Il Santo Rosario

La Fede

Somma Teologica II-II, q. 15

Cecità di mente e ottusità di senso

Passiamo ora a considerare i vizi opposti alla scienza e all'intelletto. E poiché sopra abbiamo già parlato dell'ignoranza, che si contrappone alla scienza, nel trattare delle cause del peccato, rimane solo da studiare la cecità della mente e l'ottusità dei sensi, che si contrappongono al dono dell'intelletto.
Sull'argomento si pongono tre quesiti: 1. Se la cecità della mente sia peccato; 2. Se l'ottusità dei sensi sia un peccato distinto dalla cecità della mente; 3. Se questi vizi nascano dai peccati della carne.

ARTICOLO 1

Se la cecità di mente sia peccato

SEMBRA che la cecità di mente non sia peccato. Infatti:
1. Ciò che scusa dal peccato non è certo un peccato. Ma la cecità scusa dal peccato; poiché sta scritto: "Se foste ciechi, non avreste peccato". Dunque la cecità di mente non è peccato.
2. La pena differisce dalla colpa. Ma la cecità di mente è una pena, come è evidente da quelle parole di Isaia: "Acceca il cuore di questo popolo". Del resto, essendo essa un male, non potrebbe essere da Dio, se non fosse una pena. Quindi la cecità di mente non è peccato.
3. Ogni peccato è volontario, come nota S. Agostino. Ma la cecità di mente non è volontaria: poiché a detta del medesimo Santo, "tutti amano di conoscere lo splendore della verità"; mentre nella Scrittura si legge: "Dolce cosa è la luce, e gradito agli occhi è vedere il sole". Dunque la cecità di mente non è peccato.

IN CONTRARIO: S. Gregorio mette la cecità di mente tra i vizi causati dalla lussuria.

RISPONDO: Come la cecità del corpo è la privazione del principio visivo, così la cecità della mente è una privazione del principio intellettivo, ovvero della visione intellettuale. Ora, nella visione intellettuale abbiamo tre distinti principi. Il primo consiste nella luce naturale della ragione. E questo, appartenendo all'essenza dell'anima razionale, non viene mai eliminato dall'anima. Tuttavia talora viene impedito nei suoi atti dalle disfunzioni delle potenze inferiori, necessarie all'intelletto umano per intendere, come avviene nei dementi e nei pazzi furiosi, secondo le spiegazioni date nella Prima Parte.
Il secondo principio della visione intellettiva è una luce derivante da un abito, aggiunto alla luce naturale della ragione. E di questa luce talora l'anima può essere privata. E tale privazione, o cecità è un castigo, come si dice che è un castigo, o pena, la privazione della luce della grazia. Infatti di alcuni nella Scrittura si legge: "La loro malizia li ha accecati".
Il terzo principio della visione intellettiva consiste in certi dati conoscitivi, mediante i quali la mente umana può conoscere altre cose. Ora, a questi ultimi principi di ordine intellettivo la mente umana può attendere, o non attendere. E questa mancanza di considerazione può dipendere da due motivi. Talora dipende dal fatto che uno spontaneamente vuole distogliersi dalla considerazione di codesti principi; secondo le parole del Salmo: "Non ha voluto intendere, per non dover agir bene". Altre volte invece dipende dall'occupazione della mente in altre cose più amate, e dalle quali essa viene distolta in modo da perdere di vista i suddetti principi. Si attua allora quel detto della Scrittura: "È caduto il fuoco", vale a dire l'ardore della concupiscenza, "e non vedono più il sole". Ebbene, in questi due ultimi casi la cecità di mente è peccato.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La cecità che scusa dal peccato è quella che deriva dall'incapacità naturale di chi non può vederci.
2. Codesto secondo argomento vale per la cecità che è un castigo.
3. Intendere la verità di suo è piacevole per tutti. Ma per qualcuno può essere una cosa odiosa, in quanto viene così distolto dalle cose che più ama.

ARTICOLO 2

Se l'ottusità di senso sia distinta dalla cecità di mente

SEMBRA che l'ottusità di senso non sia distinta dalla cecità di mente. Infatti:
1. Ciascuna cosa ha un unico contrario. Ora, il dono dell'intelletto secondo le spiegazioni di S. Gregorio, ha come contrario l'ottusità; e insieme la cecità di mente, in quanto l'intelletto designa un principio conoscitivo. Dunque l'ottusità di senso si identifica con la cecità di mente.
2. S. Gregorio, parlando dell'ottusità, la denomina "ottusità di sensi in materia d'intelligenza". Ora, diventare ottusi di sensi in materia d'intelligenza non è altro che avere deficienze nell'intellezione, il che appartiene alla cecità di mente. Perciò l'ottusità di senso si confonde con la cecità di mente.
3. Se le due cose fossero diverse, dovrebbero differire specialmente nel fatto che, mentre la cecità mentale è volontaria, come sopra abbiamo detto, l'ottusità di senso è naturale. Ma un difetto naturale non è peccato. Quindi l'ottusità di senso non sarebbe peccato. Questo però è contro S. Gregorio, il quale enumera l'ottusità tra i vizi originati dalla gola.

IN CONTRARIO: Cause diverse hanno effetti diversi. Ora, S. Gregorio insegna che l'ottusità della mente nasce dalla gola, mentre la sua cecità nasce dalla lussuria. Si tratta, dunque, di vizi differenti.

RISPONDO: Ottuso è il contrario di acuto. Ora, si dice che uno strumento è acuto quando è atto a penetrare. Si dice perciò che uno strumento è ottuso per il fatto che è spuntato, e incapace di penetrare. Ebbene, in senso metaforico si dice che i sensi penetrano il mezzo, in quanto percepiscono il loro oggetto da una certa distanza; oppure in quanto possono percepirne le intime qualità quasi penetrando la cosa. Perciò nell'ordine fisico si dice che uno è provvisto di acutezza di sensi, quando è capace di percepire l'oggetto sensibile di lontano, o con la vista, o con l'udito, oppure con l'olfatto; e si dice, al contrario, che uno è ottuso di sensi, quando percepisce solo da vicino, e oggetti molto vistosi.
Ora, per analogia con i sensi corporei, si parla anche di un senso di ordine intellettivo, che, a detta di Aristotele, ha per oggetto alcuni dei "termini primordiali": come il senso ha per oggetto le cose sensibili che sono altrettanti principi di cognizione. Ma questo senso di ordine intellettivo non percepisce il proprio oggetto attraverso un mezzo di ordine fisico, bensì attraverso altri mezzi: attraverso, cioè, le proprietà delle cose ne percepisce l'essenza, e attraverso gli effetti percepisce la causa, e così via. Perciò si dice che ha acutezza di senso nell'ordine intellettivo chi appena ha percepito le proprietà, o gli effetti di una cosa, subito comprende la natura di essa, e in quanto giunge prontamente a considerarne le conseguenze più minute. Invece si dice che è ottuso di intelligenza chi non arriva a conoscere la verità di una cosa, se non attraverso molti chiarimenti; e anche allora è incapace di giungere a considerare perfettamente tutti gli aspetti di essa.
Perciò l'ottusità di senso nell'ordine intellettivo implica una debilitazione della mente rispetto ai beni spirituali: mentre la cecità della mente implica la totale privazione della loro conoscenza. L'uno e l'altro vizio si oppongono al dono dell'intelletto, mediante il quale l'uomo ha la percezione dei beni spirituali, e ne penetra intimamente la natura. Questa ottusità ha l'aspetto di peccato, come la cecità mentale, essendo essa volontaria, com'è evidente in colui che, ingolfato nelle cose della carne, disdegna o trascura di considerare attentamente le cose dello spirito.
Sono così risolte anche le difficoltà.

ARTICOLO 3

Se la cecità di mente e l'ottusità di sensi derivino dai peccati della carne

SEMBRA che la cecità di mente e l'ottusità di sensi non derivino dai vizi della carne. Infatti:
1. S. Agostino, ritrattando quanto aveva detto nei Soliloqui: "O Dio, che volesti concedere ai soli mondi la conoscenza della verità", nel libro delle Ritrattazioni scrive: "Si potrebbe rispondere che anche non pochi immondi conoscono non poche verità". Ma gli uomini diventano immondi specialmente con i vizi della carne. Quindi la cecità di mente e l'ottusità di senso non sono prodotte dai vizi carnali.
2. La cecità di mente e l'ottusità di sensi sono difetti della parte intellettiva dell'anima; invece i vizi carnali fanno parte della corruzione della carne. Ora, la carne non può agire sull'anima, ma piuttosto potrebbe avvenire il contrario. Perciò i vizi carnali non causano, né cecità di mente, né ottusità di sensi.
3. Qualsiasi soggetto soffre più delle cose vicine, che di quelle lontane. Ora, sono più vicini alla mente i vizi spirituali che quelli carnali. Dunque la cecità di mente e l'ottusità di senso sono causate più dai peccati spirituali, che da quelli carnali.

IN CONTRARIO: S. Gregorio insegna che l'ottusità di senso per quanto riguarda l'intelligenza nasce dalla gola, e la cecità di mente dalla lussuria.

RISPONDO: Nell'uomo la perfezione dell'attività intellettuale consiste in un'astrazione dai fantasmi delle cose sensibili. Perciò quanto più l'intelletto umano è libero da codesti fantasmi, tanto più è capace di considerare le cose intelligibili, e di ordinare tutte quelle sensibili; infatti, come già diceva Anassagora, è necessario che l'intelletto sia senza misture per poter dominare, e l'agente deve essere superiore alla materia per poterla muovere. Ora, è evidente che il piacere applica l'attenzione alle cose in cui uno si compiace; infatti il Filosofo insegna che ciascuno compie nel migliore dei modi gli atti in cui prova piacere, mentre non compie affatto, oppure solo in fiacchezza, gli atti contrari. Ora, i vizi della carne, cioè la gola e la lussuria, si riducono ai piaceri del tatto, cioè al cibo e ai piaceri venerei, che sono i più violenti tra tutti i piaceri del corpo. Ecco perché tutti codesti vizi applicano nel modo più forte l'intenzione dell'uomo ai beni del corpo, debilitando così le sue operazioni nell'ordine intellettivo. La lussuria però è deleteria più della gola, nella misura che i piaceri venerei sono più violenti di quelli gastronomici. Perciò dalla lussuria deriva la cecità di mente, che elimina quasi del tutto la conoscenza dei beni spirituali; mentre dalla gola deriva l'ottusità di senso, che rende l'uomo debole nella considerazione di codeste cose intelligibili. Al contrario le opposte virtù, dell'astinenza e della castità, predispongono l'uomo nel migliore dei modi alla perfezione dell'attività intellettuale. In Daniele infatti si legge che "a codesti fanciulli", astinenti e continenti, "Dio conferì scienza e cognizione in ogni specie di libro e di sapienza".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene alcuni che sono dominati dai vizi della carne possano talora investigare profondamente certe conoscenze di ordine intellettivo, per la bontà del loro ingegno naturale, o per un abito scientifico; tuttavia è inevitabile che spesso la loro speculazione sia disturbata dai piaceri corporei. Perciò gli immondi possono conoscere alcune verità, ma sono ostacolati in questa conoscenza dalla loro immondezza.
2. La carne agisce sulla parte intellettiva, non già alterandola, ma ostacolandone l'attività nel modo che abbiamo detto.
3. I vizi carnali più sono lontani dallo spirito, o dalla mente, e più ne distraggono l'attenzione verso cose più remote. Ecco perché impediscono maggiormente la contemplazione dello spirito.