La Speranza
Somma Teologica II-II, q. 19
Il dono del timore
Ed eccoci a studiare il dono del timore.
Sull'argomento si pongono dodici quesiti: 1. Se Dio si debba temere;
2. Se sia giusta la divisione in timore filiale, iniziale, servile
e mondano; 3. Se il timore mondano sia sempre cattivo; 4. Se
il timore servile sia buono; 5. Se essenzialmente si identifichi col
timore filiale; 6. Se la carità escluda il timore servile; 7. Se il
timore sia inizio della sapienza; 8. Se il timore iniziale in sostanza
si identifichi col timore filiale; 9. Se il timore sia un dono dello
Spirito Santo; 10. Se cresca col crescere della carità; 11. Se
rimanga nella patria; 12. Quali siano le beatitudini e i frutti che
corrispondono al timore.
ARTICOLO
1
Se sia possibile temere Dio
SEMBRA che non sia possibile temere Dio. Infatti:
1. Oggetto del timore è un male futuro, come sopra abbiamo
visto. Ma Dio è immune da qualsiasi male: essendo la stessa
bontà. Dunque Dio non si può temere.
2. Il timore è contrario
alla speranza. Ora, Dio è oggetto di speranza.
Dunque non possiamo simultaneamente temerlo.
3. Come dice il Filosofo,
"noi temiamo quegli esseri da cui provengono
i nostri mali". Ora, i nostri mali non provengono da Dio,
ma da noi stessi, secondo le parole di Osea: "Sei tu la tua rovina,
o Israele; in me sta il tuo aiuto". Perciò Dio non si deve temere.
IN CONTRARIO: Leggiamo in Geremia:
"Chi non ti temerà, o re
delle genti?"; e in Malachia: "Se io sono il Signore, dov'è il mio
timore?".
RISPONDO: Due sono gli oggetti della speranza: il primo di essi
è il bene futuro di cui si attende il raggiungimento, il secondo è
l'aiuto di colui mediante il quale uno spera di raggiungerlo. Allo
stesso modo anche il timore può avere due oggetti: il primo è il
male stesso che uno rifugge, il secondo è la causa da cui esso può
provenire. Orbene, Dio non può essere oggetto del timore direttamente,
essendo la stessa bontà. Invece può essere oggetto del timore
nell'altra maniera: cioè in quanto un male può provenirci
da lui, o in rapporto a lui. Da lui può venirci il male pena, che non
è male in senso assoluto, ma sotto un certo aspetto, mentre in
senso assoluto è un bene. Infatti, siccome il bene si concepisce in
ordine al fine, mentre il male è privazione di codesto ordine, è male
in senso assoluto solo quello che elimina l'ordine all'ultimo fine,
cioè il male colpa. Invece il male pena è un male in quanto priva
di un bene particolare: ma è un bene in senso assoluto, in quanto
dipende dall'ordine all'ultimo fine. E in rapporto a Dio noi possiamo
incorrere nel male colpa, separandoci da lui. Ed è così che
Dio può e deve essere temuto.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'argomento vale per chi considera
oggetto del timore il male soltanto.
2. In Dio si deve considerare sia la giustizia, con la quale punisce
i peccatori, sia la misericordia con la quale ci redime. Ora, dalla
considerazione della sua giustizia in noi nasce il timore; mentre
dalla considerazione della misericordia sorge in noi la speranza.
Ecco quindi che Dio è oggetto della speranza e del timore sotto
aspetti diversi.
3. Il male colpa ha la sua causa non in Dio, ma in noi, in quanto
ci allontaniamo da lui. Invece il male pena in quanto è un bene,
cioè in quanto giusto, proviene da Dio: ma il fatto che ci viene giustamente
applicata una pena si deve innanzi tutto al merito dei
nostri peccati. Di qui l'affermazione della Sapienza, che "Dio non
fece la morte, ma gli empi la chiamarono con la mano e con la voce".
ARTICOLO
2
Se sia giusto dividere il timore in filiale, iniziale, servile e mondano
SEMBRA che non sia giusto dividere il timore in filiale, iniziale,
servile e mondano. Infatti:
1. Il Damasceno enumera sei specie di timori, cioè la pigrizia,
la vergogna e tutte le altre di cui abbiamo già parlato, e che non
sono ricordate in questa divisione. Perciò questa divisione del timore
non è appropriata.
2. Tutti questi timori sono o buoni o cattivi. Eppure c'è un timore,
cioè quello naturale, che moralmente non è buono, trovandosi
anche nei demoni, secondo le parole di S. Giacomo: "I demoni
credono e tremano"; e neppure è cattivo, riscontrandosi anche
in Cristo, poiché come dice il Vangelo, "Gesù cominciò a tremare
e ad essere in preda all'angoscia". Dunque il timore non è
ben diviso nel modo indicato.
3. Il rapporto del figlio col padre è diverso da quello della moglie
col marito e degli schiavi col padrone. Ora, il timore filiale,
che è quello del figlio rispetto al padre, viene distinto dal timore
servile, che è quello degli schiavi in rapporto al padrone. Dunque
si doveva distinguere da tutti gli altri timori anche il timore casto,
che sembra essere quello della moglie verso il marito.
4. Il timore iniziale e quello mondano temono la pena come il
timore servile. Perciò essi non dovevano essere distinti tra loro.
5. Come la concupiscenza ha per oggetto il bene, così il timore
ha per oggetto il male. Ora, la concupiscenza degli occhi, con la
quale uno brama i beni del mondo, è distinta dalla concupiscenza
della carne, con la quale desidera il proprio piacere. Dunque anche il timore mondano, col quale si teme di perdere i beni
esterni,
è distinto dal timore col quale si teme un danno alla propria
persona.
IN CONTRARIO: Sta l'autorità del Maestro delle Sentenze.
RISPONDO: Parliamo qui del timore in quanto serve in qualche
modo per volgerci a Dio, o ad allontanarci da lui. Infatti avendo
il timore per oggetto il male, talora l'uomo si allontana da Dio
per il timore di certi mali: e codesto timore si denomina umano
o mondano. Invece altre volte l'uomo è spinto, dai mali che teme,
a volgersi e ad aderire a Dio. E questi mali sono di due specie,
e cioè: il male pena, e il male colpa. Perciò se uno si volge e
aderisce a Dio per il timore della pena, si avrà il timore servile.
Se invece lo fa per il timore della colpa, si avrà il timore filiale:
infatti è proprio dei figli temere l'offesa del padre. Se poi lo fa per
l'una e per l'altra cosa, allora si ha il timore iniziale, che sta tra
l'uno e l'altro timore. - Abbiamo già esaminato sopra, nel trattare
della passione del timore, il problema se sia possibile temere il
male colpa.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Damasceno divide il timore in
quanto è una passione. Invece questa divisione del timore è in ordine
a Dio, come abbiamo notato.
2. Il bene morale consiste principalmente nel volgersi a Dio,
mentre il male morale consiste nell'allontanamento da lui. Ecco
perché codesti timori implicano il bene o il male morale. Invece il
timore naturale è presupposto al bene e al male morale. E quindi
non va enumerato tra questi timori.
3. Il rapporto tra schiavo e padrone dipende dal dominio del padrone
che tiene soggetto lo schiavo: invece il rapporto del figlio
col padre, o della moglie col marito dipende dall'affetto del figlio
per il padre cui si sottomette, o della sposa che per amore si unisce
al marito. Perciò il timore filiale e quello casto si riducono alla
stessa cosa; poiché mediante l'amore di carità Dio diviene nostro
padre, secondo le parole di S. Paolo: "Avete ricevuto lo spirito
di adozione a figliuoli, in cui gridiamo: "Abba, Padre""; e per
questa medesima carità viene chiamato anche nostro sposo, secondo
quell'altra espressione paolina: "Vi ho sposati a un unico
marito, per presentare una casta vergine a Cristo". Invece il timore
servile è di tutt'altro genere: poiché nel suo concetto non
include la carità.
4. I tre timori indicati sono connessi con la pena, ma in maniera
diversa. Infatti il timore mondano, o umano, si riferisce a una
pena che allontana da Dio, e che è inflitta, o minacciata dai nemici di Dio.
Invece il timore servile e quello iniziale si riferiscono
a una pena che porta gli uomini a Dio, e che è inflitta o minacciata
da lui. E questa pena per il timore servile è l'oggetto primario,
mentre è secondario per il timore iniziale.
5. Il timore di perdere i beni temporali, e quello di perdere l'incolumità
del proprio corpo allontanano da Dio per uno stesso
motivo: poiché i beni esterni appartengono al corpo. Ecco perché
codesti due timori sono qui contati per uno solo, sebbene i mali
temuti siano diversi, come sono diversi i beni desiderati. Da questa
diversità deriva invece la distinzione specifica dei peccati, pur
avendo essi in comune tutti ugualmente la capacità di allontanare
da Dio.
ARTICOLO
3
Se il timore mondano sia sempre cattivo
SEMBRA che il timore mondano non sia sempre cattivo. Infatti:
1. Il timore del mondo produce la soggezione verso gli uomini.
Ora, alcuni vengono vituperati per il fatto che non hanno questa
soggezione. Ciò è evidente nella descrizione evangelica di quel giudice
iniquo, "che non temeva Dio, né aveva soggezione di alcuno".
Dunque il timore mondano non sempre è cattivo.
2. Sembra che spettino al timore del mondo i castighi inflitti
dalle autorità civili. Ma codeste pene ci spingono a ben operare;
poiché sta scritto: "Vuoi tu non temere l'autorità? Fa' il bene, e
avrai lode da essa". Dunque il timore del mondo non sempre è
cattivo.
3. Ciò che è insito in noi per natura non può essere cattivo:
poiché le cose naturali vengono da Dio. Ora, è naturale per l'uomo
temere la menomazione del proprio corpo e la perdita dei beni temporali,
che servono a sostentare la vita presente. Dunque il timore
mondano non sempre è cattivo.
IN CONTRARIO: Il Signore ammonisce:
"Non vogliate temere quelli
che uccidono il corpo", con le quali parole proibisce il timore
mondano. Ora, Dio non proibisce che il male. Dunque codesto timore è cattivo.
RISPONDO: È evidente, da quanto abbiamo già detto, che gli atti
e gli abiti morali ricevono il nome e la specificazione dai loro oggetti.
Ora, oggetto proprio di un moto dell'appetito è il bene perseguito
come fine. Perciò ogni moto affettivo è specificato e denominato
dal proprio fine. Infatti se uno definisce la cupidigia amore
del lavoro, perché essa spinge gli uomini a lavorare, non darebbe
una buona definizione: poiché gli avidi non cercano il lavoro
come fine, ma come mezzo, mentre come fine cercano le ricchezze.
Perciò la cupidigia giustamente viene definita desiderio, o amore delle
ricchezze, che è cattivo. Allo stesso modo si denomina propriamente
amore del mondo quello col quale uno aderisce al mondo come al
proprio fine. E quindi l'amore del mondo è sempre cattivo. Ora,
il timore nasce dall'amore: poiché l'uomo teme di perdere ciò che
ama, come spiega S. Agostino. Dunque timore del mondo è quello
che nasce come da una cattiva radice, dall'amore del mondo. Ecco
perché anche il timore del mondo è sempre cattivo.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In due maniere si può avere soggezione
di un uomo. Primo, in quanto in lui c'è qualche cosa di
divino, come la grazia, la virtù, o almeno l'immagine naturale di
Dio: e in questo senso sono da biasimarsi coloro che non rispettano
gli uomini. Secondo si può avere soggezione degli uomini, in
quanto sono contrari a Dio. E in tal senso sono da lodare coloro
che non li rispettano, come fa la Scrittura per Elia, o per Eliseo: "Ai suoi giorni egli non ebbe paura
di nessun principe".
2. Il potere civile quando infligge i castighi per ritrarre dal peccato,
è ministro di Dio; poiché sta scritto: "È ministro di Dio,
e vindice dell'ira divina per chi fa il male". Ma temere l'autorità
civile in questo modo non appartiene al timore mondano, bensì al
timore servile, o a quello iniziale.
3. È naturale che un uomo rifugga dalla menomazione del proprio corpo,
o dai danni nei beni temporali: ma è contro la ragione
naturale che abbandoni l'onestà per codeste cose. Infatti il Filosofo
stesso afferma che ci sono alcune cose, cioè le opere peccaminose,
alle quali uno non deve piegarsi per nessun timore: poiché
commettere codesti peccati è peggio che soffrire qualsiasi pena.
ARTICOLO 4
Se il timore servile sia buono
SEMBRA che il timore servile non sia buono. Infatti:
1. Un sentimento il cui uso è cattivo, è cattivo anch'esso. Ma
l'uso del timore servile è cattivo: poiché la Glossa, nel commentare
un passo di S. Paolo, afferma che "Chi fa una cosa per timore,
anche se fa il bene, non agisce bene". Dunque il timore servile
non è buono.
2. Quello che nasce da una radice di peccato non è una cosa
buona. Ma il timore servile nasce da una radice di peccato; poiché
S. Gregorio, commentando quelle parole di Giobbe: "Perché non
sono morto dentro l'utero?", afferma: "Quando si teme la pena
inflitta per il peccato, senza amare la presenza di Dio che si è perduta,
il timore viene dall'orgoglio, e non dall'umiltà". Perciò il timore
servile è cattivo.
3. Come all'amore di carità si oppone l'amore mercenario, così
al timore casto sembra contrapporsi il timore servile. Ma l'amore
mercenario è sempre cattivo. Quindi è cattivo anche il timore
servile.
IN CONTRARIO: Dallo Spirito Santo non può venire nessun
male.
Ma il timore servile viene dallo Spirito Santo; poiché a commento
di quel testo paolino: "Non avete ricevuto spirito di servitù...",
la Glossa spiega: "Uno è lo Spirito che produce i due timori, cioè
quello servile e quello casto". Dunque il timore servile non è
cattivo.
RISPONDO: Il timore
servile sotto l'aspetto di servilità è cattivo.
Infatti la schiavitù si oppone alla libertà. Poiché, come dice Aristotele,
libero "è colui che è causa di se stesso", mentre è schiavo
chi non agisce per se stesso, ma è come mosso dall'esterno. Ora,
chi agisce per amore opera per se stesso: poiché è mosso ad agire
dalla propria inclinazione. Perciò agire per amore è in contrasto
col concetto di servilità. E quindi il timore servile, in quanto servile,
è contrario alla carità.
Perciò, se la servilità appartenesse alla natura di questo
timore, necessariamente il timore servile sarebbe per se stesso cattivo,
come è cattivo per se stesso l'adulterio; poiché l'adulterio è costituito
nella sua essenza da qualche cosa che è contraria alla carità.
Ma la suddetta servilità non fa parte della natura del timore servile:
come lo stato di informità non costituisce l'essenza della
fede informe. Poiché gli abiti e gli atti morali derivano la loro specie
dall'oggetto. Ora, oggetto del timore servile è la pena; per la
quale è indifferente che il bene ad essa direttamente contrario sia
amato come fine ultimo, e che quindi essa sia temuta quale supremo
dei mali, come avviene in chi non ha la carità; oppure che sia invece
ordinata a Dio come ad ultimo fine, come avviene in chi ha
la carità; nel qual caso la pena non è temuta quale supremo dei
mali. Infatti un abito non muta la sua specie, per il fatto che il
suo oggetto, o il suo fine, è ordinato a un fine più remoto. Perciò
il timore servile per sua natura è buono, mentre la sua servilità è
cattiva.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'affermazione di S. Agostino vale
per chi compie una cosa per il timore servile in quanto servile,
cioè senza amare la giustizia, ma solo per il timore della pena.
2. Dall'orgoglio il timore servile non deriva nella sua sostanza,
ma nella sua servilità: in quanto l'uomo non vuole piegare per
amore i suoi affetti al giogo della giustizia.
3. È mercenario quell'amore che ama Dio per i beni temporali.
E questo è direttamente in contrasto con la carità. Perciò l'amore
mercenario è sempre cattivo. Invece il timore servile nella sua natura
non implica che il timore della pena, sia che questa si tema
come male supremo, sia che non si tema in questo modo.
ARTICOLO 5
Se il timore servile si identifichi essenzialmente col timore filiale
SEMBRA che
il timore servile si identifichi essenzialmente col
timore filiale. Infatti:
1. Il timore filiale sta al timore servile come la fede formata sta
alla fede informe, sebbene quest'ultima implichi, a differenza del
timore servile, il peccato mortale. Ora, la fede formata e quella
informe essenzialmente si identificano. Dunque si identificano essenzialmente
anche il timore servile e quello filiale.
2. Gli abiti diversificano tra loro secondo gli oggetti. Ma l'oggetto
del timore servile e del timore filiale è identico: poiché con
l'uno e con l'altro si teme Dio. Dunque il timore servile e quello filiale
essenzialmente si identificano.
3. Un uomo teme di separarsi da Dio e di subirne i castighi,
come spera di godere Dio e di ottenerne i benefici. Ora, la speranza
con la quale speriamo di godere Dio è identica, come abbiamo visto,
a quella con cui speriamo di ottenerne i benefici. Perciò anche
il timore filiale, che ci fa temere la separazione da Dio, si identifica
col timore servile, col quale temiamo di essere da lui puniti.
IN CONTRARIO: S. Agostino afferma che ci sono due timori, uno
servile e l'altro filiale, o casto.
RISPONDO: Oggetto proprio del timore è il male. E poiché gli atti
e gli abiti si distinguono tra loro secondo gli oggetti, come fu già
dimostrato, è necessario che in base alla diversità dei mali siano
specificamente distinti anche i timori. Ora, il male pena, aborrito
dal timore servile, differisce specificamente dal male colpa, aborrito
dal timore filiale, come abbiamo già accennato. Perciò è evidente
che il timore servile e quello filiale non si identificano essenzialmente,
ma sono specificamente distinti.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ; 1. La fede formata e quella informe
non differiscono tra loro per l'oggetto, poiché l'una e l'altra credono
a Dio e credono Dio: ma differiscono solo per qualche cosa
di estrinseco, cioè in base alla presenza, o all'assenza della carità.
Quindi non differiscono essenzialmente. Invece il timore servile e
quello filiale differiscono per i loro oggetti. Perciò il paragone non
regge.
2. Il timore servile e il timore filiale non hanno con Dio il medesimo
rapporto; infatti il timore servile considera Dio come principio
capace di infliggere i castighi: invece il timore filiale non
considera Dio come principio capace di compiere la colpa, ma piuttosto
come termine dal quale ha paura di separarsi con la colpa.
Perciò questi timori non ricevono un'identità di specie dall'oggetto
che è Dio. Del resto anche i moti dei corpi differiscono essenzialmente
tra loro secondo la diversità dei loro rapporti con un dato
termine: infatti il moto che parte dalla bianchezza non è specificamente
identico a quello che tende alla bianchezza.
3. La speranza considera Dio come principio, sia rispetto alla
fruizione divina, sia rispetto a qualsiasi altro beneficio. Non così
il timore. Perciò il paragone non regge.
ARTICOLO 6
Se il timore servile sia compatibile con la carità
SEMBRA che il timore servile non sia compatibile con la carità.
Infatti:
1. S. Agostino afferma, che
"quando subentra la carità, viene
espulso il timore, che le aveva preparato il posto".
2.
"La carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito
Santo che ci fu dato", come dice S. Paolo. Ma, come il medesimo
afferma, "dove è lo Spirito del Signore ivi è libertà". Quindi, dal
momento che la libertà esclude la schiavitù, è chiaro che il timore
servile viene eliminato al sopraggiungere della carità.
3. Il timore servile è causato dall'amor proprio, in quanto la pena
colpisce il proprio bene. Ora, l'amor di Dio esclude l'amor
proprio: poiché fa disprezzare se stessi, come dimostra S. Agostino,
concludendo che "l'amore di Dio fino al disprezzo di sé costruisce
la città di Dio". Dunque l'infusione della carità elimina il timore
servile.
IN CONTRARIO: Il timore servile è un dono dello Spirito Santo, come
fu già notato sopra. Ma i doni dello Spirito Santo non vengono
eliminati dalla carità, mediante la quale egli viene ad abitare in
noi. Quindi il timore servile non viene escluso dall'infusione della
carità.
RISPONDO: Il timore servile è prodotto dall'amor proprio: essendo
esso il timore della pena, che è una menomazione del proprio
bene. Perciò il timore della pena è compatibile con la carità come
l'amor proprio: poiché è identico il motivo che spinge un uomo
a desiderare il proprio bene, e a temerne la privazione. Ora,
l'amore di se stessi può avere tre rapporti differenti con la carità.
Primo, può essere in opposizione con essa: nel caso, cioè, in cui
uno mette nell'amore del proprio bene il suo ultimo fine. Secondo,
può essere incluso nella carità, in quanto uno ama se stesso in
Dio e per Dio. Terzo, può essere distinto dalla carità, senza essere
in opposizione con essa: quando uno, p. es., ama se stesso e
i propri beni, senza mettere in questi il suo ultimo fine. E così pure
uno può avere un particolare amore verso il prossimo, che non
rientra nella carità, incentrata su Dio, in quanto ama il prossimo
o per ragioni di consanguineità, o di altri motivi umani, che però
si possono riallacciare alla carità.
Ebbene, anche il timore della pena, stando alla prima supposizione,
può essere talora incluso nella carità: infatti essere lontani
da Dio è una pena, che la carità massimamente aborrisce. Perciò
questo è proprio del timore casto. - Secondo, il timore può essere
contrario alla carità: cioè quando uno fugge la pena contrastante
col proprio bene naturale, come fosse il primo dei mali, colpendo
il bene da lui amato come ultimo fine. E in questo caso il timore
della pena è incompatibile con la carità. - Terzo, può darsi un timore
della pena, il quale è essenzialmente distinto dal timore casto,
perché si teme il male pena come nocivo al proprio bene e non
perché separa da Dio; però non si costituisce in codesto bene il
proprio fine, e quindi non si teme quel male come il supremo dei
mali. E codesto timore della pena è compatibile con la carità. Ma
questo timore non può dirsi (propriamente) servile, se non quando
la pena è temuta come il male supremo, secondo le spiegazioni
date. Perciò il timore, in quanto servile, non è compatibile con la
carità: mentre è con essa compatibile la sostanza del timore servile,
come è compatibile con la carità l'amore di se stessi.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino parla del timore in
quanto servile.
Lo stesso vale per le altre difficoltà.
ARTICOLO
7
Se il timore sia l'inizio della sapienza
SEMBRA che il timore non sia l'inizio della sapienza. Infatti:
1. L'inizio è già parte di una cosa. Ora, il timore non fa parte
della sapienza: poiché il timore è in una potenza appetitiva, mentre
la sapienza è in quella intellettiva. Dunque il timore non è l'inizio
della sapienza.
2. Nessuna cosa è principio di se stessa. Ma in Giobbe si legge,
che "il timore del Signore è la stessa sapienza". Dunque il timore
non è l'inizio della sapienza.
3. Non ci può essere nulla di anteriore al principio. Ora, c'è qualche
cosa che precede il timore, cioè la fede. Quindi il timore non
è l'inizio della sapienza.
IN CONTRARIO: Sta scritto:
"Inizio della sapienza è il timore del
Signore".
RISPONDO: In due maniere una cosa può dirsi inizio della
sapienza: primo, perché è l'inizio della sua costituzione essenziale;
secondo, perché inizio dei suoi effetti. Inizio di un'arte, p. es., nei
suoi dati essenziali sono i principi dai quali essa deriva; invece
inizio di quest'arte nei suoi effetti è la parte da cui essa comincia
le sue opere; cioè come se si dicesse che per l'arte muraria il principio è
costituito dalle fondamenta, perché è di là che il muratore
comincia.
Ora, essendo la sapienza la cognizione delle cose di Dio, come
vedremo, teologi e filosofi la considerano in maniera diversa. Infatti
la nostra vita essendo indirizzata alla fruizione di Dio per
una partecipazione della natura divina, cioè mediante la grazia,
noi teologi non dobbiamo considerare la sapienza solo come cognizione
di Dio, alla maniera dei filosofi; bensì quale principio direttivo
della vita umana, che non può dipendere dalle sole ragioni
umane, ma anche dalle ragioni divine, come spiega S. Agostino.
Perciò inizio della sapienza quanto alla sua struttura essenziale
sono i primi principi di essa, vale a dire gli articoli di fede. E da
questo lato inizio della sapienza è la fede. - Ma quanto agli effetti
l'inizio della sapienza è il punto da cui parte la sua operazione. E
da questo lato inizio della sapienza è il timore. Per certi aspetti
il timore servile, e per certi altri il timore filiale. Infatti il timore
servile è come un principio che dispone alla sapienza dall'esterno:
cioè in quanto il timore del castigo allontana dal peccato, predisponendo
un soggetto agli effetti della sapienza, secondo le parole
della Scrittura: "Il timore di Dio scaccia il peccato". Invece il timore
casto, o filiale, è inizio della sapienza come primo effetto di
essa. Infatti essendo compito della sapienza guidare la vita umana
secondo le ragioni divine, bisogna iniziare col rispetto dell'uomo
verso Dio, e con la sottomissione a lui: da questa infatti deriva
come conseguenza che uno si regoli in tutto secondo Dio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento dimostra (solo)
che il timore non è principio della sapienza come parte essenziale
di essa.
2. Il timore di Dio sta all'insieme della vita umana governata
dalla sapienza, come le radici all'albero; ecco perché nella Scrittura
si legge: "La radice della sapienza è il temere Dio, e i suoi
rami sono longevi". Perciò come la radice può considerarsi virtualmente
l'intero albero, così il timore di Dio può considerarsi
la stessa sapienza.
3. La fede è inizio della sapienza in modo diverso dal timore,
come abbiamo spiegato. Ecco perché la Scrittura afferma: "Il timor
di Dio è il principio dell'amore verso di lui, ma ad esso si
deve unire un principio di fede".
ARTICOLO
8
Se il timore iniziale differisca essenzialmente dal timore filiale
SEMBRA che il timore iniziale differisca essenzialmente dal timore
filiale. Infatti:
1. Il timore filiale è un effetto della carità. Ora, il timore iniziale
è principio della carità, secondo l'espressione della Scrittura: "Il timore del Signore è il principio
dell'amore". Dunque il timore
iniziale è diverso da quello filiale.
2. Il timore iniziale teme la pena, che è oggetto del timore servile:
e quindi sembra che il timore iniziale si identifichi con quello
servile. Ma il timore servile è diverso da quello filiale. Dunque anche
il timore iniziale è distinto essenzialmente da quello filiale.
3. Un dato intermedio differisce ugualmente dai due estremi.
Ora, il timore iniziale sta in mezzo tra il timore servile e quello
filiale. Perciò differisce ugualmente da entrambi.
IN CONTRARIO: Perfezione e imperfezione non mutano l'essenza di
una cosa. Ora, questi due timori, iniziale e filiale, differiscono solo
secondo la perfezione e l'imperfezione della carità, come S. Agostino
dimostra. Perciò il timore iniziale non differisce essenzialmente
dal timore filiale.
RISPONDO: Si parla di timore iniziale in quanto dà inizio. E poiché
tanto il timore servile che quello filiale sono in qualche modo
inizio della sapienza, entrambi possono dirsi iniziali in qualche maniera.
Ma in tal senso il timore iniziale non si distingue da quello
servile e da quello filiale. Va preso invece come proprio dello stato
degli incipienti, in cui si riscontra un principio di timore filiale
in forza di una carità incipiente; ma non il timore filiale perfetto,
perché ancora essi non hanno raggiunto la perfezione della carità.
Perciò il timore iniziale da questo lato sta a quello filiale, come la
carità imperfetta a quella perfetta. Ora, la carità perfetta e quella
imperfetta non differiscono essenzialmente, ma solo di grado. Si
deve quindi concludere che il timore iniziale, nel senso indicato,
non differisce essenzialmente dal timore filiale.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il timore che è principio della carità è
quello servile, il quale, a detta di S. Agostino, "fa entrare
la carità come la setola fa entrare lo spago". - Oppure, se l'affermazione
si riferisce al timore iniziale, si può dire che è principio
della carità non in senso assoluto, ma rispetto alla carità perfetta.
2. Il timore iniziale non teme le pene come oggetto suo proprio,
ma in quanto comporta elementi di timore servile. Il quale per la
sua essenza è compatibile con la carità, però senza la servilità. Gli
atti di questo timore sono compatibili con la carità imperfetta, in
colui che è mosso ad agire onestamente non soltanto dall'amore
della giustizia, ma anche dal timore della pena; mentre cessano
in colui che possiede la carità perfetta, la quale "manda via il timore
che implica pena", come si esprime S. Giovanni.
3. Il timore iniziale sta tra il filiale e il servile non come tra
specie differenti di un unico genere, ma come una realtà imperfetta è
intermedia tra l'ente perfetto e il non ente, secondo la dottrina
di Aristotele. Questa realtà, dunque, è sostanzialmente identica
all'ente perfetto, mentre differisce del tutto dal non ente.
ARTICOLO
9
Se il timore sia un dono dello Spirito Santo
SEMBRA che il timore non sia un dono dello Spirito Santo. Infatti:
1. Nessun dono dello Spirito Santo si contrappone a una virtù,
essendo anche questa dallo Spirito Santo; altrimenti lo Spirito
Santo sarebbe in opposizione con se stesso. Ma il timore si contrappone
alla speranza, che è una virtù. Dunque il timore non è
un dono dello Spirito Santo.
2.
È proprio delle virtù teologali avere Dio per oggetto. Ma il
timore ha Dio per oggetto, poiché con esso si teme Dio. Perciò il
timore non è un dono, ma una virtù teologale.
3. Il timore deriva dall'amore. Ora, l'amore è una delle virtù
teologali. Quindi anche il timore, facendo corpo con esso, è una
virtù teologale.
4. S. Gregorio afferma che il timore viene dato contro la superbia.
Ma il contrario della superbia è l'umiltà. Dunque anche il
timore è incluso in codesta virtù.
5. I doni sono più perfetti delle virtù: infatti, come insegna
S. Gregorio, essi sono dati a sostegno delle virtù. Ma la speranza
è più perfetta del timore: poiché la speranza ha per oggetto il
bene, mentre il timore ha di mira il male. Perciò, essendo la speranza
una virtù, non si deve ammettere che il timore sia un dono.
IN CONTRARIO: In Isaia il timore di Dio è enumerato tra i sette doni
dello Spirito Santo.
RISPONDO: Secondo le spiegazioni date, il timore è di varie specie.
Ebbene, come dice S. Agostino, non è un dono di Dio il timore
umano; infatti per questo timore Pietro rinnegò Cristo; ma è un
dono solo quel timore del quale si legge: "Temete colui che può
mandare alla Geenna l'anima e il corpo".
Così pure non si deve enumerare tra i doni dello Spirito Santo
il timore servile, sebbene derivi da lui. Poiché esso, come spiega
S. Agostino, non esclude la volontà di peccare: invece i doni dello
Spirito Santo sono incompatibili con la volontà di peccare, non
potendo essi sussistere, come abbiamo spiegato in precedenza, senza
la carità.
Perciò, rimane stabilito che il timore di Dio, enumerato tra i
sette doni dello Spirito Santo, è il timore filiale, o casto. Sopra infatti
abbiamo visto che i doni dello Spirito Santo sono determinate
perfezioni delle potenze dell'anima in forma di abiti, che rendono
le facoltà atte a seguire docilmente le mozioni dello Spirito Santo,
come le virtù morali rendono docili alla ragione le potenze appetitive.
Ora, perché un soggetto sia pronto alla mozione di chi
muove, per prima cosa si richiede che sia ad esso soggetto, non
facendo resistenza: poiché la resistenza impedirebbe il moto. Ebbene,
questo è il compito del timore filiale o casto, in quanto esso
ci rende rispettosi verso Dio, e timorosi di sottrarci al suo dominio.
Ecco perché il timore filiale occupa, per così dire, il primo posto
tra i doni dello Spirito Santo in ordine ascendente, e l'ultimo in
ordine discendente, come insegna S. Agostino.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il timore filiale non si contrappone
alla virtù della speranza. Infatti col timore filiale noi non temiamo
che ci venga a mancare quanto speriamo di ottenere con l'aiuto
di Dio; ma temiamo di sottrarci a codesto aiuto. Perciò il timore
filiale e la speranza sono solidali tra loro, e si completano a vicenda.
2. Oggetto proprio e principale del timore è il male che uno aborrisce.
E in questo senso è impossibile che Dio sia direttamente oggetto
del timore, come sopra abbiamo detto. Mentre Dio è oggetto
in questo modo della speranza e delle altre virtù teologali. Poiché
con la virtù della speranza ci appoggiamo all'aiuto divino, non
solo per conseguire ogni altro bene, ma principalmente per conseguire
Dio stesso, quale bene principale. Lo stesso si dica per le
altre virtù teologali.
3. Per il fatto che l'amore è principio del timore, non segue che
il timor di Dio non sia un abito distinto dalla carità, cioè dall'amore
di Dio: poiché l'amore è principio di tutti gli affetti, e tuttavia
siamo dotati di molteplici abiti per i diversi affetti. Però
l'amore ha più del timore l'aspetto di virtù, perché l'amore ha di
mira il bene, al quale la virtù principalmente è ordinata per sua
natura, come sopra abbiamo spiegato. Per questo anche la speranza è
posta tra le virtù. Invece il timore principalmente ha di
mira il male, di cui implica ripugnanza. Perciò è qualche cosa di
meno di una virtù teologale.
4. Come dice l'Ecclesiastico,
"il principio della superbia umana
è l'apostatare da Dio", cioè rifiutare di sottomettersi a Dio: e
questo si contrappone al timore filiale, che ha soggezione di Dio.
È così che il timore esclude il principio della superbia: e per questo è
dato contro la superbia. Ma non ne segue che si identifichi
con la virtù dell'umiltà, bensì che ne sia il principio: infatti i doni
dello Spirito Santo sono principi delle virtù intellettuali e morali,
come sopra abbiamo spiegato. Però abbiamo anche detto che le
virtù teologali sono principi dei doni.
5. Da ciò appare evidente la soluzione alla quinta difficoltà.
ARTICOLO
10
Se col crescere della carità diminuisca il timore
SEMBRA
che col crescere della carità diminuisca il timore. Infatti:
1. S. Agostino ha scritto:
"Più cresce la carità, più diminuisce
il timore".
2. Crescendo la speranza, diminuisce il timore. Ma crescendo la carità,
cresce la speranza, come sopra abbiamo detto. Dunque col
crescere della carità diminuisce il timore.
3. L'amore dice unione, il timore invece separazione. Ma
crescendo l'unione diminuisce la separazione. Dunque crescendo
l'amore di carità diminuisce il timore.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna, che
"il timore di Dio non
solo inizia, ma porta a compimento la sapienza, quella cioè per
cui uno ama Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come se stesso".
RISPONDO: Il timor di Dio, come abbiamo detto, è di due tipi;
c'è un timore filiale, che fa temere l'offesa di Dio e la separazione
da lui; e c'è un timore servile, col quale si teme la pena. Ora, è
necessario che il timore filiale aumenti col crescere della carità,
come cresce l'effetto, se cresce la causa: infatti quanto più uno
ama una persona, tanto più teme di offenderla e di separarsene.
Invece il timore servile scompare del tutto nella sua servilità
alla venuta della carità: può tuttavia rimanere nella sua essenza
il timore della pena, secondo le spiegazioni date. E questo timore
diminuisce col crescere della carità, specialmente nei suoi atti:
poiché quanto più uno ama Dio, tanto meno teme la pena. Prima
di tutto perché bada meno al bene proprio, cui la pena pregiudica.
In secondo luogo perché aderendo a Dio con maggiore fermezza
ha più fiducia nel premio, e quindi teme meno la pena.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino in quel testo parla del
timore del castigo.
2. Il timore della pena diminuisce col crescere della speranza.
Ma col crescere di questa aumenta il timore filiale: poiché quanto
più uno aspetta con certezza di raggiungere un bene con l'aiuto di
un'altra persona, tanto più ha paura di offenderla e di separarsene.
3. Il timore filiale non dice separazione, ma piuttosto sottomissione
a Dio: aborrisce invece la separazione dalla sua sudditanza.
Però implica in qualche modo separazione, per il fatto che non presume
di mettersi alla pari, ma vuole sottostare. Questa separazione
però si riscontra anche nella carità, in quanto essa fa amare Dio
più di se stessi e sopra tutte le cose. Perciò un aumento di carità
non diminuisce la riverenza del timore, ma l'accresce.
ARTICOLO
11
Se il timore possa sussistere nella patria
SEMBRA che il timore non possa sussistere nella patria. Infatti:
1. Sta scritto:
"Sarà nell'abbondanza, scevro di timore del male"; parole che si riferiscono all'uomo che gode la sapienza nell'eterna
beatitudine. Ora, qualsiasi timore è timore del male: poiché
il male, come abbiamo visto, è oggetto del timore. Dunque in
patria non ci sarà nessun timore.
2. Nella patria gli
uomini saranno conformi a Dio; poiché sta
scritto: "Saremo simili a lui". Ma Dio non teme nulla. Dunque
nella patria gli uomini non avranno nessun timore.
3. La speranza è più perfetta del timore: poiché la speranza ha
di mira il bene, mentre il timore ha per oggetto il male. Ma la
speranza non ci sarà nella patria. Perciò non ci sarà neppure il
timore.
IN CONTRARIO: Sta scritto nei Salmi:
"Il timore del Signore è
santo, sussiste in eterno".
RISPONDO: Il timore servile, cioè il timore della pena, in nessun
modo potrà esistere nella patria: poiché codesto timore è incompatibile
con la sicurezza della beatitudine eterna, implicita nel
concetto stesso di felicità, come già si disse. Invece il timore filiale,
come cresce con l'aumento della carità, così col coronamento della
carità viene sublimato. Perciò nella patria esso non avrà per
niente il medesimo atto di adesso.
A chiarimento di ciò si deve notare che oggetto proprio del timore è
il male possibile: come oggetto proprio della speranza è il
bene raggiungibile. E poiché il moto del timore somiglia a una
fuga, il timore implica la fuga di un male grave possibile: infatti
i piccoli mali non incutono timore. Ora, per qualsiasi essere come
il bene consiste nel conservare il proprio ordine, così il male consiste
nell'abbandono di esso. Ma l'ordine proprio della creatura
ragionevole esige di stare soggetta a Dio e al di sopra delle altre
creature. Perciò come è un male per la creatura ragionevole mettersi
al di sotto delle creature inferiori con l'amore, così è un male
non stare soggetta a Dio, mettendosi presuntuosamente sopra di
lui, o disprezzandolo. Ora, questo male è sempre possibile alla
creatura ragionevole considerata nella sua natura, per la naturale
flessibilità del libero arbitrio; ma nei beati è resa impossibile
dalla perfezione della gloria. Perciò nella patria non avremo più
da fuggire questo male che è il non sottomettersi a Dio, male che
è possibile alla natura, ma impossibile alla beatitudine. Invece
nella vita presente si ha la fuga di codesto male come realmente
possibile.
Ecco perché S. Gregorio nel commentare quel passo di Giobbe:
"Le colonne dei cieli traballano e restano attonite al suo
cenno",
afferma: "Le stesse virtù dei cieli, che lo contemplano senza interruzione,
nel contemplarlo tremano. Però questo tremore, per non
essere di pena, non è dovuto al timore, ma all'ammirazione"; gli
angeli, cioè, ammirano Dio come esistente sopra di loro, e come
incomprensibile per essi. - Anche S. Agostino ammette così il timore
nella patria, pur lasciando in dubbio la cosa. "Il timore casto", egli
dice, "che rimane in eterno, se sussisterà nel secolo futuro,
non sarà un timore che ritrae da un male che possa occorrere;
ma (sarà un timore) che mantiene nel bene che non si può perdere.
Infatti là dove l'amore del bene raggiunto è immutabile, è certo
che il timore nel fuggire il male, se si può parlare di esso, è del
tutto sicuro. Infatti col nome di timore casto viene indicata la volontà
con la quale necessariamente noi non vorremo peccare, e
questo non con la preoccupazione di peccare per fragilità, ma
scansando il peccato con la tranquillità della carità. Oppure, se
allora non potrà esserci timore proprio di nessun genere, forse il
timore che si dice sussistere in eterno va inteso nel senso che dovrà
così sussistere lo stato a cui quel timore conduce".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel testo esclude dai beati il timore
accompagnato dalla preoccupazione di evitare il male, ma
non il timore sicuro, come si esprime S. Agostino.
2. A detta di Dionigi,
"le medesime cose sono simili e dissimili
rispetto a Dio: simili per una imitazione dell'inimitabile", esse
cioè per quanto possono imitano Dio, che non è perfettamente imitabile; "e dissimili
in quanto gli effetti rimangono inferiori alla
causa, allontanandosi da essa in una misura che sfugge ogni limite
e ogni comparazione". Perciò se a Dio ripugna il timore, non
avendo egli un superiore cui sottostare, non è detto che ciò ripugni
ai beati, la cui beatitudine consiste nella perfetta sottomissione
a Dio.
3. La speranza implica un difetto, cioè l'assenza della beatitudine,
che viene eliminato dalla beatitudine stessa. Invece il timore
implica un difetto connaturato alla creatura, cioè la sua distanza
infinita da Dio: e questo rimane anche nella patria. Perciò il timore
non sarà mai totalmente eliminato.
ARTICOLO
12
Se la povertà di spirito sia la beatitudine
che corrisponde al dono del timore
SEMBRA che la povertà di spirito non sia la beatitudine corrispondente
al dono del timore. Infatti:
1. Il timore è l'inizio della vita spirituale, come abbiamo visto.
Invece la povertà appartiene alla perfezione di codesta vita, secondo
le parole evangeliche: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi
tutto ciò che hai, e donalo ai poveri". Dunque la povertà di spirito
non corrisponde al dono del timore.
2. Nei Salmi si dice:
"Trafiggi col tuo timore le mie carni";
dal che risulta che il timore ha il compito di reprimere la carne.
Ma per la repressione della carne sembra indicata più di ogni altra
la beatitudine del pianto. Quindi la beatitudine del pianto corrisponde
al dono del timore più che la beatitudine della povertà.
3. Il dono del timore corrisponde, come abbiamo detto, alla
virtù della speranza. Ma alla speranza corrisponde più di ogni altra
l'ultima beatitudine: "Beati i pacifici, perché saranno chiamati
figli di Dio"; poiché, a detta di S. Paolo, "noi meniamo
vanto nella speranza della gloria dei figli di Dio". Perciò anche
al dono del timore corrisponde più questa beatitudine, che la povertà
di spirito.
4. Abbiamo detto sopra che alle beatitudini corrispondono i
frutti. Ma tra i frutti non se ne trova uno che corrisponda al dono
del timore. Dunque ad esso non corrisponde neppure una qualche
beatitudine.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna:
"Il timore di Dio si addice agli
umili, di cui sta scritto: "Beati i poveri in spirito"".
RISPONDO: Al timore propriamente corrisponde la povertà di spirito.
Infatti essendo proprio del timore filiale avere rispetto e soggezione
verso Dio, quanto deriva da codesta soggezione appartiene
al dono del timore. Ora, per il fatto che uno si sottomette a Dio,
cessa di cercare in se stesso o in altre cose la propria grandezza,
per cercarla solo in Dio: ciò infatti contrasterebbe con la perfetta
soggezione a Dio. Perciò nei Salmi si legge: "Questi confidano
nei carri e quelli nei cavalli; ma noi nel nome del Signore
Dio nostro invochiamo". Quindi, per il fatto che uno teme Dio perfettamente,
non cerca di farsi grande in se stesso con la superbia;
e neppure cerca di farsi grande con i beni esterni, cioè con gli
onori e con le ricchezze; i quali atteggiamenti appartengono entrambi
alla povertà di spirito, sia che si consideri povertà di spirito,
con S. Agostino, l'abbassamento dello spirito tronfio e superbo;
sia che essa si faccia corrispondere, con S. Ambrogio e
S. Girolamo, all'abbandono delle cose temporali, che si fa con lo
spirito, cioè con la propria volontà per impulso dello Spirito Santo.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Essendo la beatitudine l'atto di
una virtù perfetta, tutte le beatitudini appartengono alla perfezione
della vita spirituale. Ora, l'inizio in codesta perfezione sembra
appunto esigere da parte di chi tende alla perfetta partecipazione
dei beni spirituali, il disprezzo dei beni terreni; e corrisponde al
timore, che occupa il primo posto tra i doni. Non che la perfezione
consista nell'abbandono stesso delle cose temporali; ma esso è la
via verso la perfezione. Del resto il timore filiale, al quale corrisponde
ugualmente la beatitudine della povertà, è accompagnato
dalla perfezione della sapienza, come sopra abbiamo visto.
2. Contrasta più direttamente con la soggezione verso Dio, prodotta
dal timore filiale, l'esaltazione indebita dell'uomo, o in se
stesso o nelle cose proprie, che il piacere esterno. Questo però si
oppone al timore indirettamente: poiché chi ha rispetto e soggezione
verso Dio non si diletta che in Dio. Tuttavia il piacere non
ha, come l'esaltazione, natura di cosa ardua, che invece interessa
il timore. Ecco perché la beatitudine della povertà corrisponde
direttamente al timore: mentre la beatitudine del pianto vi corrisponde
indirettamente.
3. La speranza implica un moto di avvicinamento al termine
verso cui tende; invece il timore implica un moto di allontanamento
dal termine rispettivo. Perciò è giusto che alla speranza
corrisponda come ultimo oggetto l'ultima beatitudine, che è il
termine della perfezione spirituale: invece corrisponde bene al
timore la prima beatitudine, che consiste nell'abbandono dei beni
esterni i quali impediscono la soggezione a Dio.
4. Tra i frutti sembra che corrispondano al dono del timore quelli
che si riferiscono all'astinenza, o all'uso moderato delle cose temporali:
cioè moderazione, continenza e castità.
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