La Fede
Somma Teologica II-II, q. 4
La fede
Veniamo ora a parlare della virtù stessa della fede. Primo, della
fede medesima; secondo, di coloro che la possiedono; terzo, della
causa di essa; quarto, dei suoi effetti.
Sul primo argomento tratteremo otto problemi: 1. Che cosa sia
la fede; 2. In quale potenza dell'anima essa risieda; 3. Se abbia
come sua forma la carità; 4. Se la fede informe e quella formata
siano numericamente la stessa; 5. Se la fede sia una virtù; 6. Se
sia unica; 7. Quali siano i suoi rapporti con le altre virtù; 8. Confronto
tra la certezza della fede e la certezza delle altre virtù intellettuali.
ARTICOLO
1
Se la fede sia ben definita come
"sustanza di cose sperate, ed argomento delle non
parventi"
SEMBRA che la fede non sia ben definita dall'Apostolo con quelle
parole: "La fede è sustanza di cose sperate, ed argomento delle
non parventi". Infatti:
1. Nessuna qualità è una sostanza. Ora, la fede è una qualità,
essendo una virtù teologale. Dunque non è sostanza.
2. Virtù diverse hanno oggetti diversi. Ma le cose sperate sono
oggetto della speranza. Quindi non devono entrare nella definizione
della fede come oggetto di essa.
3. La fede riceve più dalla carità che dalla speranza: poiché,
come vedremo, la carità dà forma alla fede. Perciò nella definizione
della fede si doveva parlare più di cose amate, che di cose sperate.
4. Una medesima cosa non può appartenere a generi diversi.
Ora, sostanza e argomento formano generi diversi e non subalternati.
Perciò non ha senso dire che la fede è sostanza e argomento.
5. Un argomento ha l'effetto di rendere evidente la verità di ciò
che esso chiarisce. Ma quando la verità di una cosa è chiarita,
codesta cosa è evidente, o apparente. Dunque è contradditoria
l'espressione: "argomento delle non parventi". Quindi non è buona
la suddetta descrizione della fede.
IN CONTRARIO: Basta l'autorità dell'Apostolo.
RISPONDO: Sebbene
alcuni ritengano che le parole dell'Apostolo
qui riferite non siano una definizione della fede, tuttavia, a pensarci
bene in codesta descrizione si trovano tutti gli elementi per
una definizione, anche se le parole non sono ordinate sotto forma
di definizione. Del resto anche nei filosofi si riscontrano (spesso)
gli elementi del sillogismo, fuori della forma sillogistica.
Per averne l'evidenza si deve ricordare che la fede, essendo un
abito, deve essere definita dal proprio atto in relazione al proprio
oggetto; perché gli abiti si conoscono dai loro atti, e gli atti
dall'oggetto. Ora, l'atto della fede è credere; e credere, secondo le
spiegazioni date, è un atto dell'intelletto determinato a una data
cosa dal comando della volontà. Perciò l'atto della fede dice ordine,
sia all'oggetto della volontà, che è il bene e il fine; sia all'oggetto
dell'intelletto, che è il vero. E poiché nella fede, che, come
sopra abbiamo detto, è una virtù teologale, unico deve essere il
fine e l'oggetto, è necessario che l'oggetto e il fine della fede si
corrispondano perfettamente. Ora, sopra abbiamo detto che oggetto
della fede è la prima verità in quanto inevidente, e altre verità
accettate a motivo di essa. Perciò la stessa prima verità sta
all'atto di fede come fine di esso, sotto l'aspetto di cosa inevidente.
E questo è appunto l'aspetto delle cose sperate, secondo le parole
dell'Apostolo: "Speriamo quel che non vediamo". Infatti vedere
la verità sarebbe possederla. Ora, uno non spera quello che già
possiede, ma la speranza, come si disse, ha per oggetto ciò che non
si possiede.
Ecco perché il rapporto dell'atto di fede col fine, che è oggetto
della volontà, viene espresso con quelle parole: "Fede è sustanza
di cose sperate". Infatti si suole chiamare sostanza il primo elemento
di qualsiasi cosa, specialmente quando tutto lo sviluppo
successivo è contenuto virtualmente in quel primo principio: potremmo
dire, p. es., che i primi principi indimostrabili sono la
sostanza della scienza, perché in noi il primo elemento della scienza
sono codesti principi, e in essi tutta la scienza è virtualmente racchiusa.
In codesto senso si dice che la fede è sostanza di cose sperate;
poiché il primo inizio in noi delle cose sperate viene dall'assenso
della fede, la quale contiene virtualmente tutte le cose sperate.
Infatti noi speriamo di conseguire la beatitudine con l'aperta
visione della verità cui abbiamo aderito con la fede, come si disse
nel trattato sulla beatitudine.
Invece il rapporto dell'atto di fede con l'oggetto dell'intelligenza,
in quanto oggetto di fede, è indicato dalle parole: "argomento delle
non parventi". E qui argomento sta per l'effetto dell'argomento.
Infatti l'intelletto è indotto dagli argomenti ad accettare qualche verità.
Ecco perché qui viene chiamata argomento la stessa
ferma adesione dell'intelletto alle verità di fede inevidenti. Cosicché
altri testi hanno il termine "convincimento": poiché l'intelletto
del credente viene convinto ad accettare le cose che non vede dall'autorità di Dio.
Perciò, se uno volesse ridurre le parole suddette in forma di
definizione, potrebbe dire che "la fede è un abito intellettivo, col
quale si inizia in noi la vita eterna, facendo aderire l'intelletto a
cose inevidenti". Così infatti la fede viene distinta da tutte le altre
funzioni intellettive. Col termine "argomento" viene distinta
dall'opinione, dal sospetto e dal dubbio, nelle quali funzioni l'intelletto
non ha un'adesione radicale e ferma a qualche cosa. Con
le parole "non parventi" la fede viene distinta dalla scienza e
dall'intuizione intellettiva, che rendono evidenti le cose. E con
l'espressione "sustanza di cose sperate" la virtù della fede viene
distinta dalla fede in genere, la quale non è ordinata alla beatitudine.
Del resto tutte le altre definizioni della fede, non sono che spiegazioni
di quella dell'Apostolo. Infatti le parole di S. Agostino: "La fede è una virtù con la quale sono credute cose che non si
vedono"; e quelle del Damasceno, che dichiarano la fede
"un consenso indiscusso"; e quelle di altri, per i quali la fede è
"una certezza
dell'animo su cose lontane, superiore all'opinione e inferiore
alla scienza", coincidono con l'espressione dell'Apostolo: "argomento
delle non parventi". E l'affermazione di Dionigi, che la
fede è "un fondamento stabile dei credenti, che colloca essi nella
verità, e la verità in essi", si identifica con quelle parole: "sostanza
di cose sperate".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si parla qui di sostanza non in
quanto genere universalissimo contraddistinto dagli altri generi;
ma in quanto in qualsiasi genere c'è una analogia con la sostanza,
nel senso cioè che si può denominare sostanza, in qualsiasi genere
di cose, il primo elemento il quale contiene virtualmente in se
stesso gli altri elementi.
2. La fede appartiene all'intelletto in quanto è sotto l'impero
della volontà; perciò è necessario che abbia per fine l'oggetto di
quelle virtù che risiedono nella volontà, tra le quali c'è la speranza,
come vedremo. Ecco perché nella definizione della fede
c'entra l'oggetto della speranza.
3. L'amore può avere per oggetto cose che si vedono e cose che
non si vedono, cose assenti e cose presenti. Perciò le cose amate
non si addicono così bene alla fede come quelle sperate: poiché
la speranza è sempre di cose assenti e che non si vedono.
4. Sostanza e argomento, così come suonano nella definizione
della fede, non implicano diversi generi di fede, né atti diversi di
essa: ma solo una diversità di rapporti che un unico atto ha con
oggetti diversi, come è evidente dalle cose già dette.
5. Un argomento che è desunto dai
principi propri di una cosa
la rende evidente. Ma un argomento che si desume dall'autorità
di Dio non rende la cosa evidente. E tale è l'argomento di cui si
parla nella definizione della fede.
ARTICOLO
2
Se la fede risieda nell'intelletto
SEMBRA che la fede non risieda nell'intelletto. Infatti:
1. S. Agostino insegna, che
"la fede consiste nella volontà dei credenti". Ma la volontà è una facoltà distinta
dall'intelletto.
Quindi la fede non risiede nell'intelletto.
2. L'adesione della fede nel credere a una cosa proviene dalla
volontà di obbedire a Dio. Perciò tutto il merito della fede viene
dall'obbedienza. Ora, l'obbedienza risiede nella volontà. Dunque
anche la fede. E quindi non risiede nell'intelletto.
3. L'intelletto è
speculativo o pratico. Ora, la fede non risiede
nell'intelletto speculativo, il quale non è un principio di operazione;
poiché, come scrive Aristotele, "non dice niente di ciò che
si deve imitare o fuggire": mentre la fede "opera per mezzo dell'amore". Parimente non risiede nell'intelletto pratico, che ha
per oggetto il vero contingente fattibile o operabile: invece la fede
ha per oggetto il vero eterno, come è evidente dalle cose già dette.
Dunque la fede non risiede nell'intelletto.
IN CONTRARIO: Alla fede segue la visione della patria, secondo le
parole di S. Paolo: "Adesso noi vediamo attraverso uno specchio
in enigma; allora vedremo faccia a faccia". Ma la visione avviene
nell'intelletto. Dunque anche la fede.
RISPONDO: Essendo la fede una virtù, i suoi atti devono essere
perfetti. E per assicurare la perfezione di un atto che deriva da
due principi attivi, si richiede che entrambi siano perfetti: infatti
non è possibile segare bene, se chi sega non ha l'arte, e la
sega non è ben disposta, o aggiustata per segare. Ora, nelle potenze
dell'anima, aperte verso oggetti contrastanti, la disposizione
ad agire bene è l'abito, come sopra abbiamo detto. Perciò un atto,
che dipende da due potenze di questo genere, deve essere perfezionato
da due abiti preesistenti in tutte e due le potenze. Ma sopra
abbiamo detto che credere è un atto dell'intelletto in quanto viene
mosso dalla volontà ad assentire: infatti codesto atto deriva dalla
volontà e dall'intelletto. E codeste due potenze, come abbiamo visto,
son fatte per essere corredate di abiti. Ecco perché sia nella
volontà che nell'intelletto deve esserci qualche abito, se si vuole
che l'atto della fede sia perfetto. Perché sia perfetto. p. es., l'atto
del concupiscibile è necessario che vi sia l'abito della prudenza
nella ragione e quello della temperanza nel concupiscibile. Ora,
credere è direttamente un atto dell'intelletto, avendo per oggetto il
vero, che propriamente appartiene all'intelligenza. Perciò è necessario
che la fede, la quale è il principio proprio di codesto atto, risieda
nell'intelletto.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino prende qui fede per
l'atto della fede: e dice che consiste nella volontà, perché l'intelletto
aderisce alle cose da credere sotto il comando della volontà.
2. Non solo è necessario che la volontà sia pronta ad obbedire,
ma che l'intelletto sia ben disposto a seguire il comando della volontà:
cioè come il concupiscibile deve essere disposto a seguire il
comando della ragione. Perciò deve esserci un abito virtuoso non
solo nella volontà che comanda, ma anche nell'intelletto che aderisce.
3. La fede risiede nell'intelletto speculativo: ciò è evidente dall'oggetto
di essa. Siccome però la prima verità, che è oggetto della
fede, è il fine di tutti i nostri desideri e di tutte le nostre azioni,
come S. Agostino dimostra, ecco che la fede opera mediante la
carità. Del resto Aristotele insegna che anche l'intelletto speculativo
diviene pratico per estensione.
ARTICOLO
3
Se la carità possa essere forma della fede
SEMBRA che la carità non possa essere forma della fede. Infatti:
1. Dalla forma ogni cosa riceve la
sua specie. Perciò cose che
sono tra loro divise come specie di un dato genere non possono
essere l'una forma dell'altra. Ma la fede e la carità sono divise tra
loro da S. Paolo come le varie specie della virtù. Dunque la carità
non può essere forma della fede.
2. La forma e la realtà che essa costituisce sono nel medesimo
soggetto: perché esse costituiscono una realtà unica. Ora, la fede
è nell'intelletto, mentre la carità è nella volontà. Quindi la carità
non può essere forma della fede.
3. La forma è principio di una cosa. Ma il principio del credere,
per quanto riguarda la volontà, sembra essere più l'obbedienza
che la carità: S. Paolo infatti accenna "all'obbedienza della fede
da parte di tutti i gentili". Dunque forma della fede è più l'obbedienza
che la carità.
IN CONTRARIO: Ogni cosa agisce mediante la propria forma. Ora,
la fede "opera per mezzo dell'amore". Quindi l'amore di carità
è forma della fede.
RISPONDO: Come abbiamo visto nei trattati precedenti, gli atti
volontari ricevono la loro specie dal fine, che è oggetto della volontà.
Ora negli esseri corporei l'elemento specificante è l'elemento
formale. Perciò la forma di qualsiasi azione volontaria è il fine
al quale essa in qualche modo è ordinata: sia perché dal fine riceve
la specie; sia perché la natura dell'atto deve essere proporzionata
al fine. Ora, è evidente, da quanto abbiamo detto, che
l'atto della fede è ordinato, come a suo fine, all'oggetto della volontà
che è il bene. Ma il bene che è il fine della fede, cioè il bene
divino, è l'oggetto proprio della carità. Dunque la carità è forma
della fede, in quanto l'atto della fede è perfezionato e informato
dalla carità.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La carità è forma della fede, in
quanto ne informa l'atto. Ora, niente impedisce che un atto sia
informato da diversi abiti, e in base a questo appartenga a diverse
specie secondo un certo ordine, come sopra abbiamo visto trattando
degli atti umani in generale.
2. Codesta
obiezione è giusta a proposito della forma intrinseca.
Ma la carità non è forma della fede in codesto senso, bensì in
quanto ne informa gli atti, come abbiamo spiegato.
3. L'obbedienza stessa, come la speranza e qualsiasi altra virtù,
che possa precedere l'atto della fede, è pur sempre informata dalla
carità, come vedremo. Ecco perché la carità va considerata quale
forma anche della fede.
ARTICOLO 4
Se la fede informe possa diventare formata, e viceversa
SEMBRA che
la fede informe non possa diventare formata, né
viceversa. Infatti:
1. A detta di S. Paolo,
"quando verrà ciò che è perfetto, ciò che
è parzialmente finirà". Ora, la fede informe è imperfetta rispetto
a quella formata. Dunque la fede informe viene eliminata al sopraggiungere
di quella formata; e quindi non è numericamente la stessa.
2. Ciò che è morto non può ridiventare vivo. Ma la fede informe è morta,
come dice S. Giacomo: "La fede senza le opere è morta". Perciò la fede informe non può diventare formata.
3. La grazia di Dio quando viene non ha meno efficacia sui fedeli
che sugli infedeli. Ora, quando viene negli increduli causa in essi
l'abito della fede. Perciò anche quando viene nei fedeli, che hanno
soltanto l'abito della fede informe, causa in essi un nuovo abito di fede.
4. Come insegna Boezio, gli accidenti non subiscono alterazioni.
Ora la fede è un accidente. Dunque la stessa fede non può essere
ora formata ed ora informe.
IN CONTRARIO: Sta scritto:
"La fede senza le opere è morta"; ma
la Glossa aggiunge: "con esse però rinvivisce". Perciò quella
fede che prima era morta e informe diviene formata e viva.
RISPONDO: Su questo argomento ci sono state diverse opinioni.
Alcuni infatti hanno affermato che gli abiti della fede formata e
della fede informe sono due abiti distinti, e che la presenza della
fede formata elimina la fede informe. Così pure quando un uomo
pecca mortalmente, alla fede formata succederebbe un secondo
abito, quello della fede informe, infuso da Dio. - Non sembra però
conveniente che la grazia nel venire in un uomo debba eliminare
un dono di Dio; e neppure è conveniente che venga infuso un dono
di Dio per un peccato mortale.
Perciò altri hanno pensato che codesti abiti sono due abiti distinti;
ma che l'abito della fede informe non viene eliminato al sopraggiungere
della fede formata, rimanendo nel medesimo soggetto
assieme all'abito della fede formata. - Ma anche questo non
sembra conveniente, cioè che l'abito della fede informe rimanga
inerte in chi ha la fede formata.
Perciò si deve concludere diversamente, e cioè che l'abito della
fede formata e di quella informe è identico. E la ragione di ciò sta
nel fatto che gli abiti si diversificano tra loro solo in forza di ciò che
loro appartiene essenzialmente. Ora, essendo la fede una perfezione
dell'intelletto, appartiene ad essa essenzialmente solo ciò che
appartiene all'intelletto: invece non appartiene essenzialmente alla
fede, così da provocare diversità di abiti in essa, quello che appartiene
alla volontà. Ma la distinzione tra fede formata e informe
è basata su quanto appartiene alla volontà, cioè sulla carità, non
già su ciò che appartiene all'intelletto. Perciò fede formata e fede
informe non sono due abiti diversi.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le parole dell'Apostolo valgono per
le sole cose imperfette in cui l'imperfezione è essenziale. In questi
casi la presenza di ciò che è perfetto esclude ciò che è imperfetto:
l'aperta visione, p. es., esclude la fede, in cui è essenziale la non
evidenza. Ma quando l'imperfezione non è essenziale alla cosa imperfetta,
allora l'identica cosa che prima era imperfetta può diventare
perfetta: la puerizia, p. es., non fa parte dell'essenza nell'uomo,
e quindi l'identico soggetto che prima era fanciullo diviene adulto.
Ora, lo stato informe non è essenziale alla fede, ma
per essa è accidentale, come abbiamo notato. Perciò l'identica fede
che era informe diviene formata.
2. Ciò che dà vita all'animale, cioè l'anima, fa parte della sua
natura, essendone la forma essenziale. Perciò un essere morto non
può ridiventare vivo; ché l'essere morto è specificamente diverso
da quello vivo. Invece ciò che rende formata o viva la fede non è
parte essenziale della fede. Perciò il paragone non regge.
3. La grazia causa la fede non solo quando questa viene prodotta
per la prima volta nell'uomo, ma anche mentre che dura: sopra infatti
abbiamo dimostrato che Dio produce di continuo la giustificazione
dell'uomo, come il sole compie di continuo l'illuminazione
dell'aria. Perciò la grazia non agisce meno sui fedeli che sugli
infedeli: poiché in tutti e due i casi produce la fede, negli uni rafforzandola
e perfezionandola, negli altri creandola.
Oppure si può rispondere che avviene per accidens, cioè per la disposizione
del soggetto, che la grazia non produca la fede in chi la
possiede. Avviene cioè quello che capita, in senso inverso, per i
peccati mortali successivi al primo, i quali non possono togliere la
grazia a chi l'aveva perduta col primo peccato mortale.
4. Per il fatto che la fede formata diviene informe muta non la
fede in se stessa, ma il soggetto, cioè l'anima: la quale ha la fede
ora con la carità, e ora senza di essa.
ARTICOLO 5
Se la fede sia una virtù
SEMBRA che la fede non sia una virtù. Infatti:
1. La virtù è ordinata al bene: poiché, come dice il Filosofo,
"la
virtù rende buono chi la possiede". Ma la fede è ordinata al vero.
Dunque la fede non è una virtù.
2. Una virtù infusa deve essere più perfetta di quella acquisita.
Ora, secondo il Filosofo la fede non viene enumerata tra le virtù
intellettuali acquisite, per la sua imperfezione. Molto meno perciò
si può considerare una virtù infusa.
3. La fede formata e quella informe sono della medesima specie,
come abbiamo spiegato. Ma la fede informe non è una virtù, non
essendo connessa con le altre. Dunque neppure la fede formata.
4. Le grazie gratis date e i frutti sono distinti dalle virtù. Ora,
la fede viene enumerata da S. Paolo, sia tra le grazie gratis date,
sia tra i frutti. Perciò la fede non è una virtù.
IN CONTRARIO: L'uomo viene reso giusto dalle virtù; poiché, come
dice il Filosofo, "la giustizia è l'insieme di tutte le virtù". Ora,
l'uomo viene giustificato mediante la fede, secondo l'espressione
paolina: "Giustificati dunque dalla fede, abbiamo pace, ecc.". Perciò
la fede è una virtù.
RISPONDO: La virtù, come abbiamo detto, è un abito che rende
buoni gli atti umani. E quindi qualsiasi abito che sia principio di
atti buoni può considerarsi una virtù. E la fede formata
è un abito di tal genere. Infatti essendo il credere un atto
dell'intelletto che aderisce alla verità sotto il comando del volere,
per la perfezione di esso si richiedono due cose. Primo, il
tendere infallibile dell'intelligenza verso il proprio oggetto, che è
la verità; secondo, l'ordinazione infallibile verso l'ultimo fine, che
spinge la volontà ad accettare la verità. Entrambe le cose si riscontrano
nell'atto della fede formata. Infatti è nella natura stessa
della fede che l'intelletto tenda esclusivamente alla verità, poiché
la fede non può poggiare sul falso, come sopra abbiamo visto; e la
carità, che informa la fede, fa sì che l'anima abbia il volere ordinato
verso un fine buono. Perciò la fede formata è una virtù.
Invece non è una virtù la fede informe: perché, l'atto della
fede informe, pur avendo la debita perfezione dal lato dell'intelletto,
non la possiede dal lato della volontà. Sarebbe lo stesso che
uno avesse la temperanza nel concupiscibile, senza la prudenza
nella parte razionale. In tal caso la temperanza, come abbiamo
detto, non sarebbe una virtù: poiché un atto di temperanza richiede
l'esercizio sia della ragione che del concupiscibile; come un atto
di fede richiede l'esercizio della volontà e dell'intelletto.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La verità è un bene dell'intelletto,
essendo la perfezione di esso. Perciò la fede dice ordine a un bene,
per il fatto stesso che determina l'intelletto alla verità. Di più, la
fede dice ordine al bene in quanto oggetto della volontà, per il fatto
che è informata dalla carità.
2. La fede di cui parla il Filosofo si fonda su ragioni umane che
non provano rigorosamente una conclusione, e quindi può poggiare
sul falso. Ecco perché codesta fede non è una virtù. Ma la fede di
cui parliamo noi si fonda sulla verità divina che è infallibile: e
quindi non può poggiare sul falso. Perciò questa fede può essere
una virtù.
3. La fede formata e quella informe non differiscono specificamente
come due specie distinte: ma come differiscono una cosa
perfetta dalla sua imperfezione nella medesima specie. Perciò la
fede informe, essendo imperfetta, non raggiunge il grado di virtù:
infatti, come dice il Filosofo, "la virtù è una perfezione".
4. Alcuni ritengono che la fede enumerata tra le grazie gratis
date sia la fede informe. - Ma tale spiegazione è inaccettabile.
Perché le grazie gratis date enumerate da S. Paolo non sono comuni
a tutti i membri della Chiesa: infatti l'Apostolo afferma: "Vi
sono differenze di grazie"; e ancora: "All'uno è dato questo, ad
altri quest'altro". Invece la fede informe è comune a tutti i membri
della Chiesa: poiché il suo stato informe non è certo essenziale ad
essa in quanto dono gratuito.
Perciò si deve rispondere che la fede di cui parla qui S. Paolo
va presa per una particolare eccellenza di essa: e cioè, come dice la Glossa, per
"la costanza nella fede", oppure per "la parola di
fede". - È ricordata poi la fede tra i frutti, per la gioia connessa
con l'esercizio di essa, a motivo della sua certezza. Perciò nell'esporre
l'enumerazione dei frutti la Glossa parla della fede come
di "certezza delle cose invisibili".
ARTICOLO 6
Se la fede sia unica
SEMBRA che non ci sia un'unica fede. Infatti:
1. La fede, a detta di S. Paolo,
"è un dono di Dio"; però sono
un dono di Dio anche la sapienza e la scienza, come dice Isaia.
Ora, la sapienza e la scienza, come insegna S. Agostino, differiscono
tra loro, per il fatto che la sapienza mira alle cose eterne, la
scienza invece a quelle temporali. E poiché la fede abbraccia le
cose eterne e alcune delle cose temporali, sembra che la fede non sia
unica, ma distinta in più parti.
2. Abbiamo visto sopra, che la confessione è un atto di fede. Ma
la confessione non poteva essere unica presso tutti: infatti le cose
che noi confessiamo compiute, gli antichi Padri le confessavano
future, come è evidente in quell'affermazione di Isaia: "Ecco la
vergine concepirà". Dunque la fede non è unica.
3. La fede è virtù comune a tutti i discepoli di Cristo. Ma un
unico accidente non può trovarsi in soggetti diversi. Dunque la fede
non può essere unica per tutti.
IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna:
"Uno è il Signore, una la fede".
RISPONDO: Se si prende come abito, la fede si può considerare
sotto due aspetti. Primo, dal lato dell'oggetto. E allora la fede è
unica: poiché l'oggetto formale della fede è la prima verità, e per
aderire a questa crediamo tutte le cose contenute nella fede. Secondo,
dal lato del soggetto. E da questo lato la fede si distingue
secondo i credenti. Infatti è noto che la fede, come qualunque altro
abito, riceve la specie dalla ragione formale dell'oggetto e l'individuazione
dal soggetto. Perciò, se la consideriamo come l'abito col
quale crediamo, la fede è specificamente unica, ma è numericamente
diversa nei vari soggetti. - Se poi la consideriamo come la cosa
creduta, anche allora la fede è unica. Perché identica è la verità
creduta da tutti: e sebbene siano molteplici le cose che tutti devono
credere, tutte però si riducono a una sola.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le cose temporali, che sono proposte
alla nostra fede, non appartengono all'oggetto di essa che in
ordine a qualche cosa di eterno, cioè alla prima verità, come abbiamo già
notato. Ecco perché c'è un'unica fede per le cose
temporali e per quelle eterne. È invece diverso il caso per la sapienza e
la scienza, che considerano le cose eterne e quelle temporali secondo
gli aspetti propri delle une e delle altre.
2. Codesta differenza tra il passato e il futuro non dipende da
una diversità dell'oggetto creduto; ma dalla diversità di rapporti
esistente tra i credenti e le cose credute, come abbiamo già visto in precedenza.
3. L'argomento vale per la diversità numerica della fede.
ARTICOLO
7
Se la fede sia la prima delle virtù
SEMBRA che la fede non sia la
prima delle virtù.
Infatti:
1. La Glossa, a commento di quel passo
evangelico: "Dico a voi
amici miei, ecc.", afferma che "la fortezza è il fondamento della
fede". Ma il fondamento è prima dell'edificio costruito su di esso.
Dunque la fede non è la prima virtù.
2. Una Glossa, sul Salmo
"Non ti sdegnare", dice che "la speranza
introduce alla fede". Ora, la speranza è una virtù, come
vedremo. Perciò la fede non è la prima delle virtù.
3. Abbiamo detto sopra che l'intelletto del credente è portato ad
aderire alle cose di fede dall'obbedienza verso Dio. Ma l'obbedienza
è una virtù. Dunque la fede non è la prima tra le virtù.
4. Come spiega la Glossa, è fondamento non la fede informe, ma
la fede formata. Ora, la fede è resa formata dalla carità, come sopra
abbiamo spiegato. Quindi la fede deve alla carità il fatto di
essere fondamento. Perciò la carità è più fondamentale della fede,
essendo il fondamento la prima parte dell'edificio. E quindi è
prima della fede.
5. L'ordine degli abiti si deduce dall'ordine degli atti. Ora, nell'atto
della fede il moto della volontà, che la carità è chiamata a
perfezionare, precede il moto dell'intelletto, che sarà sublimato
dalla fede, come una causa precede l'effetto. Dunque la carità
precede la fede. E quindi la fede non è la prima delle virtù.
IN
CONTRARIO: L'Apostolo insegna, che
"la fede è sostanza di cose sperate". Ma la sostanza dice priorità. Dunque la fede è la prima
delle virtù.
RISPONDO: In due modi una cosa può essere prima di un'altra: per se,
e per accidens. Ebbene, la fede è per se, cioè in senso assoluto,
la prima tra tutte le virtù. Infatti siccome in campo pratico il
fine ha funzione di principio, come sopra abbiamo detto, necessariamente
le virtù teologali, che hanno per oggetto l'ultimo fine,
precedono tutte le altre virtù. Ma l'ultimo fine deve trovarsi nell'intelletto
prima ancora che nella volontà: poiché la volontà non si
muove verso una cosa, se non in quanto è conosciuta dall'intelletto.
E poiché l'ultimo fine è oggetto del volere mediante la speranza
e la carità, mentre è oggetto dell'intelletto mediante la fede,
è necessario che la fede sia la prima tra tutte le virtù: perché la
conoscenza naturale non può raggiungere Dio in quanto è oggetto
della beatitudine, e quindi della speranza e della carità.
Invece per accidens alcune virtù possono precedere la fede. Infatti
una causa per accidens ha una priorità per accidens. Ora, togliere
gli ostacoli è compito delle cause per accidens, come il Filosofo insegna.
E in questo senso è possibile che alcune virtù precedano
la fede, in quanto tolgono gli ostacoli che impediscono di
credere: la fortezza, p. es., toglie il timore disordinato che impedisce
la fede; l'umiltà elimina la superbia, che provoca il rifiuto
dell'intelletto a sottomettersi alla verità della fede. Lo stesso possiamo
dire di altre virtù: sebbene esse non siano vere virtù senza
presupporre la fede, come spiega S. Agostino.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È così risolta la prima difficoltà.
2. La speranza non si può considerare universalmente come introduzione alla fede.
Infatti la speranza nella vita eterna è inconcepibile,
senza la fede nella sua possibilità: perché, come già abbiamo
visto, l'impossibile non è oggetto di speranza. Ma in forza della
speranza uno può essere indotto a perseverare nella fede, oppure
ad aderirvi fermamente. E in questo senso si può dire che la speranza
introduce alla fede.
3. L'obbedienza può indicare due cose. Infatti qualche volta sta
a indicare l'inclinazione della volontà a osservare i comandamenti
di Dio. E allora non è una virtù speciale, ma è inclusa in ogni
virtù: poiché tutti gli atti virtuosi ricadono sotto i precetti della
legge di Dio, come sopra abbiamo spiegato. E in questo senso l'obbedienza è
richiesta per la fede. - Secondo, l'obbedienza può indicare
l'inclinazione a osservare i comandamenti sotto l'aspetto di
cose dovute. E allora l'obbedienza è una speciale virtù, che è parte
(potenziale) della giustizia: rende infatti al superiore ciò che gli è
dovuto obbedendolo. E in tal senso l'obbedienza segue la fede, la
quale mostra all'uomo che Dio è il superiore cui deve obbedire.
4. Perché una struttura sia fondamento si richiede non solo che
preceda le altre strutture, ma anche che sia connessa con le altre
parti dell'edificio: infatti essa non sarebbe fondamento, se le altre
parti non fossero ad essa connesse. Ora, la connessione dell'edificio
spirituale avviene mediante la carità, come dice S. Paolo: "Soprattutto
rivestitevi della carità, che è il vincolo della perfezione". Perciò
la fede senza la carità non può essere fondamento: non è detto
però che la carità debba essere prima della fede.
5. Per la fede è prerequisito un atto di volontà, ma non è detto
che debba essere un atto informato dalla carità: poiché un tale
atto presuppone la fede, non potendo la volontà tendere verso Dio
con un amore perfetto, senza che l'intelletto abbia in proposito una
fede sincera.
ARTICOLO
8
Se la fede sia più certa della scienza e delle altre virtù intellettuali
SEMBRA che la fede non sia più certa della scienza e delle altre
virtù intellettuali. Infatti:
1. Il dubbio si contrappone alla certezza: cosicché si considera
più certo ciò di cui meno si può dubitare, come è più bianco quello
che ha meno mescolanza di nero. Ora, intelletto, scienza e sapienza
non ammettono dubbi su quanto forma il loro oggetto: invece chi
crede è soggetto a dubitare delle cose di fede. Perciò la fede non
è più certa delle altre virtù intellettuali.
2. La vista è più certa dell'udito. Ma
"la fede viene dall'ascoltare",
come dice S. Paòlo: mentre intelletto, scienza e sapienza
implicano una certa visione. Dunque la scienza, come pure l'intelletto, è più
certa della fede.
3. Nelle cose di
ordine intellettivo più una è perfetta, più è certa.
Ora, l'intelletto è più perfetto della fede: perché mediante la fede
si raggiunge l'intelletto, stando a un passo di Isaia, che così suona
secondo i Settanta: "Se non crederete, non intenderete". E a
proposito della scienza S. Agostino insegna che "la fede viene
rafforzata dalla scienza". Dunque la scienza e l'intelletto sono più
certi della fede.
IN CONTRARIO: L'Apostolo afferma:
"Accogliendo voi" con la fede "la parola di Dio da noi udita, l'avete accettata non come parola
di uomini, ma, come è davvero, quale parola di Dio". Ma niente è
più certo della parola di Dio. Dunque la scienza, come qualsiasi
altra cosa, non è più certa della fede.
RISPONDO: Come abbiamo spiegato in precedenza, tra le virtù intellettuali
due hanno per oggetto i contingenti, cioè la prudenza e
l'arte. E queste quanto a certezza sono inferiori alla fede, a motivo
della materia, poiché la fede si occupa delle cose eterne, che sono
immutabili. - Invece le altre tre virtù intellettuali, cioè sapienza,
scienza e intelletto, hanno per oggetto cose necessarie, come sopra
abbiamo visto. Si deve però notare che sapienza, scienza e intelletto
si possono prendere in due sensi: come virtù intellettuali, e
così fa il Filosofo nell'Etica; e come doni dello Spirito Santo. Prese
nel primo senso, si deve tenere presente che la certezza si può considerare
sotto due aspetti. Primo, dal lato delle cause che la determinano:
e in tal senso è più certo ciò che ha una causa più sicura.
E da questo lato la fede è più certa delle tre virtù ricordate: poiché
la fede si fonda sulla verità divina, mentre esse si fondano sulla
ragione umana. Secondo, la certezza si può considerare dal lato del soggetto: e in tal senso è più certo ciò che l'intelletto umano
raggiunge con maggiore pienezza. E da questo lato la fede è meno
certa, poiché mentre le cose di fede trascendono l'intelletto umano,
non lo trascendono le cose soggette alle tre virtù ricordate. Però,
siccome ogni cosa viene giudicata in senso assoluto dalla propria
causa, mentre è giudicata solo in senso relativo dal lato del soggetto,
si deve concludere che la fede è più certa in senso assoluto,
mentre le altre virtù sono più certe in senso relativo, cioè rispetto a
noi. - E anche se consideriamo le tre cose indicate come doni (dello Spirito
Santo) per la vita presente, si deve notare che esse stanno alla
fede come al principio che ne è il presupposto. Perciò anche sotto
questo aspetto la fede è più certa di esse.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Codesto dubbio non dipende dalla
causa della fede, ma solo da noi, in quanto non raggiungiamo pienamente
con l'intelletto le cose di fede.
2. A parità di condizioni vedere è più certo che ascoltare. Quando
però colui dal quale si ascolta supera di troppo la perfezione di
chi vede, allora udire è più certo che vedere. Un uomo, p. es., di
cultura modesta, viene più certificato per ciò che ascolta da una
persona dottissima, che da ciò che a lui può parere secondo la propria
ragione. E molto più un uomo viene certificato da ciò che
ascolta da Dio, il quale non può ingannarsi, che da quanto egli
vede con la propria ingannevole ragione.
3. L'intelletto e la scienza superano quanto a perfezione la conoscenza
della fede per una maggiore evidenza, ma non per una
più certa adesione. Poiché tutta la certezza dell'intelletto, o della
scienza, in quanto doni, deriva dalla certezza della fede: come la
certezza nella conoscenza delle conclusioni deriva da quella dei
principi. E in quanto virtù intellettuali, scienza, sapienza e intelletto
si fondano sulla luce naturale della ragione, che è inferiore
alla certezza della parola di Dio, su cui si fonda la fede.
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