La Superbia
Somma Teologica II-II, q. 162
Veniamo ora a trattare della superbia. Primo, della superbia
in generale; secondo, del peccato dei nostri progenitori, che fu un
atto di superbia.
Sul primo tema esamineremo otto argomenti:
1. Se la superbia
sia peccato; 2. Se sia un vizio specificamente distinto; 3. Dove
risieda; 4. Quali siano le sue specie; 5. Se sia peccato mortale;
6. Se sia il più grave di tutti i peccati; 7. I suoi rapporti con gli
altri peccati; 8. Se debba considerarsi un vizio capitale.
ARTICOLO
1
Se la superbia sia peccato
SEMBRA che la superbia non sia peccato. Infatti:
1. Nessun peccato può essere promesso da Dio: poiché Dio
promette quello che farà lui stesso, ed egli non può fare il peccato.
Ora, la superbia è tra le cose promesse da Dio; poiché si legge in
Isaia: "Io farò di te la superbia dei secoli, e il gaudio di generazione in
generazione". Dunque la superbia non è peccato.
2. Non è peccato desiderare la somiglianza con Dio: poiché
questo è il desiderio naturale di tutte le creature, e in ciò consiste
la loro perfezione. Questo poi si addice in modo speciale alle
creature ragionevoli, create "a immagine e somiglianza di Dio".
Ora, S. Prospero afferma che la superbia è "l'amore della propria
eccellenza", eccellenza che rende l'uomo simile a Dio, il quale è
eccellentissimo. Così infatti prega S. Agostino: "La superbia vuole
elevarsi per imitare la tua altezza: essendo tu l'unico altissimo Dio". Perciò la superbia non è peccato.
3. Un peccato non si contrappone soltanto a una virtù, ma
anche a un vizio contrario, come insegna il Filosofo. Ora, non
si trova un vizio contrario alla superbia. Quindi la superbia non
è peccato.
IN CONTRARIO: Tobia ammonisce:
"Non lasciare che la superbia
prevalga mai nei tuoi pensieri, o nelle tue parole".
RISPONDO: Il termine superbia deriva dal fatto che uno tende
a cose che son sopra quello che egli è. "È chiamato superbo",
scrive S. Isidoro, "perché vuol sembrare più di quello che è; superbo infatti è chi
vuol andare al di sopra". Ora, la retta ragione
esige che la volontà di ciascuno cerchi le cose a lui proporzionate.
Perciò è evidente che la superbia implica un contrasto con la retta
ragione. E ciò costituisce un peccato: poiché, a detta di Dionigi,
il male dell'anima sta "nell'essere in contrasto con la ragione".
È evidente, quindi, che la superbia è un peccato.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Il termine superbia può desumersi da due cose. Primo, dal passar sopra alla norma della
ragione. E allora è sempre un peccato. - Secondo, dal semplice
passar sopra certi limiti, ossia da un'esuberanza. E allora ogni
esuberanza può dirsi superbia. E Dio promette la superbia in questo
senso, come sovrabbondanza di beni. Infatti S. Girolamo spiega
nella sua glossa che si tratta di una superbia buona, non di quella
cattiva. - Ma si potrebbe anche rispondere che in quel testo superbia è presa materialmente per l'abbondanza di quelle cose, di cui
gli uomini potrebbero insuperbirsi.
2. Ordinatrice di quanto l'uomo naturalmente desidera è sempre
la ragione: e quindi se uno si scosta dalla regola della ragione,
per eccesso o per difetto, il suo desiderio è peccaminoso, com'è
evidente nel caso del cibo che si desidera naturalmente. Ora, la
superbia desidera la propria eccellenza oltre i limiti della retta
ragione: poiché, come dice S. Agostino, la superbia è "il desiderio
di una grandezza sregolata". "Essa è un'imitazione perversa di
Dio. Infatti la superbia non sopporta l'uguaglianza con altri sotto
di lui, ma vuole imporsi agli uguali al posto di Dio".
3. Direttamente la superbia si contrappone alla virtù dell'umiltà,
la quale ha in qualche modo lo stesso oggetto della magnanimità,
come sopra abbiamo visto. Perciò anche il vizio contrario alla
superbia per difetto è affine al vizio della pusillanimità, che è contrario per difetto alla magnanimità. Infatti come è proprio della
magnanimità spingere l'animo a cose grandi contro la disperazione;
così è proprio dell'umiltà distogliere l'animo dalla brama disordinata di esse, contro la presunzione. Quindi se la pusillanimità
implica una deficienza nel perseguire cose grandi, propriamente
si contrappone per difetto alla magnanimità; se invece implica
l'applicarsi dell'animo a cose più vili di quelle che si addicono al
soggetto, è per difetto il contrario dell'umiltà: e derivano entrambe da meschinità d'animo. Al contrario la superbia si
contrappone per eccesso e alla magnanimità e all'umiltà, ma per
ragioni diverse: all'umiltà quale rifiuto di subordinazione; alla
magnanimità quale smodata aspirazione a grandi cose. Siccome
però la superbia implica il concetto di superiorità, più direttamente si contrappone all'umiltà: come la pusillanimità, che implica
meschinità d'animo di fronte alle cose grandi, più direttamente
si contrappone alla magnanimità.
ARTICOLO
2
Se la superbia sia un peccato specificamente distinto
SEMBRA che la superbia non sia un peccato specificamente
distinto. Infatti:
1. Si legge in S. Agostino:
"Non troverai nessun peccato, senza
ricorrere alla superbia". E S. Prospero afferma, che "senza la
superbia non può, non poté e non potrà mai esserci un peccato".
Dunque la superbia è il peccato in genere.
2. Nel commentare un passo di Giobbe la Glossa afferma, che
"trasgredire col peccato i suoi comandamenti è insuperbire contro
il Creatore". Ma a detta di S. Ambrogio, qualsiasi peccato è "una
trasgressione della legge divina e una disobbedienza ai celesti comandamenti". Perciò qualsiasi peccato è di superbia.
3. Ogni peccato specifico si contrappone a una specifica virtù.
La superbia invece si contrappone a tutte le virtù, come dice
S. Gregorio: "La superbia non è contenta di distruggere una
virtù: ma attacca tutte le membra dell'anima, e, come un morbo
universale e pestifero, distrugge tutto l'organismo". E S. Isidoro
scrive, che la superbia "è la rovina di tutte le virtù". Perciò non
è un peccato specificamente distinto.
4. Tutti i peccati specifici hanno una materia specifica. Invece
la superbia ha una materia universale: poiché, a detta di S. Gregorio, "uno
s'insuperbisce per l'oro, l'altro per l'eloquenza, altri
per gli infimi beni terreni, e altri per le più eccelse e celestiali virtù". Dunque la superbia non è un peccato specificamente distinto,
ma generico.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino:
"Si rifletta; e si vedrà che
secondo la legge di Dio la superbia è un peccato ben distinto dagli altri". Ora, il genere non può essere distinto dalle sue specie.
Dunque la superbia non è un peccato generico, ma specifico.
RISPONDO: Il peccato di superbia si può considerare sotto due
aspetti. Primo, nella sua specie, che deriva dalla ragione formale
del proprio oggetto. E da questo lato la superbia è un peccato
specificamente distinto, avendo un proprio oggetto specifico: essa
infatti è, come abbiamo detto, la brama disordinata della propria
eccellenza.
Secondo, si può considerare la superbia nella sua ridondanza
sugli altri peccati. E da questo lato essa ha una certa universalità: poiché dalla superbia possono derivare tutti i peccati, in due
modi. Primo, in maniera diretta: in quanto gli altri peccati
vengono ordinati al fine della superbia, cioè alla propria eccellenza cui è possibile indirizzare tutto ciò che si desidera
disordinatamente. - Secondo, in maniera indiretta e quasi accidentale, cioè col
togliere gli ostacoli: poiché con la superbia si disprezza la legge
divina, che impedisce di peccare, come accenna il profeta Geremia: "Hai spezzato il mio giogo e infranto le mie catene, e hai detto:
Non servirò".
Si deve però notare che questa universalità della superbia implica solo che tutti i vizi possono talora derivare da essa: non già
che tutti e sempre da essa derivino. Infatti sebbene uno possa
trasgredire qualsiasi comandamento con qualsiasi peccato, mosso
dal disprezzo che è proprio della superbia, tuttavia non sempre
i comandamenti si trasgrediscono per disprezzo, ma talora si trasgrediscono per ignoranza, oppure per fragilità. Ecco perché
S. Agostino ha scritto, che "molte azioni sono peccaminose, senza
essere compiute per superbia".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. S. Agostino riferisce quelle
parole come dette da un avversario contro il quale sta disputando.
Infatti egli dopo le confuta, dimostrando che non sempre si pecca
per superbia.
Ma si può anche rispondere che quei testi si riferiscono all'effetto esterno della superbia che è la trasgressione dei precetti, la
quale si riscontra in ogni peccato; ma non all'atto interno della
superbia, che consiste nel loro disprezzo. Infatti non sempre si
pecca per disprezzo: ma talora si pecca per ignoranza o per fragilità, come abbiamo già detto.
2. Si può commettere un peccato nell'effetto, senza commetterlo
con l'affetto: chi p. es., involontariamente uccide il proprio padre
commette nell'effetto un parricidio, ma non lo commette con
l'affetto, perché non lo voleva. Parimenti, violare un comandamento di Dio nell'effetto è sempre un insuperbire contro Dio, ma
non sempre lo è secondo l'affetto.
3. Un peccato può distruggere una
virtù in due maniere. Primo,
con una contrarietà diretta. Ebbene, in questa maniera la
superbia non distrugge tutte le virtù, ma solo l'umiltà: come qualsiasi
altro peccato specifico distrugge la virtù corrispettiva, agendo contro di essa.
Secondo, un peccato può distruggere una virtù abusando di essa.
E in tal senso la superbia può distruggere qualsiasi virtù: poiché
dalle stesse virtù si può prendere l'occasione di insuperbirsi, come
da qualsiasi altro pregio. Perciò non ne segue che sia un peccato
generico, o universale.
4. La superbia ha per oggetto una ragione formale, che può
riscontrarsi in materie diverse. Essa infatti è l'amore disordinato
della propria eccellenza: ma l'eccellenza può essere cercata in
cose assai diverse.
ARTICOLO
3
Se la superbia risieda nell'irascibile
SEMBRA che la superbia non risieda nell'irascibile. Infatti:
1. S. Gregorio afferma:
"L'orgoglio è un ostacolo alla conoscenza della verità; poiché mentre gonfia annebbia". Ma la
conoscenza della verità non appartiene all'irascibile,
bensì alla ragione.
Dunque la superbia non risiede nell'irascibile.
2. S. Gregorio scrive, che
"i superbi non considerano la vita di
coloro cui dovrebbero con umiltà riconoscersi inferiori, ma quella
di coloro cui possono con superbia riconoscersi superiori": e quindi
la superbia deriva da una considerazione sbagliata. Ma il considerare non è dell'irascibile, bensì della ragione. Perciò la superbia
non è nell'irascibile, bensì nella ragione.
3. La superbia non cerca l'eccellenza solo nelle cose sensibili,
ma anche in quelle spirituali e intelligibili. Anzi essa consiste
principalmente nel disprezzo di Dio, poiché si legge nella Scrittura: "Il principio della superbia umana è apostatare dal Signore".
Ma l'irascibile, essendo una facoltà dell'appetito sensitivo, non
può estendersi a Dio e alle cose intelligibili. Dunque la superbia
non risiede nell'irascibile.
4. Si legge nelle Sentenze di S. Prospero, che
"la superbia è l'amore della propria eccellenza". Ma l'amore non è nell'irascibile, bensì
nel concupiscibile. Quindi la superbia non è nell'irascibile.
IN CONTRARIO: S. Gregorio mette in opposizione alla superbia
il dono del timore. Ma il timore risiede nell'irascibile. Dunque la superbia è nell'irascibile.
RISPONDO: Si deve ricercare la sede di una virtù o di un vizio
partendo dal loro oggetto proprio: poiché l'oggetto di un abito
o di un atto non può essere diverso da quello della rispettiva facoltà. Ora, oggetto proprio della superbia è l'arduo: essendo essa,
come abbiamo visto, la brama della propria eccellenza. Dunque
è necessario che la superbia in qualche modo appartenga alla
facoltà dell'irascibile.
Ma l'irascibile si può prendere in due sensi. Primo, in senso
proprio. E così è una facoltà dell'appetito sensitivo: così come
l'ira presa in senso proprio è una passione dell'appetito sensitivo.
- Secondo, l'irascibile si può prendere in senso lato, così da estendersi anche all'appetito intellettivo, o volontà: alla quale talora
si attribuisce anche l'ira, e si attribuisce l'ira a Dio e agli angeli,
non già come passione, ma come atto di giustizia. Però questo
irascibile in senso lato, come abbiamo visto nella Prima Parte,
non è una facoltà che si distingue dal concupiscibile.
Perciò, se l'arduo che è oggetto della superbia fosse soltanto
qualche cosa di ordine sensibile, oggetto dell'appetito sensitivo,
bisognerebbe che la superbia risiedesse nella facoltà sensitiva dell'irascibile. Ma poiché l'arduo che è oggetto della superbia
abbraccia le cose sensibili e quelle spirituali, si deve concludere che la
sede della superbia non è solo l'irascibile in senso proprio, ossia
la facoltà dell'appetito sensitivo, ma l'irascibile in senso lato che
abbraccia l'appetito intellettivo. Infatti la superbia è anche nei
demoni.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ci sono due tipi di conoscenza.
L'una è puramente speculativa. E questa viene ostacolata dalla
superbia indirettamente, col rimuoverne le cause. Infatti il superbo si rifiuta di sottomettere l'intelletto a Dio, privandosi di questa
fonte di conoscenza; poiché nel Vangelo si legge: "Hai nascosto
queste cose ai sapienti e ai prudenti", cioè ai superbi, che sono
sapienti e prudenti ai loro occhi, "e le hai svelate ai piccoli", cioè
agli umili. E neppure si degna di imparare dagli uomini, accettando il consiglio del Savio:
"Se porgerai l'orecchio", ascoltando
con umiltà, "acquisterai il sapere".
L'altro tipo di conoscenza è affettivo. E questa viene impedita
direttamente dalla superbia. Perché i superbi, compiacendosi della
propria eccellenza, disprezzano il valore della verità: i superbi,
dice S. Gregorio, "anche se afferrano certe verità divine, non sono
in grado di gustarne la dolcezza; e anche se ne hanno la conoscenza,
non ne gustano il sapore". Di qui le parole del Savio: "Dov'è
l'umiltà, ivi è la sapienza".
2. Come sopra abbiamo detto, l'umiltà si adegua alla regola
della retta ragione, che offre all'uomo la stima vera che deve avere
di se stesso. La superbia invece non rispetta tale regola, ma dà
di se stessi una stima esagerata. E questo avviene per la brama
smodata della propria eccellenza: poiché si crede facilmente ciò
che ardentemente si desidera. E da questo nasce poi che l'appetito aspiri a cose più alte del dovuto. Perciò tutte le cose che
servono a far sì che uno si stimi più di quello che è, possono indurre l'uomo alla superbia.
Una di queste è il considerare i difetti
degli altri: al contrario, come dice. S. Gregorio, "i santi preferiscono gli altri a se medesimi, considerando le loro
virtù". Da
questo però non si può concludere che l'orgoglio risiede nella ragione; ma che nella ragione si trova qualcuna delle sue cause.
3. La superbia non risiede nell'irascibile solo in quanto esso è
una facoltà dell'appetito sensitivo; ma nell'irascibile inteso in
senso lato, secondo le spiegazioni date.
4. Come dice S. Agostino, l'amore precede tutti gli altri affetti
dell'anima ed è la causa di essi. E quindi può sostituire nel discorso ogni altra passione. È così che la superbia può definirsi amore
della propria eccellenza, poiché dall'amore viene causata la presunzione peccaminosa di essere al
di sopra degli altri, il che è
proprio della superbia.
ARTICOLO 4
Se le quattro specie della superbia proposte da S. Gregorio
siano ben indicate
SEMBRA che non siano ben indicate le quattro specie della
superbia proposte da S. Gregorio, là dove scrive:
"Quattro sono le
manifestazioni che rivelano l'orgoglio degli arroganti: credere che
il bene posseduto derivi da se medesimi; oppure, se si crede di
averlo ricevuto dall'alto, esser persuasi che sia dovuto ai propri
meriti; vantarsi di avere quello che non si ha; col disprezzo degli
altri cercare di far apparire del tutto singolari le doti che si hanno". Infatti:
1. La superbia è un peccato distinto dall'incredulità: come
l'umiltà è una virtù distinta dalla fede. Ma la persuasione che il
proprio bene non venga da Dio, o che la grazia possa derivare dai
propri meriti è un atto contro la fede. Dunque ciò non può costituire una specie della superbia.
2. L'identica cosa non può essere specie di più generi. Ora, la
millanteria va posta tra le specie della menzogna, come sopra
abbiamo dimostrato. Perciò non va posta tra le specie della superbia.
3. Ci sono altre cose che rientrano nella superbia e non sono
comprese in queste quattro specie. S. Girolamo infatti scrive, che "nessuno è più superbo di chi è ingrato". E S. Agostino afferma
che appartiene alla superbia scusarsi dei peccati commessi. Così
appartiene alla superbia la presunzione con la quale si tende a
ottenere cose superiori alle proprie capacità. Perciò la divisione
suddetta non abbraccia tutte le specie della superbia.
4. Ci sono altre autorevoli divisioni della superbia. Infatti
S. Anselmo trova che l'esaltazione dell'orgoglio può prodursi o "nella volontà", o
"nelle parole", o "nelle opere". Per S. Bernardo sono dodici i gradi della superbia:
"curiosità, "leggerezza
d'animo", "stolta letizia", "millanteria", "singolarità",
"arroganza", "presunzione", "scusa dei peccati",
"confessione
insincera", "ribellione", "libertà",
"abitudine di peccare".
IN CONTRARIO: Basta il testo di S. Gregorio.
RISPONDO: La superbia implica, come abbiamo visto, una brama disordinata, ossia non conforme alla ragione retta, della
propria eccellenza. Ora, si deve notare che ogni tipo di eccellenza
deriva da un bene che si possiede. E questo può essere considerato da tre punti di vista. Primo, in se stesso. È evidente infatti
che a un bene più grande corrisponde una maggiore eccellenza.
Perciò con l'attribuirsi un bene più grande di quello che ha, un
uomo mostra che il suo desiderio aspira a un'eccellenza superiore
a quella che gli spetta. Abbiamo così la terza specie della superbia: che consiste nel
"vantarsi di avere quello che non si ha".
Secondo, (si può considerare il proprio bene) nelle sue cause:
e sotto tale aspetto è più onorifico procurarsi un bene da se stessi,
che riceverlo da altri. Perciò quando uno considera il bene ricevuto come se lo dovesse a se stesso, mostra che la sua volontà
brama eccessivamente la propria eccellenza. Ora, si può esser
causa del proprio bene in due modi: come causa efficiente; e
come causa meritoria. Abbiamo così le due prime specie della
superbia: "credere che il bene che si possiede derivi da se medesimi"; ed
"esser persuasi che sia stato concesso dall'alto ai propri
meriti".
Terzo, (il proprio bene si può considerare) nella maniera di possederlo: e da questo lato è più onorifico possedere un bene in un
grado superiore agli altri. Di qui l'occasione di aspirare disordinatamente alla propria eccellenza. E da questo è desunta la
quarta specie della superbia, che consiste nel "cercare di apparire
del tutto singolari, disprezzando gli altri".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Una convinzione giusta può
essere distrutta in due maniere. Primo, nella sua universalità.
E in questo modo le vere convinzioni riguardanti la fede vengono
distrutte dall'incredulità. - Secondo, nei casi particolari di scelte
volontarie. E questo non è dovuto all'incredulità. Chi, p. es.,
commette fornicazione ritiene che in quel momento è bene per lui
fornicare: e tuttavia non pecca contro la fede, come invece peccherebbe se affermasse in generale che la fornicazione è una cosa
onesta. Lo stesso si dica nel caso nostro. Dire in generale che
esiste un bene il quale non viene da Dio, o che la grazia è data
per i nostri meriti rientra nel peccato d'incredulità. Gloriarsi
invece del proprio bene, per la brama disordinata della propria
eccellenza, come se fosse dovuta al propri meriti, propriamente
parlando appartiene alla superbia e non all'incredulità.
2. La millanteria per il
suo atto esterno, col quale uno si attribuisce le doti che non ha, è posta
tra le specie della menzogna.
Ma per l'arroganza interiore è posta da S. Gregorio tra le specie
della superbia.
3. Chi attribuisce a se stesso ciò che ha ricevuto da altri è un
ingrato. E quindi le due prime specie dell'orgoglio appartengono
all'ingratitudine. - Scusarsi poi dei peccati rientra nella terza specie della superbia: poiché così uno si attribuisce l'innocenza che
non possiede. - Il tendere finalmente a ciò che supera le proprie
capacità appartiene soprattutto alla quarta specie della superbia,
con la quale si cerca di esser preferiti agli altri.
4. Le tre suddivisioni di S. Anselmo sono desunte dallo sviluppo
progressivo di qualsiasi peccato: prima si concepisce nel cuore;
poi si proferisce con la bocca; e finalmente si compie con le opere.
Le dodici suddivisioni di S. Bernardo sono desunte per contrapposizione ai dodici gradi dell'umiltà, di cui
abbiamo già parlato.
Infatti il primo grado d'umiltà consiste nel "mostrare dovunque
l'umiltà con l'anima e col corpo, tenendo gli occhi fissi a terra".
Ad essa si contrappone "la curiosità", con la quale si guarda disordinatamente da per tutto. - Il secondo grado dell'umiltà consiste
"nel dire poche parole e giustificate, senza alzare la
voce". Contro
di essa sta "la leggerezza d'animo", per cui si parla orgogliosamente di tutto. Il terzo grado dell'umiltà consiste
"nel non essere
facile e pronto a ridere". Il suo contrario è "la stolta letizia".
- Il quarto grado è "la taciturnità fino a che non si è interrogati".
Ad esso si contrappone "la millanteria". - Il quinto grado consiste
nel "seguire la regola comune del monastero". Il suo contrario
è "la singolarità", con la quale uno cerca di apparire più santo.
- Il grado sesto dell'umiltà sta nel "credere e nel protestare di
essere il più vile di tutti". Ad esso si contrappone "l'arroganza",
per cui uno si reputa superiore agli altri. - Il settimo grado consiste nel
"protestarsi e nel credersi inutile e incapace di
tutto".
Il suo contrario è "la presunzione", con la quale uno si stima
capace delle più grandi cose. - L'ottavo grado è "la confessione
delle colpe". Ad esso si contrappone "la scusa dei peccati". - Il
grado nono consiste nel "sopportare con pazienza cose dure e difficili". A ciò si contrappone
"la confessione insincera", nella
quale uno non vuol subire il castigo per i peccati, che confessa
senza sincerità. - Il decimo grado dell'umiltà è "l'obbedienza",
il cui contrario è "la ribellione". - L'undicesimo grado consiste
"nel non fare volentieri la propria volontà". Ad esso si contrappone
"la libertà", con la quale uno si compiace di poter fare quello
che vuole. - L'ultimo grado dell'umiltà è "il timor di Dio". Il suo
contrario è "l'abitudine di peccare", che implica il disprezzo di
Dio. - Ora, in questi dodici gradi non sono incluse solo le specie
della superbia, ma anche alcune delle sue cause e dei suoi effetti:
e noi lo abbiamo già notato a proposito dell'umiltà.
ARTICOLO 5
Se la superbia sia peccato mortale
SEMBRA che la superbia non sia peccato mortale. Infatti:
1. Nel commentare quel passo dei Salmi:
"Signore mio Dio, se
ho fatto questo", la Glossa spiega "ossia se ho fatto l'universale
peccato, che è la superbia". Quindi se la superbia fosse peccato
mortale, tutti i peccati sarebbero mortali.
2. Tutti i peccati mortali sono contrari alla carità. Invece il
peccato di superbia non è contro la carità, né rispetto all'amore di
Dio, né rispetto all'amore del prossimo: poiché l'eccellenza che si
desidera con la superbia non sempre è contro l'onore di Dio e
l'utilità del prossimo. Dunque la superbia non è peccato mortale.
3. Tutti i peccati mortali sono incompatibili con le virtù. Invece la superbia non è incompatibile; anzi può nascere da esse;
poiché, a detta di S. Gregorio, "talora l'uomo s'inorgoglisce delle
più eccelse e celesti virtù". Perciò la superbia non è peccato
mortale.
IN CONTRARIO: S. Gregorio afferma, che
"la superbia è il segno
più evidente della riprovazione; e l'umiltà della predestinazione".
Ma gli uomini non diventano reprobi con i peccati veniali. Dunque la superbia non è peccato veniale,
bensì mortale.
RISPONDO: La superbia è il contrario dell'umiltà. Ebbene,
l'umiltà consiste nella sottomissione dell'uomo a Dio, come
abbiamo detto. Perciò la superbia propriamente è la mancanza di
questa subordinazione: poiché con essa uno s'innalza al di sopra
dei limiti stabiliti per lui dal piano divino, contro la norma e
l'esempio dell'Apostolo: "Noi non ci vantiamo senza misura; ma stiamo
alla misura di quel limite che Dio ha stabilito per noi". Di qui
le parole del Savio: "Il principio della superbia umana è l'apostatare da Dio"; la radice, cioè, della superbia si riscontra nel fatto
che in qualche modo l'uomo non si sottomette a Dio e alle sue
norme. Ora, è evidente che il non sottomettersi a Dio ha natura
di peccato mortale.
Però come in altri vizi che sono peccati mortali nel loro genere,
p. es., nella fornicazione e nell'adulterio, ci sono dei moti che sono
peccati veniali per la loro incompletezza, perché prevengono il
giudizio della ragione, oppure non hanno il suo consenso; così
nella superbia ci sono dei moti che sono peccati veniali, perché
la ragione non vi consente.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. La superbia, come abbiamo
detto sopra, è un peccato universale non nella sua essenza, ma
per una certa ridondanza: poiché da essa possono nascere tutti
i peccati. Di qui però non segue che tutti i peccati sono mortali:
ma solo quando nascono dalla superbia completa, la quale, come
abbiamo visto, è peccato mortale.
2. La superbia è sempre contraria all'amore di Dio: poiché il
superbo non si sottomette a dovere al piano divino. E talora è
contraria all'amore del prossimo; quando cioè uno pretende sugli
altri una superiorità illegittima, o rifiuta loro una sottomissione
doverosa. E anche in questo agisce contro il piano divino, dal
quale dipende l'ordinamento degli uomini, e la loro reciproca
subordinazione.
3. Le virtù non sono causa essenziale della superbia, ma cause
accidentali: in quanto da esse qualcuno prende occasione per
insuperbirsi. Ma niente impedisce che un contrario sia causa accidentale del suo opposto, come nota Aristotele. Infatti alcuni
s'insuperbiscono della stessa umiltà.
ARTICOLO 6
Se la superbia sia il più grave dei peccati
SEMBRA che la superbia non sia il più grave dei peccati. Infatti:
1. Più un peccato è difficile ad evitarsi, più è leggero. Ma
evitare la superbia è difficilissimo: poiché, a detta di S. Agostino,
"mentre gli altri vizi spingono a cattive azioni; la superbia tende
insidie anche a quelle buone, per distruggerle". Dunque la superbia non è il più grave dei peccati.
2. Come insegna il Filosofo,
"un male maggiore si contrappone
a un bene maggiore". Ora, l'umiltà che è l'opposto della superbia,
non è la più grande delle virtù, stando alle spiegazioni date sopra.
Perciò i vizi che si contrappongono alle virtù principali, ossia
l'incredulità, la disperazione, l'odio di Dio, l'omicidio, e altri del
genere, sono peccati più gravi della superbia.
3. Un male più grave non può essere punito con un male minore.
Orbene, talora la superbia viene punita con altri peccati, come
S. Paolo dimostra, affermando che gli antichi filosofi per l'orgoglio
del loro cuore "furono abbandonati ai sentimenti disonesti; e a
compiere cose ignominiose". Dunque la superbia non è il più
grave dei peccati.
IN CONTRARIO: Nel commentare le parole del Salmista,
"i superbi
agiscono iniquamente", la Glossa afferma: "Nell'uomo il più grave
peccato è la superbia".
RISPONDO: Due sono gli aspetti del peccato: la conversione, o
adesione al bene creato, che è l'aspetto materiale della colpa; e
l'aversione, o abbandono del bene increato, che ne è l'aspetto
formale e costitutivo. Ora, la superbia sotto l'aspetto dell'adesione non è il peccato più grave: poiché la grandezza, cui aspira
disordinatamente la superbia, in se stessa non ha un'incompatibilità estrema con la virtù. Invece sotto l'aspetto dell'abbandono
di Dio la superbia ha la massima gravità: poiché negli altri peccati l'uomo si allontana da Dio, o per ignoranza, o per fragilità,
o per il desiderio di altri beni; ma nella superbia uno abbandona
Dio proprio perché si rifiuta di sottomettersi alle sue disposizioni.
Cosicché Boezio può affermare che, "mentre tutti i vizi rifuggono
da Dio, solo la superbia si contrappone a Dio". Ecco il perché
di quanto dice S. Giacomo: "Dio resiste ai superbi". Perciò allontanarsi da Dio e dai suoi comandamenti, che è come un corollario
negli altri peccati, è essenziale invece nella superbia, il cui atto
è il disprezzo di Dio. E poiché ciò che è essenziale ha sempre
una priorità su ciò che è accidentale o indiretto, è chiaro che la
superbia è per il suo genere il più grave dei peccati: poiché ha
una priorità in fatto di aversione, che è il costitutivo formale
della colpa.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Può esser difficile guardarsi
dal peccato per due motivi. Primo, per la violenza dei suoi attacchi: come nel caso dell'ira, p. es. E
"ancora più difficile è resistere
alla concupiscenza", a detta di Aristotele, per la sua connaturalità. Ebbene, questo tipo di difficoltà diminuisce la gravità del
peccato: poiché, come dice S. Agostino, quanto minore è la tentazione per cui uno cade, tanto pecca più gravemente.
Secondo, può essere difficile evitare un peccato per la sua inavvertibilità. E da questo
lato è difficile evitare la superbia: poiché
essa prende occasione anche dal bene, come sopra abbiamo visto.
Ecco perché S. Agostino afferma che "essa tende insidie anche
alle opere buone"; e nei Salmi il giusto si lamenta: "I superbi
hanno nascosto per me un laccio lungo il mio sentiero". Perciò
un moto di superbia che sorprende di nascosto non ha una gravità
estrema, finché non è svelato dal giudizio della ragione. Ma quando la ragione lo scorge, si può evitare facilmente.
Sia considerando il proprio niente, e ripetendo con l'Ecclesiastico:
"Perché insuperbisce la terra e la cenere". Oppure considerando la grandezza
di Dio: "Perché si rigonfia contro Dio il tuo spirito". Ovvero
partendo dalla meschinità dei beni di cui l'uomo s'insuperbisce,
ricordando quel passo di Isaia: "Ogni creatura è come erba e tutta
la sua gloria è come fiore del campo"; e ancora: "Tutta la nostra
giustizia è come un panno da mestrui".
2. L'opposizione tra vizio e virtù è impostata sull'oggetto, in
rapporto al quale si ha l'adesione peccaminosa, o conversione.
Ma sotto tale aspetto la superbia non è il più grave dei peccati:
come l'umiltà non è la più grande delle virtù. Invece la superbia
è tale, dal lato dell'aversione, perché accresce la gravità degli altri
peccati. Il peccato d'incredulità, p. es., è più grave se deriva dal
disprezzo della superbia, che se proviene dall'ignoranza, o dalla fragilità. Lo stesso si dica della disperazione e degli altri peccati.
3. Come nelle argomentazioni per assurdo la falsità delle premesse è tanto più chiara quanto più evidente è l'assurdità delle
conclusioni; così per confondere l'orgoglio umano Dio punisce
permettendo che certe persone cadano nei peccati della carne;
i quali, sebbene siano meno gravi, tuttavia hanno una turpitudine
più evidente. "La superbia", scrive S. Isidoro, "è il più grave di
tutti i vizi: sia perché si riscontra nelle persone più eminenti; sia
perché nasce dalle opere giuste e virtuose, cosicché la sua colpa
è meno avvertita. Invece la lussuria è così rilevante per tutti,
perché essenzialmente vergognosa. Tuttavia Dio ha voluto che,
essendo essa meno grave della superbia, chi è vittima dell'orgoglio,
quasi senza avvedersene, cada nella lussuria, affinché umiliato si
desti dalla sua vergogna". E questo dimostra la gravità della
superbia. Infatti come un medico saggio, per curare una malattia
peggiore, permette che il paziente cada in una malattia meno grave, così il fatto che Dio permette, per guarire l'orgoglio, che l'uomo
cada in altri peccati, dimostra la maggiore gravità della superbia.
ARTICOLO
7
Se la superbia sia il primo di tutti i peccati
SEMBRA che la superbia non sia il primo di tutti i peccati.
Infatti:
1. Il primo (in un genere di atti) si riscontra in tutti quelli
successivi. Invece non tutti i peccati nascono o sono accompagnati
dalla superbia: poiché, a detta di S. Agostino, "molti atti si fanno
malamente, ma non si fanno con superbia". Perciò la superbia
non è il primo di tutti i peccati.
2. Nella Scrittura si legge, che
"il principio della superbia è
l'apostatare da Dio". Dunque l'apostasia è prima della superbia.
3. L'ordine dei peccati deve seguire l'ordine delle virtù. Ma la
prima delle virtù non è l'umiltà, bensì la fede. Quindi la superbia
non è il primo dei peccati.
4. S. Paolo scrive:
"I malvagi e gli impostori andranno di male
in peggio"; sembra quindi che l'inizio della perversione umana
non sia dal peccato più grave. Ora, la superbia è il più grave dei
peccati, come sopra abbiamo visto. Dunque essa non è il primo
dei peccati.
5. Le cose finte e apparenti sono posteriori a quelle vere corrispondenti. Ora, il Filosofo afferma che
"il superbo finge fortezza
ed audacia". Perciò il vizio dell'audacia è prima del vizio della
superbia.
IN CONTRARIO: Sta scritto:
"Inizio di ogni peccato è la superbia".
RISPONDO: In ogni cosa è primo ciò che è per se. Ora, sopra
abbiamo visto che l'aversione, o abbandono di Dio, costitutivo formale del peccato, appartiene per se, ovvero essenzialmente, alla
superbia, e solo indirettamente agli altri peccati. Quindi la superbia ha una priorità; ed è anzi, come abbiamo visto sopra parlando
delle cause del peccato, il principio di ogni peccato dal lato dell'aversione, che è l'aspetto principale della colpa.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Si dice che la superbia è "l'inizio di ogni peccato", non perché ogni singola colpa nasca
dalla superbia; ma perché ogni genere di peccato può nascere da
essa.
2. Si dice che l'apostatare da Dio è l'inizio della superbia umana
non quasi fosse un peccato distinto dalla superbia, ma perché è
la prima specie di essa. Sopra infatti abbiamo spiegato che la
superbia ha per oggetto principale la sottomissione a Dio, che essa
rifiuta; di riflesso poi rifiuta di sottomettersi alle creature in ossequio a Dio.
3. Non è detto che l'ordine dei vizi segua l'ordine delle virtù.
Poiché il vizio è la corruzione della virtù. Ora, quello che è primo nella generazione è l'ultimo nella corruzione. Perciò, come la
fede, è la prima delle virtù, così l'incredulità è l'ultimo dei peccati,
al quale l'uomo si prepara con le altre colpe. Ecco perché commentando quel testo dei Salmi,
"Distruggete, distruggete fino alle
fondamenta", la Glossa afferma, che "sull'ammassamento dei vizi
s'insinua l'incredulità". E l'Apostolo scrive, che
"alcuni
rigettando la buona coscienza, han fatto naufragio nella
fede".
4. Si dice che la superbia è il più grave peccato sotto l'aspetto
che è essenziale nei peccati, e dal quale se ne misura la gravità.
E per questo la superbia può rendere gravi gli altri peccati. Quindi
prima della superbia possono esserci dei peccati non gravi, commessi per ignoranza, o per fragilità. Ma tra i peccati gravi il
primo è la superbia: perché è la causa che rende gravi tutti gli
altri. E poiché ciò che è primo nella generazione è l'ultimo nella
corruzione, nel commentare le parole del Salmista, "Sarò purificato dal più grave
delitto", la Glossa aggiunge: "Cioè dal delitto
della superbia, che è l'ultimo a persistere in chi ritorna a Dio,
come è il primo in chi se ne allontana".
5. Il Filosofo fa oggetto della superbia la finzione della fortezza,
non perché essa consiste solo in questo; ma perché è soprattutto
con l'audacia e con la fortezza che si crede di poter conseguire
l'eccellenza presso gli uomini.
ARTICOLO
8
Se la superbia debba porsi tra i vizi capitali
SEMBRA che la superbia debba porsi tra i vizi capitali.
Infatti:
1. S. Isidoro e Cassiano la enumerano tra i vizi capitali.
2. La superbia s'identifica con la vanagloria: poiché entrambe
bramano la propria eccellenza. Ma la vanagloria è un vizio capitale. Dunque anche la superbia.
3. S. Agostino afferma, che
"la superbia partorisce l'invidia: e
non è mai senza questa compagnia". Ora, l'invidia, come abbiamo visto sopra, è un vizio capitale. Quindi a maggior ragione
lo è la superbia.
IN CONTRARIO: S. Gregorio non enumera la superbia tra i vizi
capitali.
RISPONDO: Secondo le spiegazioni date, la superbia si può
considerare sotto due aspetti: primo, in se stessa in quanto è un
peccato specifico; secondo, nel suo influsso universale su tutti i peccati. Ora, i vizi capitali sono dei peccati specifici, dai quali
nascono vari generi di peccati. Ecco perché alcuni, considerando
la superbia come un peccato specifico, l'hanno enumerata tra i
vizi capitali. S. Gregorio invece, considerandone l'influsso universale su tutti i vizi, di cui abbiamo parlato, non la pose tra i
vizi capitali, ma ne fece "la regina e la madre di tutti i vizi".
Ecco le sue parole: "La superbia regina dei vizi, appena ha conquistato il cuore, subito lo consegna per la devastazione come a
suoi dipendenti, ai sette vizi capitali, da cui deriva tutta la moltitudine dei vizi".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. È così risolta anche la prima
difficoltà.
2. La superbia non s'identifica con la vanagloria, ma è la causa
di essa. Poiché la superbia desidera disordinatamente di eccellere; mentre la vanagloria
desidera di far conoscere la propria
eccellenza.
3. Il fatto che l'invidia nasce dalla superbia non dimostra che
la superbia è un vizio capitale; ma che questa è superiore ai vizi
capitali.
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