristiani possano coltivare le terre dei Giudei; perché questo
non li costringe a convivere con essi. Del resto anche Salomone
chiese al re di Tiro dei capimastri, per la lavorazione del legname,
come racconta il Libro dei Re. - Però se da codesto commercio, o
convivenza, ci fosse da temere un pervertimento dei fedeli, esso si
dovrebbe proibire del tutto.
ARTICOLO
11
Se si debba tollerare il culto degli increduli
SEMBRA che il culto degli increduli non si debba tollerare. Infatti:
1.
È evidente che gli increduli osservando il loro culto commettono
peccato. Ora, chi potendolo non proibisce un peccato mostra di
approvarlo; come dice la Glossa a proposito di quel testo di S. Paolo: "...non solo le fanno, ma approvano chi le fa". Dunque peccano
coloro che tollerano il culto suddetto.
2. I riti dei Giudei sono da paragonarsi all'idolatria; infatti la
Glossa, commentando quel testo paolino: "Non lasciatevi sottomettere
di nuovo al giogo di schiavitù", afferma: "Questa schiavitù
della legge non è più leggera dell'idolatria". Ora, non si sopporterebbe
che uno esercitasse il culto idolatrico: ché anzi i principi cristiani
prima fecero chiudere e poi distruggere i templi degli idoli,
come narra S. Agostino. Perciò non si devono tollerare neppure i
riti dei Giudei.
3. Abbiamo detto sopra che il peccato di incredulità è tra i più
gravi. Ma gli altri peccati, come l'adulterio, il furto e simili, non
sono tollerati, bensì puniti dalle leggi. Quindi anche i vari culti degli
increduli non devono essere tollerati.
IN CONTRARIO: A proposito degli Ebrei S. Gregorio afferma:
"Abbiano
piena licenza di osservare e di celebrare tutte le loro feste,
come essi han fatto finora, e come fecero i loro padri nel corso di
lunghi secoli".
RISPONDO: Il governo dell'uomo deriva da quello di Dio, e deve
imitarlo. Ora, Dio, sebbene sia onnipotente e buono al sommo, permette
tuttavia che avvengano nell'universo alcuni mali che egli
potrebbe impedire, per non eliminare con la loro soppressione beni
maggiori, oppure per impedire mali peggiori. Parimente, anche nel
governo umano chi comanda tollera giustamente certi mali, per non
impedire dei beni, o anche per non andare incontro a mali peggiori.
S. Agostino; p. es., affermava: "Togliete le meretrici dal consorzio
umano, e avrete turbato tutto con lo scatenamento delle passioni".
Perciò, sebbene gli increduli pecchino coi loro riti, essi si possono
tollerare, o per un bene che ne può derivare, o per un male che così
è possibile evitare.
Ora quando gli Ebrei osservano i loro riti, nei quali un tempo
era prefigurata la verità della nostra fede, si acquista una testimonianza
a favore della fede da parte dei suoi nemici, e in modo figurale
ci viene così presentato ciò che noi crediamo. Ecco perché
il loro culto è tollerato. - Invece i culti degli altri miscredenti, che
non presentano nessun aspetto di verità e di utilità, non meritano
di essere tollerati, altro che per evitare qualche danno: cioè per
evitare scandali o discordie che ne potrebbero derivare, oppure per
togliere un ostacolo alla salvezza di coloro, che con questa tolleranza
un po' per volta potranno convertirsi alla fede. Ecco perché
talora la Chiesa ha tollerato i culti degli eretici e dei pagani, quando
era grande la moltitudine degli increduli.
Sono così risolte anche le difficoltà.
ARTICOLO
12
Se si debbano battezzare i bambini degli Ebrei e degli altri
increduli contro la volontà dei genitori
SEMBRA che i bambini degli Ebrei e degli altri increduli si debbano
battezzare contro la volontà dei genitori. Infatti:
1. Il vincolo matrimoniale è più forte del diritto alla patria potestà: poiché
il diritto alla patria potestà può essere tolto da un uomo,
con l'emancipazione, p. es., di un figlio di famiglia; invece il vincolo
matrimoniale non può essere sciolto da un uomo, poiché sta
scritto: "Non divida l'uomo ciò che Dio ha congiunto". Eppure
l'incredulità scioglie il vincolo matrimoniale; scrive infatti l'Apostolo:
"Se
poi il non credente si separa, si separi pure; non ha a
rimanere schiavo il fratello o la sorella in cose siffatte". E nei Canoni
si dice che se il coniuge privo di fede non intende convivere
con l'altro, senza ingiuria al suo Creatore, quest'ultimo non deve
coabitare con lui. Perciò a maggior ragione l'incredulità toglie il
diritto alla patria potestà sui propri figli. Quindi i figli degli increduli
si possono battezzare contro la volontà di costoro.
2. È più doveroso soccorrere un uomo di fronte al pericolo della
morte eterna, che di fronte al pericolo della morte temporale. Ora,
se uno, vedendo un uomo di fronte al pericolo della morte temporale,
non l'aiutasse, commetterebbe peccato. Quindi, siccome i figli
degli Ebrei e degli altri increduli sono di fronte al pericolo della
morte eterna, se vengono lasciati ai genitori, che li educano alla
loro incredulità, è chiaro che si devono strappare ad essi, per battezzarli
e istruirli nella fede.
3. I figli degli schiavi sono schiavi e soggetti al dominio dei padroni.
Ma gli Ebrei sono sotto il dominio dei re e dei principi.
E così i loro figli. Perciò i re e i principi hanno il potere di disporre
dei figli degli Ebrei come vogliono. Dunque non c'è nessuna
ingiustizia nel battezzarli contro la volontà dei loro genitori.
4. Un uomo appartiene più a Dio, dal quale riceve l'anima, che
al padre carnale, da cui riceve il corpo. Perciò non c'è ingiustizia
nel sottrarre i bambini dei Giudei ai loro genitori, e nel consacrarli
a Dio col battesimo.
5. Per la salvezza eterna è più efficace il battesimo che la predicazione: poiché
il battesimo toglie all'istante la macchia del
peccato, il reato della pena, e apre le porte del cielo. Ma se è già
pericoloso far mancare la predicazione, poiché viene rimproverato
a chi non predica, secondo le parole rivolte in Ezechiele, contro colui, "che vede arrivare la spada, e non suona la
tromba". A maggior
ragione sarà imputato a colpa, a quelli che potevano battezzarli,
se i bambini dei Giudei si dannano per il mancato battesimo.
IN CONTRARIO: Non si può fare torto a nessuno. Ora, si farebbe un
torto agli Ebrei, battezzandone i figli contro la loro volontà: poiché
essi perderebbero così il diritto alla patria potestà sui figli, una
volta che questi diventassero fedeli. Perciò questi non si possono
battezzare contro la volontà dei genitori.
RISPONDO: La consuetudine della Chiesa, che sempre e in tutto
deve essere seguita, ha la massima autorità. Poiché lo stesso insegnamento
dei Santi Dottori Cattolici riceve la sua autorità dalla
Chiesa. E quindi si deve stare più all'autorità della Chiesa, che a
quella di S. Agostino, di S. Girolamo, o di qualunque altro dottore.
Ora, nella Chiesa non ci fu mai l'uso di battezzare i figli degli
Ebrei contro la volontà dei loro genitori: sebbene nel passato ci
siano stati molti principi cattolici potentissimi, quali Costantino
e Teodosio, che accordarono la loro familiarità a santissimi vescovi
come fece Costantino con S. Silvestro, e Teodosio con S. Ambrogio.
E questi vescovi non avrebbero trascurato di ottenere da
loro una cosa simile, se fosse stata conforme alla ragione. Perciò
è pericoloso difendere adesso questa asserzione, contraria alla consuetudine
della Chiesa, che si devono battezzare i figli degli Ebrei
contro la volontà dei genitori.
E ci sono due ragioni che lo dimostrano. La prima consiste nel
pericolo della fede. Infatti, se ricevessero così il battesimo bambini
privi dell'uso di ragione, quando in seguito raggiungessero
l'età matura, facilmente potrebbero essere indotti dai loro genitori
ad abbandonare quanto avevano ricevuto a loro insaputa. E questo
sarebbe un danno per la fede.
C'è poi una seconda ragione: l'incompatibilità con la giustizia
naturale. Infatti il figlio è per natura qualche cosa del padre. Anzi
dapprima egli non è separato neppure fisicamente dai genitori, finché è
contenuto nell'utero materno. E in seguito, quando è stato
partorito, prima di raggiungere l'uso del libero arbitrio, è racchiuso
sotto la custodia dei genitori, come in un utero spirituale.
Infatti il bambino finché non ha l'uso della ragione non differisce
da un animale irragionevole. Perciò, come il bue, o il cavallo appartiene
a un padrone che può usarne a proprio arbitrio come uno
strumento, secondo il diritto civile; così secondo il diritto naturale
il figlio è sotto la cura del padre, prima dell'uso della ragione.
Sarebbe quindi contro la giustizia naturale sottrarre allora il bambino
dalle cure dei genitori, o disporre di lui contro la loro volontà.
Invece quando comincia ad avere l'uso del libero arbitrio,
comincia ad appartenere a se stesso, e può decidere di se stesso
nelle cose di diritto divino e di diritto naturale. E allora si deve
disporlo alla fede, non con la forza, ma con la persuasione. E così
può accettare la fede e farsi battezzare, anche contro la volontà
dei genitori. Ma non prima dell'uso di ragione. Si dice infatti che
i bambini degli antichi Padri "si salvarono per la fede dei loro genitori": con le quali parole si vuole intendere che spetta ai
genitori provvedere alla salvezza dei figli, in modo speciale prima
dell'uso di ragione.
SOLUZIONE
DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel matrimonio tutti e due i coniugi
hanno l'uso del libero arbitrio, e ognuno la facoltà di accettare
la fede contro il parere dell'altro. Ma questo non avviene
nel bambino prima dell'uso di ragione. Il paragone regge quando
questi abbia raggiunto l'uso di ragione, e voglia convertirsi.
2. Non si può strappare uno dalla morte fisica contro l'ordine del
diritto civile: se uno, p. es., viene condannato a morte dal giudice
legittimo, nessuno può sottrarlo al supplizio con la violenza.
Allo stesso modo nessuno deve infrangere il diritto naturale, che
vuole il figlio sotto la cura del padre, per liberarlo dalla morte eterna.
3. Gli Ebrei sono soggetti al dominio civile dei principi, il quale
non esclude l'ordine del diritto naturale e divino.
4. L'uomo viene indirizzato a Dio dalla ragione, con la quale è
in grado di conoscerlo. Perciò il bambino, prima dell'uso di ragione, è
indirizzato a Dio, secondo l'ordine naturale, dalla ragione
dei genitori, alla cui tutela per natura è affidato; e quindi le cose
divine devono essergli somministrate secondo le loro disposizioni.
5. Il pericolo per la mancata predicazione minaccia soltanto coloro
che ne sono incaricati; infatti a quel testo di Ezechiele precedono
queste parole: "Ti ho posto come scolta per i figli di Israele".
Ora, tocca ai genitori procurare i sacramenti ai bambini degli
infedeli. Perciò il pericolo minaccia costoro, se per la mancanza
di sacramenti ai loro bambini viene negata la salvezza.
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