La Fede
Somma Teologica II-II, q. 8
Il dono dell'intelletto
Passiamo ora
a trattare dei doni dell'intelletto e della scienza, che corrispondono alla virtù della fede.
Sul primo di essi tratteremo otto argomenti: 1. Se l'intelletto
sia un dono dello Spirito Santo; 2. Se possa trovarsi assieme alla
fede nel medesimo individuo; 3. Se il dono dell'intelletto sia solo
speculativo, oppure anche pratico; 4. Se tutti quelli che sono in
grazia abbiano il dono dell'intelletto; 5. Se questo dono possa trovarsi
in qualcuno, senza la grazia; 6. Quale sia il rapporto del
dono dell'intelletto con gli altri doni; 7. Quale sia la beatitudine
corrispondente di questo dono; 8. Quale il frutto corrispondente.
ARTICOLO
1
Se l'intelletto sia un dono dello Spirito Santo
SEMBRA che l'intelletto non sia un dono dello Spirito Santo.
Infatti:
1. I doni della grazia sono distinti dai doni di natura: poiché
si aggiungono a questi. Ora, l'intelletto è un abito naturale dell'anima,
che serve per conoscere i primi principi noti per natura,
come insegna Aristotele. Perciò esso non si può considerare come
un dono dello Spirito Santo.
2. I doni di Dio vengono partecipati dalle creature, come insegna
Dionigi, secondo la loro attitudine e capacità. Ora, la natura
umana è atta a conoscere la verità non in maniera immediata, come
comporterebbe l'intelletto, ma in maniera discorsiva, come è proprio
della ragione, secondo le spiegazioni dello stesso Autore. Dunque
la conoscenza che Dio dona agli uomini si deve chiamare dono
di ragione, e non dono di intelletto.
3. Aristotele dimostra che tra le potenze dell'anima l'intelletto
è il contrapposto della volontà. Ma non c'è un dono dello Spirito
Santo che si denomini volontà. Dunque non ci deve essere un dono
che si denomini intelletto.
IN CONTRARIO: Sta scritto in Isaia:
"Si poserà su di lui lo Spirito
del Signore, Spirito di sapienza e d'intelletto".
RISPONDO: Il termine intelletto sta a indicare una conoscenza intima:
poiché intelligere equivale a intus legere (leggere dentro). E
ciò è evidente per chi consideri la differenza tra l'intelletto e il
senso. Infatti la conoscenza sensitiva si occupa delle qualità sensibili
esterne; invece, quella intellettiva penetra fino all'essenza
delle cose, poiché oggetto dell'intelletto è, come dice Aristotele, "ciò che la cosa
è". Ora, molti sono i generi delle cose che si nascondono
all'interno, e che la conoscenza umana deve penetrare.
Infatti sotto gli accidenti è nascosta la natura sostanziale delle
cose, sotto le parole è nascosto il loro significato, sotto le similitudini
e le figure è nascosta la verità così figurata: del resto
le cose intelligibili sono sempre interiori rispetto a quelle sensibili
percepite esternamente; inoltre nelle cause sono nascosti gli
effetti e viceversa. Perciò si può parlare di intelletto in relazione a
tutte queste cose. E siccome la conoscenza umana comincia dai
sensi, ossia quasi dall'esterno, è evidente che più è forte la luce
dell'intelletto, e più è capace di penetrare intimamente. Ora, la
luce naturale del nostro intelletto ha un potere limitato: potendo
arrivare fino a un certo punto. Quindi l'uomo ha bisogno di una
luce soprannaturale, per conoscere cose che è incapace di percepire
con la luce naturale. E questa luce soprannaturale che l'uomo
riceve è chiamata dono dell'intelletto.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La luce naturale che in noi è innata
può farci conoscere immediatamente alcuni principi universali
noti per natura. Siccome però l'uomo è ordinato a una felicità
soprannaturale, come sopra abbiamo visto, è necessario che
egli raggiunga delle verità più alte. E per questo si richiede il
dono dell'intelletto.
2. Il processo discorsivo del raziocinio comincia sempre da un'intellezione,
per terminare con un'intellezione: infatti noi ragioniamo
partendo da alcuni dati intellettivi, e concludiamo il processo
discorsivo quando arriviamo ad intendere ciò che prima ci
era sconosciuto. Perciò quanto è oggetto di raziocinio nasce da
un'intellezione precedente. Ora, il dono della grazia non può derivare
da una luce naturale, ma è un apporto nuovo che perfeziona
codesta luce. Ecco perché questo apporto non si chiama ragione
ma piuttosto intelletto: perché codesta luce supplementare
sta alle cose soprannaturali che essa ci fa conoscere come la
luce naturale sta a quelle che conosciamo nell'ordine di natura.
3. Volontà, o volizione, denomina semplicemente un moto appetitivo,
senza indicarne nessuna eccellenza. Invece intelletto indica
una particolare eccellenza della cognizione come penetrazione intima.
Ecco perché un dono soprannaturale merita più il nome di
intelletto che quello di volontà.
ARTICOLO
2
Se il dono dell'intelletto sia compatibile con la fede
nel medesimo individuo
SEMBRA che il dono dell'intelletto sia incompatibile con la fede.
Infatti:
1. S. Agostino ha scritto:
"Una cosa intesa è delimitata dalla
comprensione di chi intende". Ora, ciò che si crede non si può
comprendere; poiché l'Apostolo precisa: "Non è che io abbia compreso,
o che sia già perfetto". Dunque è chiaro che intelletto e
fede non sono compatibili nel medesimo soggetto.
2. Tutto ciò che viene inteso è evidente all'intelletto. Ma la fede
è di cose inevidenti, come abbiamo sopra dimostrato. Quindi la
fede non può trovarsi con l'intelletto nel medesimo individuo.
3. L'intelletto è più certo della scienza. Eppure di una stessa
verità, come abbiamo visto, non è possibile avere la scienza e la
fede. Perciò meno ancora sono compatibili fede e intelletto.
IN CONTRARIO: S. Gregorio insegna, che
"l'intelletto illumina la
mente sulle cose udite". Ora, chi ha la fede può essere così illuminato
sulle cose udite: infatti narra il Vangelo, che il Signore "aprì la mente
dei suoi discepoli a intendere le Scritture". Dunque
l'intelletto può coesistere con la fede.
RISPONDO: A questo proposito sono necessarie due distinzioni:
una per la fede, e l'altra per l'intelletto. Per la fede dobbiamo ricordare
che ci sono delle verità che, essendo al di sopra della ragione
naturale, come l'unità e la trinità di Dio, e l'incarnazione
del Figlio di Dio, ricadono direttamente nel dominio della fede.
E ci sono invece delle verità che sono oggetto di fede, perché subordinate
a queste in qualche maniera: e sono tutte le affermazioni
contenute nella Sacra Scrittura.
Per l'intelletto poi dobbiamo notare che possiamo dire di intendere
una cosa in due maniere. Primo, perfettamente: cioè arrivando
a conoscere l'essenza della cosa intesa, e la verità stessa
di un enunziato in tutta la sua portata. E in questo modo noi non
possiamo intendere le cose che direttamente sono oggetto di fede,
mentre dura lo stato presente. Invece possiamo intendere anche
così le verità ordinate alla fede. - Secondo, imperfettamente:
quando cioè non si conosce l'essenza di una cosa nella sua quiddità,
e la verità di un enunciato in tutta la sua portata, però si
conosce che le apparenze esterne non ripugnano alla verità.
Si può comprendere cioè che non si devono abbandonare i dogmi
di fede per le apparenze esterne delle cose. E in questo senso
niente impedisce che nello stato presente si possano intendere
anche verità, che direttamente sono oggetto di fede.
Sono così risolte anche le difficoltà. Infatti le prime tre valgono
a escludere un'intellezione perfetta. L'ultima poi vale solo per
affermare l'intellezione di quanto è ordinato alla fede.
ARTICOLO
3
Se il dono dell'intelletto sia solo speculativo,
oppure anche pratico
SEMBRA che l'intelletto, posto tra i doni dello Spirito Santo, non
sia pratico, ma soltanto speculativo. Infatti:
1. L'intelletto, come scrive S. Gregorio,
"penetra alcune delle
cose più alte". Ora, le cose che riguardano l'intelletto pratico
non sono alte, ma infime: sono infatti i singolari, oggetto delle
operazioni. Dunque il dono d'intelletto non è un intelletto pratico.
2. L'intelletto dono è superiore all'intelletto virtù intellettuale.
Ora, l'intelletto virtù intellettuale riguarda soltanto i necessari,
come il filosofo insegna. Perciò a maggior ragione si limita ai
necessari l'intelletto dono. Ma l'intelletto pratico non ha per oggetto
i necessari, bensì i contingenti, cioè tutte le variazioni dell'agire umano.
Quindi l'intelletto dono non è un intelletto pratico.
3. Il dono dell'intelletto illumina la mente sulle cose che sorpassano
la ragione naturale. Ma le azioni umane, di cui si occupa
l'intelletto pratico, non superano la ragione naturale, che dirige
invece nell'agire, come sopra abbiamo visto. Dunque il dono dell'intelletto
non è un intelletto pratico.
IN CONTRARIO: Sta scritto:
"Intelletto sano han tutti quelli che
lo praticano".
RISPONDO: Abbiamo già visto sopra, che il dono dell'intelletto
non ha per oggetto soltanto le cose che rientrano nella fede in maniera
primaria e principale, ma anche tutto ciò che è ordinato alla
fede. Ora, gli atti buoni sono in qualche modo connessi con la
fede: infatti, a dire dell'Apostolo, "la fede opera mediante l'amore".
Ecco perché il dono dell'intelletto si estende anche a certe
operazioni: non già che queste siano il suo oggetto principale; ma
in quanto nell'agire, direbbe S. Agostino, noi ci regoliamo "sulle
ragioni eterne, alla cui contemplazione e consultazione attende la
ragione superiore", che viene sublimata dal dono dell'intelletto.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le operazioni dell'uomo, considerate
in se stesse, non hanno nessuna altezza di dignità. Ma in
quanto si riferiscono alla regola della legge eterna e al fine della
divina beatitudine, hanno tale altezza da potere interessare il dono
dell'intelletto.
2. Il fatto di poter considerare gli intelligibili eterni e necessari
non solo in se stessi, ma anche come regole degli atti umani, contribuisce
alla grandezza di quel dono che è l'intelletto: poiché
una virtù conoscitiva quanto più si estende, tanto è più nobile.
3. Come sopra abbiamo visto, è regola degli atti umani non soltanto
la ragione naturale. Perciò la conoscenza degli atti umani,
in quanto sono regolati dalla legge eterna, supera la ragione naturale,
ed ha bisogno della luce soprannaturale di un dono dello Spirito Santo.
ARTICOLO
4
Se il dono dell'intelletto si trovi in tutte le anime in grazia
SEMBRA che il dono dell'intelletto non si trovi in tutti quelli che
sono in grazia. Infatti:
1. S. Gregorio insegna che il dono dell'intelletto viene dato
contro "l'ottusità della mente". Ora, molti di coloro che sono in grazia
soffrono ancora ottusità di mente. Dunque il dono dell'intelletto
non si trova in tutti quelli che sono in grazia.
2.
L'unica cosa necessaria alla salvezza nell'ordine della conoscenza è
la fede: poiché "mediante la fede Cristo abita nei nostri cuori", come si esprime S. Paolo. Ma non tutti quelli che hanno
la fede hanno il dono dell'intelletto: anzi, a detta di S. Agostino, "coloro che credono devono pregare, per potere
intendere". Perciò
il dono dell'intelletto non è necessario alla salvezza. E quindi
non è in tutte le anime in grazia.
3. Le prerogative comuni a tutti coloro che sono in grazia non
vengono mai sottratte a chi conserva la grazia. Invece l'elargizione
dell'intelletto e degli altri doni "talora viene utilmente interrotta",
come nota S. Gregorio: infatti "mentre l'anima si esalta
nell'intellezione di cose sublimi, va a cadere in cose infime e vili
in preda a una degradante ottusità". Dunque il dono dell'intelletto
non si trova in tutti coloro che sono in grazia.
IN CONTRARIO: Nei Salmi si legge:
"Costoro non sanno né intendono,
nelle tenebre van brancolando". Ma nessuno di coloro che
sono in grazia brancola nelle tenebre; poiché il Signore afferma: "Chi segue me non cammina nelle
tenebre". Quindi nessuno che
abbia la grazia è privo del dono dell'intelletto.
RISPONDO: In tutti coloro che sono in grazia non può mancare la
rettitudine della volontà: poiché, come insegna S. Agostino, "la
grazia dispone al bene la volontà dell'uomo". Ma è impossibile
ordinare la volontà al bene, senza presupporre una conoscenza
della verità: perché la volontà ha per oggetto il bene intellettualmente
conosciuto, come dice il Filosofo. Perciò, come col dono della
carità lo Spirito Santo ordina la volontà dell'uomo a muoversi direttamente
verso un bene soprannaturale, così col dono dell'intelletto
illumina la mente umana, perché conosca certe verità soprannaturali,
verso le quali deve tendere una volontà retta. Quindi,
come in tutti coloro che hanno la grazia santificante c'è il dono
della carità, così c'è pure il dono dell'intelletto.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni di coloro che hanno la grazia
santificante possono anche soffrire una ottusità mentale per
cose non necessarie alla salvezza. Ma nelle cose indispensabili per
salvarsi sono istruiti a sufficienza dallo Spirito Santo, secondo le
parole di S. Giovanni: "L'unzione di lui vi insegna tutte le cose".
2. Sebbene tra i fedeli non tutti abbiano la piena intellezione
delle cose proposte a credere, tutti però intendono che esse sono da
credersi, e che per nessun motivo ci si deve scostare da esse.
3. Il dono dell'intelletto non viene mai sottratto ai santi rispetto
alle cose indispensabili per salvarsi. Invece codesta sottrazione avviene
per le altre cose, così da non poterle penetrare chiaramente
con l'intelletto; e ciò allo scopo di non alimentare la superbia.
ARTICOLO
5
Se il dono dell'intelletto si trovi anche in coloro
che sono privi della grazia santificante
SEMBRA che il dono dell'intelletto si trovi anche in coloro che sono
privi della grazia santificante. Infatti:
1. S. Agostino, commentando quel passo dei Salmi:
"Si consuma
l'anima mia di desiderio per i tuoi giudizi in ogni tempo", afferma
che "l'intelletto precorre, però l'affetto lo segue o tardo o nullo".
Ma in tutti quelli che hanno la grazia santificante l'affetto è pronto,
perché c'è la carità. Perciò in coloro che sono privi della grazia può
anche esserci il dono dell'intelletto.
2. In Daniele si legge, che
"nella visione profetica è necessaria
l'intelligenza": e quindi sembra che alla profezia non possa mancare
il dono dell'intelletto. Ma la profezia può anche esistere, senza
la grazia santificante; infatti nel Vangelo a coloro che protestano: "Abbiamo
profetato in nome tuo", si risponde: "Non vi ho
mai conosciuti". Dunque il dono dell'intelletto può trovarsi anche
senza la grazia santificante.
3. Il dono dell'intelletto corrisponde alla virtù della fede, stando
a quel passo di Isaia, che così suona secondo i Settanta: "Se non
crederete, non intenderete". Ora, la fede può sussistere senza la
grazia santificante. Dunque anche il dono dell'intelletto.
IN CONTRARIO: Il Signore afferma:
"Chiunque ha udito il Padre
ed ha appreso, viene a me". Ma S. Gregorio dimostra che noi apprendiamo
e penetriamo le cose udite mediante l'intelletto. Perciò
chiunque abbia l'intelletto viene a Cristo. Ma ciò non avviene, senza
la grazia santificante. Dunque il dono dell'intelletto non può
stare, senza codesta grazia.
RISPONDO: In un trattato precedente abbiamo detto, che i doni
dello Spirito Santo predispongono l'anima alla mozione dello Spirito Santo.
Perciò la luce intellettuale della grazia costituisce il
dono dell'intelletto, in quanto l'intelletto umano è docile alla mozione
dello Spirito Santo. Ora, la mozione dello Spirito Santo mira
a far conoscere all'uomo la verità intorno al fine. Quindi se un'intelligenza
umana non viene mossa dallo Spirito Santo fino ad avere
una valutazione giusta del fine, non ha ancora ricevuto il dono
dell'intelletto; per quante verità supplementari abbia conosciuto
sotto la luce dello Spirito Santo. Ora, codesta valutazione dell'ultimo
fine è solo in colui che non sbaglia il fine, ma vi aderisce fermamente
come al bene più grande. E questo è solo di chi ha la grazia
santificante. Del resto anche in campo (strettamente) morale l'uomo
ha la retta valutazione del fine solo mediante l'abito della virtù.
Dunque nessuno può avere il dono dell'intelletto, senza la grazia
santificante.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino chiama intelletto qualsiasi
illuminazione intellettiva. Questa però non raggiunge la perfetta
natura del dono, se non porta la mente umana ad avere una
retta valutazione del fine.
2. L'intelligenza necessaria per la profezia è un'illuminazione
della mente sulle varie cose rivelate ai profeti. Ma non è un'illuminazione
mentale sulla retta valutazione dell'ultimo fine, come richiede
il dono dell'intelletto.
3. La fede implica una semplice adesione alle cose proposte. Invece
l'intelletto implica una certa percezione della verità, che per
quanto riguarda il fine può trovarsi soltanto in chi ha la grazia
santificante, come abbiamo detto. Perciò l'intelletto e la fede non
si trovano nella stessa condizione.
ARTICOLO
6
Se il dono dell'intelletto sia distinto dagli altri doni
SEMBRA che il dono dell'intelletto non sia distinto dagli altri doni.
Infatti:
1. Non possono essere distinte quelle qualità, i cui contrari non
sono distinti tra loro. Ora, S. Gregorio insegna che il contrario
della sapienza è la stoltezza, dell'intelletto è l'ottusità, del consiglio
la precipitazione, e della scienza l'ignoranza. Ma stoltezza, ottusità,
ignoranza e precipitazione non sembrano distinguersi tra
loro. Dunque neppure l'intelletto si distingue dagli altri doni.
2. La virtù intellettuale dell'intelletto si distingue dalle altre virtù
intellettuali per un elemento caratteristico, cioè perché ha per
oggetto i principi per sé noti. Ma il dono dell'intelletto non ha per
oggetto dei principi per sé noti; perché per quelli innati basta
l'abito dei primi principi; e per quelli soprannaturali basta la fede,
essendo gli articoli di fede, secondo le spiegazioni date, come i primi principi nella conoscenza soprannaturale. Perciò il dono dell'intelletto
non si distingue dagli altri doni di ordine intellettivo.
3. Ogni conoscenza intellettiva è o
speculativa o pratica. Ma il
dono dell'intelletto, come abbiamo visto, è insieme speculativo e
pratico. Dunque non si distingue dagli altri doni di ordine intellettivo,
ma li abbraccia tutti.
IN CONTRARIO: Tutti i dati di una enumerazione in qualche modo
devono essere tra loro distinti: poiché la distinzione è il principio,
o la causa del numero. Ora, il dono dell'intelletto viene da Isaia
enumerato con gli altri (sei) doni. Dunque il dono dell'intelletto è
distinto da essi.
RISPONDO: La distinzione del dono dell'intelletto dai tre doni della
pietà, della fortezza e del timore è evidente: perché, mentre il dono
dell'intelletto appartiene alla facoltà conoscitiva, quegli altri tre
appartengono alla potenza appetitiva. Non è invece così evidente
la differenza di questo dono dagli altri tre, di ordine conoscitivo,
e cioè dalla sapienza, dalla scienza e dal consiglio. Alcuni pensano
che il dono dell'intelletto si distingua dal dono della scienza e del
consiglio, perché mentre questi riguardano la conoscenza pratica,
l'intelletto si interessa di quella speculativa. E si distinguerebbe
dal dono della sapienza, che pure riguarda la conoscenza speculativa,
perché mentre la sapienza ha la funzione di giudicare, l'intelletto
ha quella di cogliere con l'intuizione le cose proposte, o di penetrarne
l'intimo significato. E anche noi sopra abbiamo determinato
il numero dei doni in base a questa spiegazione. - Però se si considera
con più diligenza, si nota che il dono dell'intelletto non abbraccia
soltanto il campo speculativo, ma anche quello pratico, come abbiamo
già dimostrato; e lo stesso dovremo dire a proposito del dono
della scienza. Perciò dobbiamo impostare diversamente la distinzione
dei doni di ordine conoscitivo.
Infatti tutti questi quattro doni sono ordinati alla conoscenza
soprannaturale, che per noi si fonda sulla fede. Ora, a detta di
S. Paolo, la fede viene "dall'ascoltare". Perciò si devono proporre
a credere non cose da vedere, ma da ascoltare, alle quali dobbiamo
aderire con la fede. Ora, la fede ha come oggetto primario e principale
la prima verità, e come oggetto secondario alcune considerazioni
intorno alle creature; e finalmente si estende fino a guidare
gli atti umani, poiché "la fede opera mediante la carità", come risulta
dalle spiegazioni date. Perciò da parte nostra si richiedono
due cose a riguardo delle verità proposte alla nostra fede. Primo,
che vengano penetrate, o capite dall'intelletto: e ciò appartiene
appunto al dono dell'intelletto. Secondo, che uno si formi su di esse
un retto giudizio, così da stimare che bisogna aderirvi e allontanarsi
da quanto loro si oppone. Ebbene, un simile giudizio, rispetto
alle cose divine, appartiene al dono della sapienza; rispetto alle
cose create, appartiene al dono della scienza; e rispetto all'applicazione
ai singoli atti, appartiene al dono del consiglio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La distinzione sopra indicata di
quei quattro doni, si applica in maniera evidente alle quattro qualità
contrarie ricordate da S. Gregorio. Infatti l'ottusità si contrappone
all'acutezza. E l'intelletto si dice appunto metaforicamente
acuto, quando è capace di penetrare intimamente le cose proposte.
Perciò l'ottusità mentale è l'incapacità della mente a penetrare
le cose. - Si dice stolto invece chi ha un falso giudizio sul fine generale
della vita. Perciò la stoltezza si contrappone propriamente
alla sapienza, che dà il retto giudizio sulle cose universali. - L'ignoranza
poi implica un difetto mentale su qualsiasi cosa particolare.
E quindi si contrappone alla scienza, che serve all'uomo per formulare
un retto giudizio sulle cose particolari, cioè sulle creature. - Invece
la precipitazione si contrappone evidentemente al consiglio,
che impedisce all'uomo di procedere all'atto prima della deliberazione
della ragione.
2. Il dono dell'intelletto ha per oggetto, come la fede, i primi
principi della conoscenza soprannaturale, però in maniera diversa.
La fede infatti ha il compito di aderirvi; mentre il dono dell'intelletto
ha quello di penetrare mentalmente le cose rivelate.
3. Il dono dell'intelletto abbraccia tanto la conoscenza speculativa
che quella pratica, però non scende al giudizio, ma si ferma all'apprensione,
cioè si limita ad afferrare il significato delle cose rivelate.
ARTICOLO
7
Se al dono dell'intelletto corrisponda la sesta beatitudine:
"Beati
i puri di cuore, perché vedranno Dio"
SEMBRA che al dono dell'intelletto non corrisponda la sesta beatitudine:
"Beati
i puri di cuore, perché vedranno Dio". Infatti:
1. La purezza del cuore appartiene soprattutto alla parte affettiva.
Invece il dono dell'intelletto appartiene alla facoltà intellettiva.
Dunque codesta beatitudine non corrisponde al dono dell'intelletto.
2. Negli Atti degli Apostoli si dice:
"avendo purificato con la
fede i loro cuori". Ora, si acquista la purezza del cuore con la sua
purificazione. Perciò la beatitudine suddetta appartiene più alla
virtù della fede che al dono dell'intelletto.
3. I doni dello Spirito Santo arricchiscono l'uomo nella vita
presente. Ma la visione di Dio non appartiene alla vita presente:
essa infatti rende beati, come sopra abbiamo detto. Dunque la sesta
beatitudine, che abbraccia la visione di Dio, non corrisponde al
dono dell'intelletto.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna:
"La sesta operazione dello
Spirito Santo, che è l'intelletto, si addice ai puri di cuore, i quali
con l'occhio purificato possono vedere quanto occhio non vide".
RISPONDO: La sesta, come le altre beatitudini, secondo le spiegazioni
date sopra, abbraccia due cose: la prima in qualità di merito,
e cioè la purezza del cuore; la seconda in qualità di premio, e cioè
la visione di Dio. E sia l'una che l'altra vanno attribuite in qualche
modo al dono dell'intelletto. Ci sono infatti due tipi di purezza. La
prima prepara e predispone alla visione di Dio, e consiste nella purificazione
della volontà dagli affetti disordinati. Codesta purezza di
cuore si ottiene con le virtù e con i doni delle potenze appetitive. La
seconda invece è quasi attuazione e coronamento della visione di
Dio: e questa è la purezza dello spirito purificato dai fantasmi e
dagli errori, pronto ad accogliere le verità divine non come i fantasmi
delle cose corporee, e neppure secondo le deformazioni degli
eretici. E questa purezza deriva dal dono dell'intelletto.
Parimente ci sono due visioni di Dio. La prima è la visione perfetta
dell'essenza divina. La seconda è imperfetta, mediante la quale,
pur non vedendo quello che Dio è, vediamo quello che egli non è:
(si noti che) in questa vita conosciamo Dio tanto più perfettamente,
quanto meglio sappiamo intendere che egli sorpassa tutto ciò che
possiamo comprendere con la nostra intelligenza. Orbene, tutte e
due queste visioni appartengono al dono dell'intelletto: la prima al
dono dell'intelletto nella sua pienezza, quale sarà nella patria; la
seconda al dono dell'intelletto nella sua fase iniziale, propria della
vita presente.
Sono così risolte anche le difficoltà. Infatti i primi due argomenti
parlano del primo tipo di purezza. Il terzo poi della perfetta visione
di Dio: mentre i doni hanno adesso il compito di arricchirci in maniera
iniziale, e avranno il loro coronamento nella vita futura come
abbiamo detto.
ARTICOLO
8
Se al dono dell'intelletto corrisponda come frutto la fede
SEMBRA che al dono dell'intelletto non corrisponda come frutto la fede.
Infatti:
1. L'intelletto è frutto della fede; poiché sta scritto in Isaia:
"Se
non credete, non intenderete". Questa è la lezione dei Settanta,
mentre nella Volgata latina si legge: "Se non credete, non persisterete".
Dunque la fede non può essere frutto dell'intelletto.
2. Ciò che è prima non può essere frutto di ciò che viene dopo.
Ora, la fede è prima dell'intelletto, essendo essa, come sopra abbiamo
detto, il fondamento di tutto l'edificio spirituale. Quindi la
fede non è frutto dell'intelletto.
3. Sono più numerosi i doni di ordine intellettivo, che i doni di
ordine appetitivo. Invece tra i frutti uno solo è di ordine intellettivo:
la fede. Tutti gli altri riguardano l'appetito. Perciò la fede
potrebbe corrispondere alla sapienza, alla scienza, o al consiglio,
non meno che all'intelletto.
IN CONTRARIO: Il frutto non è che
il termine finale di ciascuna
cosa. Ora, il dono dell'intelletto è ordinato principalmente alla
certezza della fede, che è enumerata tra i frutti: "certezza delle
cose invisibili", secondo l'espressione della Glossa. Perciò tra i
frutti la fede corrisponde al dono dell'intelletto.
RISPONDO: In un trattato precedente abbiamo detto che vengono
chiamati frutti dello Spirito Santo certe operazioni terminali e piacevoli
che provengono in noi dallo Spirito Santo. Ora ciò che è terminale
e piacevole ha natura di fine, e il fine è oggetto proprio della
volontà. Perciò quanto è ultimo e piacevole per la volontà, deve essere
in qualche modo frutto di ogni altra attitudine delle altre potenze.
Perciò possiamo determinare due tipi di frutti per ogni dono
o virtù che arricchisce una data facoltà: l'uno che viene colto dalla
facoltà propria; e l'altro, quasi finale o ultimo, viene colto dalla
volontà. E in base a questo possiamo concludere che al dono dell'intelletto
corrisponde come frutto proprio la fede, cioè la certezza
della fede; mentre gli corrisponde come frutto ultimo la gioia, che
appartiene alla volontà.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'intelletto è frutto della fede in
quanto virtù. Ma la fede enumerata tra i frutti non è presa in questo
senso: bensì nel senso di una certezza di fede, che l'uomo raggiunge
col dono dell'intelletto.
2. La fede non può precedere l'intelletto in tutto e per tutto: infatti
un uomo non potrebbe aderire, col credere, alle verità proposte,
se in qualche modo non le avesse intese. Ma la perfezione dell'intelletto è
successiva alla virtù della fede: mentre a questa perfezione
dell'intelletto segue una particolare certezza di fede.
3. Il frutto della conoscenza pratica non può maturare in essa:
poiché tale conoscenza non viene ricercata per sé, ma per altri fini.
Invece la conoscenza speculativa ha un frutto in se stessa, che è la
certezza di quanto si conosce. Ecco perché al dono del consiglio,
che si riferisce alla sola conoscenza pratica, non corrisponde direttamente
nessun frutto. Mentre ai doni della sapienza, dell'intelletto
e della scienza, che possono anche appartenere alla conoscenza
speculativa, corrisponde un solo frutto, che è la certezza
indicata col termine fede. Invece vengono elencati frutti molteplici
per la parte appetitiva; perché, come abbiamo detto, l'aspetto di
fine, che è implicito nel termine frutto, appartiene più alla facoltà
appetitiva che a quella intellettiva.
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