La Gioia
Somma Teologica II-II, q. 28
Passiamo a considerare gli effetti che accompagnano l'atto principale
della carità, che è l'amore. In primo luogo gli effetti interiori;
in secondo luogo quelli esteriori.
Sul primo tema dobbiamo
considerare tre argomenti: primo, la gioia; secondo, la pace; terzo,
la misericordia.
Sul primo argomento si pongono quattro quesiti: 1. Se la gioia
sia effetto della carità; 2. Se questa gioia sia compatibile con la
tristezza; 3. Se questa gioia sia piena; 4. Se sia una virtù.
ARTICOLO
1
Se la gioia sia in noi un effetto della carità
SEMBRA che la gioia non sia in noi un effetto della carità.
Infatti:
1. Dall'assenza dell'oggetto amato segue più la tristezza che la
gioia. Ebbene, finché siamo in questa vita, Dio, che è oggetto della
nostra carità, è assente, secondo le parole di S. Paolo: "Finché
alberghiamo nel corpo peregriniamo lontani dal Signore". Dunque
in noi la carità produce più tristezza che gioia.
2. La carità è la causa principale con cui meritiamo la beatitudine.
Ora, tra le cose con cui meritiamo la beatitudine troviamo il
pianto, che accompagna la tristezza: "Beati quelli che piangono,
perché saranno consolati". Dunque è più effetto della carità la
tristezza che la gioia.
3. La carità, come abbiamo visto, è una virtù distinta dalla
speranza. Ma la gioia è causata dalla speranza secondo l'espressione
paolina: "Lieti nella speranza". Perciò essa non è causata dalla
carità.
IN CONTRARIO: Come dice S. Paolo,
"la carità di Dio si è riversata
nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato". Ma la gioia
è causata in noi dallo Spirito Santo: "Il regno di Dio non è cibo
né bevanda, ma giustizia e pace e gioia nello Spirito Santo".
Dunque la carità è causa della gioia.
RISPONDO: Come abbiamo visto nel trattato delle passioni, dall'amore
nascono sia la gioia che il dolore, o tristezza, ma in maniera
diversa. Infatti dall'amore viene causata la gioia, o per la
presenza del bene amato; o per il fatto che il bene amato possiede
e difende il proprio bene. E specialmente quest'ultima cosa
appartiene all'amore di benevolenza, che ci fa godere della prosperità
dell'amico, anche se assente. - Al contrario dall'amore segue la
tristezza, o per l'assenza di ciò che si ama, o perché la persona,
di cui vogliamo il bene, viene privata dei suoi beni, o è oppressa
da un male.
Ora, la carità è l'amore di Dio, il cui bene è immutabile, essendo
egli la stessa bontà. E per il fatto che è amato, Dio si trova in
chi l'ama col più nobile dei suoi effetti, secondo le parole di S.
Giovanni: "Chi sta nella carità sta in Dio, e Dio in lui".
Dunque la gioia spirituale, che ha Dio per oggetto, è causata dalla
carità.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che peregriniamo lontani
dal Signore mentre siamo nel corpo, in rapporto alla presenza con
la quale Dio si mostra ad alcuni nella visione immediata. Infatti
l'Apostolo aggiunge: "Giacché per fede noi camminiamo e non
per visione". Ma egli è presente a coloro che lo amano anche in
questa vita mediante l'inabitazione della grazia.
2. Il pianto che merita la beatitudine ha per oggetto le cose
contrastanti con essa. E quindi si deve a uno stesso motivo che dalla
carità nasca codesto pianto e insieme la gioia spirituale di Dio:
perché godere di un dato bene e rattristarsi dei mali contrari
procedono da uno stesso motivo.
3. Di Dio si può godere spiritualmente in due modi: primo, in
quanto godiamo del bene divino considerato in se stesso; secondo, in quanto esso viene partecipato a noi. Il primo tipo di gioia è più
perfetto; e questo deriva principalmente dalla carità. Il secondo
invece deriva dalla speranza, con la quale aspettiamo la fruizione
del bene divino. - Tuttavia la stessa fruizione, sia perfetta che
imperfetta, viene conseguita in base alla grandezza della carità.
ARTICOLO
2
Se la gioia spirituale causata dalla carità
sia compatibile con la tristezza
SEMBRA che la gioia spirituale causata dalla carità sia
compatibile con la tristezza. Infatti:
1. Appartiene alla carità godere per il bene del prossimo, come
dice S. Paolo: "Non gode dell'ingiustizia, ma gode della verità".
Ma in questa gioia si mescola la tristezza, secondo l'altra
espressione paolina: "Rallegrarsi con chi gode, e piangere con chi
piange". Perciò la gioia spirituale della carità è compatibile con
la tristezza.
2. Come insegna S. Gregorio, è penitenza
"piangere il male
commesso, e non commetter più cose degne di pianto". Ma la vera
penitenza non può esistere senza la carità. Dunque la gioia della
carità è compatibile con la tristezza.
3. Viene dalla carità che uno desideri di essere con Cristo,
secondo l'espressione paolina: "Avendo il desiderio di andarmene
e di essere con Cristo". Ma da questo desiderio deriva nell'uomo
una certa tristezza, secondo le parole del salmista: "Ohimè, che
la mia peregrinazione si prolunga". Perciò la gioia della carità
ammette una mescolanza di tristezza.
IN CONTRARIO: la gioia della carità è la gioia della sapienza
divina. Ora, questa gioia non ammette tristezza: "Non ha amarezza
la sua conversazione". Dunque la gioia della carità è incompatibile
con la tristezza.
RISPONDO: Come sopra abbiamo notato, dalla carità nascono due
tipi di gioia. Una gioia principale, propria della carità, con cui
godiamo del bene divino considerato in se stesso. E questa gioia
non ammette nessuna tristezza: come il bene di cui gode non
ammette misture di male. Ecco perché l'Apostolo ammonisce: "Godete
sempre nel Signore".
C'è però un'altra gioia della carità, con la quale uno gode del
bene divino in quanto partecipato da noi. Ebbene, questa
partecipazione può essere ostacolata da qualche cosa di contrario. E quindi
da questo lato la gioia della carità può ammettere motivi di
tristezza: per il fatto che uno si rattrista di ciò che impedisce
la partecipazione del bene divino, o in noi, o nel prossimo che amiamo
come noi stessi.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il pianto del prossimo non è
motivato che da un male. E ogni male implica una mancanza di
partecipazione del sommo bene. Perciò la carità in tanto fa prendere
parte al dolore del prossimo, in quanto in esso s'impedisce la
partecipazione del bene divino.
2. Come dice Isaia,
"i peccati mettono la divisione tra noi e Dio". Perciò la ragione di piangere i peccati commessi da noi
o da altri, è il fatto che essi c'impediscono di partecipare il bene
divino.
3. Sebbene nella misera dimora di questa vita in qualche modo
si partecipi il bene divino con la conoscenza e con l'amore,
tuttavia la miseria della vita presente ce ne impedisce la perfetta
partecipazione che si avrà nella patria. Ecco quindi che anche il
dolore col quale uno soffre la dilazione della gloria si riduce all'impedimento
della partecipazione del bene divino.
ARTICOLO
3
Se la gioia spirituale causata dalla carità possa in noi essere
completa
SEMBRA che la gioia spirituale causata dalla carità non possa in
noi essere completa. Infatti:
1. Più grande è la gioia che abbiamo di Dio, più si completa la
sua gioia in noi. Ma noi non potremo mai godere tanto Dio, quanto
è degno che di lui si goda: perché, essendo la sua bontà infinita,
trascende la gioia delle creature che è finita. Perciò il godimento
di Dio non potrà mai essere completo.
2. Una cosa completa non può essere più grande. Invece il
godimento stesso dei beati, può sempre essere più grande: perché
il godimento dell'uno è più grande di quello dell'altro. Dunque il
godimento di Dio non può essere completo nella creatura.
3. La comprensione non è che la pienezza della conoscenza. Ora,
come nelle creature è limitata la potenza conoscitiva, così è limitata
la potenza appetitiva. Perciò, siccome Dio non può essere compreso
da nessuna creatura, così non è possibile che sia completo
il godimento di Dio da parte di nessuna creatura.
IN CONTRARIO: Il Signore ha detto ai suoi discepoli:
"La mia
gioia sia in voi, e la vostra gioia sia completa".
RISPONDO: La pienezza della gioia può intendersi in due maniere.
Primo, in rapporto alla cosa di cui si gode: e significa che si gode
di essa nella misura in cui merita di essere goduta. E in tal senso
Dio soltanto può avere il godimento completo di se stesso: perché
la sua gioia è infinita, e quindi è proporzionata all'infinita bontà
di Dio; mentre la gioia di qualsiasi creatura è necessariamente
finita.
Secondo, la pienezza della gioia si può intendere in rapporto a
chi gode. E allora si deve ricordare, come abbiamo detto nel
trattato delle passioni, che la gioia sta al desiderio come la quiete
raggiunta sta al moto. Ora, la quiete è completa quando il moto
è del tutto scomparso. E quindi la gioia è completa, quando non
rimane più niente da desiderare. Ora, finché siamo in questo mondo
non cessa in noi il moto del desiderio: perché rimane la possibilità
di avvicinarsi di più a Dio con la grazia, come sopra abbiamo
notato. Ma quando saremo giunti alla perfetta beatitudine,
non rimarrà più nulla da desiderare: perché là avremo la piena
fruizione di Dio, in cui l'uomo otterrà ogni cosa anche rispetto agli altri beni da lui desiderati, secondo le parole del salmo: "Egli
sazia di beni la tua brama". E quindi non cesserà soltanto il nostro
desiderio di Dio, ma si avrà la quiete di tutti i desideri.
Perciò la gioia dei beati è perfettamente piena, anzi traboccante: perché
essi otterranno più di quanto possano desiderare; ché, a detta
di S. Paolo, "non ascese al cuor dell'uomo ciò che Dio ha preparato
a quelli che lo amano". Così si spiegano le parole
evangeliche: "Vi sarà versata in grembo una misura buona e
traboccante". E poiché nessuna creatura è grande abbastanza per
accogliere la gioia di Dio che le spetta, nell'uomo non può entrare
una gioia davvero completa, ma è l'uomo che entra in essa,
secondo l'espressione evangelica: "Entra nella gioia del tuo Signore".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento si limita a
considerare la pienezza della gioia in rapporto alla cosa di cui si
gode.
2. Giunti alla beatitudine, ciascuno avrà toccato il limite
stabilito per lui dalla predestinazione divina, e non resterà più nulla
a cui tendere: sebbene con codesto limite alcuni arrivino a una
maggiore e altri a una minore vicinanza con Dio. E quindi la
gioia di ciascuno sarà piena dal lato del soggetto: perché il
desiderio di ciascuno sarà perfettamente quietato. Tuttavia la gioia
dell'uno sarà maggiore di quella dell'altro, per una più completa
partecipazione della divina beatitudine.
3. La comprensione implica pienezza della conoscenza in rapporto
alla cosa che si conosce: in modo da conoscerla per quanto
essa è conoscibile. Tuttavia anche la conoscenza ha una certa
pienezza in rapporto al conoscente, come si è detto a proposito della
gioia. Infatti l'Apostolo scriveva ai Colossesi: "Siate ripieni della
conoscenza del suo volere in tutto il campo della sapienza e
intelligenza spirituale".
ARTICOLO 4
Se la gioia sia una virtù
SEMBRA che la gioia sia una virtù. Infatti:
1. Un vizio è sempre il contrario di una virtù. Ma la tristezza è
considerata un vizio: com'è evidente (nella definizione) dell'accidia
e dell'invidia. Dunque anche la gioia deve considerarsi una
virtù.
2. La gioia è una passione che ha per oggetto il bene, come
l'amore e la speranza. Ora, l'amore e la speranza sono anche virtù.
Perciò deve essere una virtù anche la gioia.
3. I comandamenti della legge hanno per oggetto gli atti delle
virtù. Ma a noi vien comandato di godere di Dio: "Godete sempre
nel Signore". Dunque la gioia è una virtù.
IN CONTRARIO: La gioia non è enumerata né tra le virtù teologali,
né tra quelle morali, né tra le virtù intellettuali, come è evidente
da quanto abbiamo detto.
RISPONDO: Come sopra abbiamo spiegato, la virtù è un abito
operativo; perciò in forza della sua natura è inclinata ad alcuni atti.
Ora, capita che da un unico abito derivino più atti tra loro
ordinati della medesima specie, che seguono l'uno dall'altro. E
poiché gli atti successivi non derivano dall'abito di una virtù, se non
mediante l'atto antecedente, ne segue che la virtù viene definita
e denominata soltanto dal primo atto, sebbene da essa derivino
anche gli altri. Ma da quanto abbiamo già detto nel trattato delle
passioni, è chiaro che l'amore è il primo affetto della potenza
appetitiva, dal quale segue e il desiderio e la gioia. Perciò l'abito
virtuoso che inclina ad amare, a desiderare il bene che si ama e
a goderne, è identico. Siccome però tra questi atti è primo l'amore,
la virtù non viene denominata dal godimento, o dal desiderio, ma
dall'amore, e si chiama carità. Perciò la gioia non è una virtù
distinta dalla carità, ma è un atto o un effetto di essa. Per questo
da S. Paolo viene ricordata tra i frutti.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La tristezza che viene considerata
un vizio è causata dall'amore disordinato di se stessi, il quale non
è un vizio specifico, ma una radice generale dei vizi, come abbiamo
spiegato a suo tempo. Perciò si è dovuto determinare certe tristezze
particolari come vizi specifici: perché esse non derivano da un
vizio specifico, ma da un vizio generico. Invece l'amore di Dio,
ossia la carità è una virtù specifica, nella quale è inclusa anche
la gioia, come atto proprio di essa, secondo le spiegazioni date.
2. La speranza deriva dall'amore come la gioia: ma la speranza
trova da parte dell'oggetto l'aggiunta di una ragione speciale, cioè
l'arduità raggiungibile; ecco perché essa si considera una virtù
specificamente distinta. Invece la gioia non implica nessuna
speciale ragione, che la differenzi dall'amore come una speciale virtù.
3. La legge in tanto comanda la gioia, in quanto questa è un
atto della carità; sebbene non ne sia il primo.
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