L'Eucarestia
Somma Teologica III, q. 75
La conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo
Passiamo ora a considerare la conversione del pane e del vino
nel corpo e nel sangue di Cristo.
Sull'argomento si pongono otto quesiti:
1. Se in questo sacramento
si trovi il corpo di Cristo nella sua realtà, oppure soltanto come
rappresentato e simboleggiato; 2. Se in questo sacramento dopo
la consacrazione rimanga la sostanza del pane e del vino; 3. Se
essa venga annientata; 4. Se si converta nel corpo e nel sangue
del Cristo; 5. Se dopo la conversione rimangano gli accidenti;
6. Se rimanga la forma sostanziale; 7. Se questa conversione
avvenga istantaneamente; 8. Se sia vera questa proposizione: "Dal pane si ottiene il corpo di Cristo".
ARTICOLO
1
Se il corpo di Cristo sia in questo sacramento nella sua realtà,
oppure soltanto come rappresentato o simboleggiato
SEMBRA che il corpo del Cristo non sia in questo sacramento
nella sua realtà, ma solo come rappresentato o simboleggiato.
Infatti:
1. Dopo che il Signore ebbe detto:
"Se non mangerete la carne
del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, ecc.", "molti dei
suoi discepoli al sentirlo dissero: Questo linguaggio è duro", ed
egli soggiunse: "Lo spirito è quello che vivifica, la carne non giova
a nulla". Come per dire, secondo le spiegazioni di S. Agostino: "Prendete in senso spirituale quanto vi ho detto. Non questo
corpo che vedete, avrete da mangiare, né avrete da bere quel sangue
che mi faranno versare i miei crocifissori. Io vi affido un mistero,
o sacramento. Se lo intendete spiritualmente, vi arricchirà di vita;
mentre la carne non serve a nulla".
2. Il Signore ha detto:
"Ecco, io sono con voi tutti i giorni
fino alla fine del mondo"; e S. Agostino spiega: "Finché il mondo
durerà, il Signore rimarrà lassù; tuttavia la verità del Signore
è anche qui con noi. Il corpo infatti con il quale è risorto non
può essere che in un luogo soltanto, ma la sua verità è diffusa
dovunque". Perciò nell'Eucarestia il corpo di Cristo non è presente
nella sua realtà, ma solo in forma simbolica.
3. Nessun corpo può essere contemporaneamente in più luoghi,
essendo ciò impossibile anche a un angelo; perché altrimenti
potrebbe essere dappertutto. Ma il corpo di Cristo è un vero corpo
ed è presente in cielo. Dunque nel sacramento dell'altare non è
presente nella sua realtà, ma solo sotto forma di simbolo.
4. I sacramenti della Chiesa hanno per fine l'utilità dei fedeli.
Ora, in un'omelia di S. Gregorio si rimprovera al funzionario regio
di "aver cercato la presenza corporale di Cristo". Inoltre anche
agli Apostoli l'attaccamento che avevano alla presenza corporale
del Signore impediva di ricevere lo Spirito Santo, come dice S. Agostino a commento delle parole:
"Se io non vado, il Paraclito non
verrà a voi". Dunque Cristo non è presente corporalmente nel
sacramento dell'altare.
IN CONTRARIO: S. Ilario dichiara:
"Sulla realtà della carne e
del sangue di Cristo non c'è adito a dubbio alcuno. Poiché e per
dichiarazione del Signore stesso e per la nostra fede la sua carne
è veramente cibo e il suo sangue è veramente bevanda". E S. Ambrogio afferma:
"Come il Signore Cristo Gesù è vero Figlio di Dio,
così è vera carne di Cristo quella che noi riceviamo, e il suo sangue
è vera bevanda".
RISPONDO: La reale presenza del corpo e del sangue di Cristo
in questo sacramento non può essere conosciuta dai sensi, ma solo
dalla fede, che si fonda sull'autorità divina. Ecco perché S. Cirillo,
commentando le parole, "Questo è il mio corpo che sarà dato per
voi", afferma: "Non dubitare che ciò sia vero, ma piuttosto accetta con fede le parole del Salvatore, il quale, essendo la verità,
non mentisce".
E tale presenza si addice prima di tutto alla perfezione della
nuova legge. Infatti i sacrifici dell'antica legge contenevano il
vero sacrificio della morte di Cristo soltanto in modo figurato,
secondo le parole di S. Paolo: "La legge ha l'ombra dei beni futuri,
non l'immagine viva delle cose stesse". Era giusto dunque che il
sacrificio della nuova legge, istituito da Cristo, avesse qualche cosa
di più e cioè che contenesse lui medesimo che fu crocifisso, non
solo sotto forma di simbolo o di figura, ma nella realtà. Di conseguenza questo sacramento che contiene realmente Cristo in
persona, è tale, come afferma Dionigi, "da essere il coronamento di
tutti gli altri sacramenti", per mezzo dei quali ci viene comunicata
la grazia di Cristo.
Secondo, si addice alla carità di Cristo, il quale per la nostra
salvezza assunse un corpo reale di natura umana. Ora, essendo
particolarmente proprio dell'amicizia, come dice Aristotele, che "gli amici vivano insieme", Cristo ci ha promesso in premio la
propria presenza corporale con le parole: "Dovunque sarà il corpo,
là si raccoglieranno le aquile". Ma nel frattempo non ha voluto
privarcene in questa peregrinazione, unendoci a sé in questo sacramento per mezzo della realtà del suo corpo e del suo sangue. Di
qui le sue parole: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
rimane in me e io in lui". Cosicché questo sacramento è il segno
della più grande carità ed è il sostegno della nostra speranza per
l'unione tanto familiare di Cristo con noi.
Terzo, si addice alla perfezione della fede, la quale, ha per
oggetto sia la divinità di Cristo, che la sua umanità, secondo le sue
parole: "Credete in Dio e credete in me". Ora, poiché la fede ha
per oggetto cose invisibili, come ci offre la sua divinità in modo
invisibile, così in questo sacramento Cristo ci offre anche la sua
carne in maniera invisibile.
Non considerando tutto questo, alcuni
hanno sostenuto che in
questo sacramento il corpo e il sangue di Cristo non sono contenuti
che sotto forma di simbolo. La quale affermazione è da respingersi
come eretica, essendo contraria alle parole di Cristo. Perciò Berengario, che per primo propalò questo errore, fu costretto poi a
ritrattarlo e a professare la verità della fede.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Proprio dal testo citato presero occasione per il loro errore gli eretici suddetti, intendendo
male le parole di S. Agostino. Quando infatti egli dice: "Non questo corpo che vedete, avrete da mangiare", intende escludere non
la realtà del corpo di Cristo, ma che esso fosse da mangiarsi nell'aspetto in cui lo vedevano. Con le altre parole poi:
"Vi affido
un mistero, che inteso spiritualmente vi arricchirà di vita", non vuol dire che il corpo di Cristo è presente in questo sacramento
solo secondo un simbolismo mistico, ma che vi è presente in modo
spirituale, ossia invisibilmente e per la virtù dello spirito. Perciò
commentando l'affermazione "la carne non giova a nulla", spiega:
"Nel senso inteso da loro. Infatti essi capirono che dovevano
mangiare la sua carne come si strappa a morsi da un cadavere o
come si vende alla macelleria, non come è animata dallo spirito.
Si unisca lo spirito alla carne e giova moltissimo; se infatti la
carne non servisse a nulla, il Verbo non si sarebbe fatto carne per
abitare tra noi".
2. Il testo di S. Agostino e altri simili si riferiscono al corpo di
Cristo fisicamente visibile, al quale accennano le parole del Signore
stesso: "Me invece non mi avrete sempre". Invisibilmente invece
sotto le specie di questo sacramento egli è presente dovunque
questo sacramento si compie.
3. Il corpo di Cristo in questo sacramento non è localizzato
come un corpo, che con le sue dimensioni si commisura al luogo,
ma in un modo speciale che è proprio di questo sacramento. Perciò diciamo che il corpo di Cristo è presente in diversi altari non
localmente, ma sacramentalmente. Così dicendo non intendiamo
dire che Cristo è presente solo sotto forma di simbolo, sebbene il sacramento sia nella categoria dei segni, e simboli; ma che il corpo di
Cristo è qui presente secondo il modo speciale di questo sacramento.
4. L'argomento è valido se si riferisce alla presenza del corpo
di Cristo fisicamente intesa, ossia nella sua sembianza visibile; ma
non se si riferisce alla sua presenza spirituale, cioè invisibile, secondo il modo e la virtù delle cose spirituali. Di qui le parole di Sant'Agostino:
"Se intendi spiritualmente" le parole del Cristo a
riguardo della sua carne, "esse sono per te spirito e vita; se le intendi
in senso carnale, esse sono ugualmente spirito e vita, ma non lo
sono per te".
ARTICOLO
2
Se in questo sacramento dopo la consacrazione rimanga la sostanza
del pane e del vino
SEMBRA che in questo sacramento dopo la consacrazione
rimanga la sostanza del pane e del vino. Infatti:
1. Il Damasceno dice:
"Poiché gli uomini hanno l'abitudine di
mangiare il pane e di bere il vino, Dio ha unito a queste cose la
sua divinità e le ha fatte corpo e sangue suo". E più sotto: "Il
pane della comunione non è semplice pane, ma è pane unito alla
divinità". Ora, l'unione si fa tra cose esistenti in atto. Perciò in
questo sacramento sono presenti il pane e il vino insieme al corpo
e al sangue di Cristo.
2. Tra i sacramenti della Chiesa ci deve essere uniformità. Ma
negli altri sacramenti la sostanza della materia rimane: nel battesimo p. es., rimane la sostanza dell'acqua e nella cresima la
sostanza del crisma. Dunque anche in questo sacramento la sostanza del pane e del vino rimane.
3.
Il pane e il vino sono stati scelti per questo sacramento,
perché adatti a significare l'unità della Chiesa, poiché
"un unico pane
si fa con molti grani e un unico vino con molti grappoli", come
nota S. Agostino. Ma questo si riscontra nella sostanza stessa del
pane e del vino. Quindi la sostanza del pane e del vino in questo
sacramento rimane.
IN CONTRARIO: S. Ambrogio afferma:
"Sebbene si vedano le
apparenze del pane e del vino, tuttavia dobbiamo credere che
dopo la consacrazione sono soltanto carne e sangue di Cristo".
RISPONDO: Alcuni
hanno sostenuto che dopo la consacrazione
rimane in questo sacramento la sostanza del pane e del vino. -
Ma ciò è insostenibile. Primo, perché questa affermazione esclude
la realtà del sacramento eucaristico, la quale implica la presenza
in questo sacramento del vero corpo di Cristo. Ma questo non è
presente prima della consacrazione. Ora, una cosa non può farsi
presente dove non era prima, se non per mezzo di un trasferimento
locale, o per il convertirsi in essa di qualche altra cosa: il fuoco
p. es., comincia ad essere di nuovo in una casa o perché ci si porta,
o perché viene generato in essa. È chiaro però che il corpo di
Cristo non incomincia ad essere presente in questo sacramento
per un trasferimento locale. Primo, perché allora dovrebbe cessare
di essere in cielo; infatti ciò che si sposta localmente, non giunge
nel luogo successivo, se non lasciando il precedente. Secondo,
perché ogni corpo mosso localmente attraversa tutti gli spazi
intermedi: cosa che non si può affermare nel nostro caso. Terzo,
perché è impossibile che un unico movimento del medesimo corpo
mosso localmente abbia per termine nello stesso tempo punti diversi: il corpo di Cristo invece si fa presente sotto questo sacramento
contemporaneamente in più luoghi. Da ciò si deduce che il corpo
di Cristo non può incominciare ad essere in questo sacramento,
se non per mezzo della conversione in esso della sostanza del pane.
Ma quello che si muta in un'altra cosa, a mutazione avvenuta
non rimane. Per salvare quindi la verità di questo sacramento si
deve concludere che la sostanza del pane non può rimanere dopo
la consacrazione.
Secondo, perché l'opinione suddetta contraddice alla forma di
questo sacramento, nella quale si afferma: "Questo (hoc) è il mio
corpo". Ciò non sarebbe vero se vi rimanesse la sostanza del pane:
perché la sostanza del pane non è affatto il corpo di Cristo. Ma
si dovrebbe dire: "Qui c'è il mio corpo".
Terzo, perché sarebbe incompatibile con il culto di questo
sacramento, qualora in esso rimanesse una sostanza che non si potesse
adorare con adorazione di latria.
Quarto, perché contrasterebbe con le prescrizioni della Chiesa,
secondo le quali, dopo aver preso del cibo materiale, non è lecito
ricevere il corpo di Cristo, mentre dopo un'ostia consacrata se ne
può sumere un'altra.
Perciò tale opinione è da respingersi come eretica.
SOLUZIONE DELLE
DIFFICOLTÀ: 1. Dio ha unito "la sua divinità",
ossia la sua virtù divina, al pane e al vino, non perché essi rimanessero in questo sacramento,
bensì allo scopo di farne il suo corpo
e il suo sangue.
2. Negli altri sacramenti non c'è realmente presente Cristo in
persona, come in questo sacramento. Quindi negli altri sacramenti rimane la sostanza della loro materia, ma in questo non può rimanere.
3. Le apparenze che rimangono, come si dirà appresso, bastano
al simbolismo di questo sacramento: perché è attraverso gli accidenti che si conosce la natura della sostanza.
ARTICOLO
3
Se la sostanza del pane dopo la consacrazione di questo sacramento
venga annichilata, o si risolva nella materia preesistente
SEMBRA che la sostanza del pane dopo la consacrazione di questo
sacramento venga annichilata, o si risolva nella materia preesistente. Infatti:
1. Ciò che è corporeo deve essere in un dato luogo. Ma la
sostanza del pane, che è qualche cosa di corporeo, non rimane, come sopra
abbiamo spiegato, in questo sacramento: però non è possibile
neppure stabilire un luogo dove si trovi. Quindi non è più nulla
dopo la consacrazione. Perciò o è stata annichilata, oppure si è
risolta nella materia preesistente.
2. In qualunque mutazione il termine di partenza sparisce, o
tutt'al più rimane nella potenza della materia: quando l'aria,
p. es., si trasforma in fuoco, rimane solo nella potenza della materia; lo stesso si dica quando una cosa da bianca diventa nera.
Ma in questo sacramento il termine di partenza è la sostanza del
pane e del vino, mentre il corpo e il sangue di Cristo sono il termine di arrivo; dice infatti S. Ambrogio:
"Prima della consacrazione è designata un'altra sostanza, dopo la consacrazione sta a
indicare il corpo di Cristo". Quindi dopo la consacrazione la sostanza del pane e del vino non rimane che nella materia preesistente.
3. Di due proposizioni contraddittorie una dev'esser vera. Ora,
questa è falsa: "Fatta la consacrazione, la sostanza del pane e
del vino, è qualche cosa". Dunque è vera quest'altra: "La sostanza del pane
e del vino non è più nulla".
IN CONTRARIO: S. Agostino afferma:
"Dio non è la causa della
tendenza al non essere". Ma questo sacramento si compie per virtù
divina. Dunque in essa la sostanza del pane e del vino non viene
annichilata.
RISPONDO: Poiché la sostanza del pane e del vino non rimane
in questo sacramento, alcuni, ritenendo impossibile che essa si
converta nel corpo e nel sangue di Cristo, pensarono che in forza
della consacrazione la sostanza del pane e del vino si risolva nella
materia preesistente, oppure che venga annichilata.
Ora, la materia preesistente in cui si possono risolvere i corpi
composti, sono i quattro elementi: non potendosi essi risolvere
nella materia prima priva di qualsiasi forma, perché la materia
senza forma non può esistere. Dopo la consacrazione però, non
rimanendo sotto la specie del sacramento nient'altro che il corpo
e il sangue, è necessario dire che gli elementi in cui si risolverebbe
la sostanza del pane e del vino si ritirano dal sacramento con moto
locale. E questo dovrebbe essere percepito dai sensi. - Inoltre la
sostanza del pane e del vino deve pur rimanere fino all'ultimo
istante della consacrazione. Ma nell'ultimo istante della consacrazione c'è già la sostanza del corpo e del sangue di Cristo, come
nell'ultimo istante della generazione c'è già la nuova forma. Quindi
non è possibile trovare un istante in cui sia presente la materia
preesistente. Evidentemente non si può dire che la sostanza del
pane e del vino si risolva nella materia preesistente un po' alla
volta, o che abbandoni le specie gradualmente. Perché se ciò
incominciasse a verificarsi nell'ultimo istante della consacrazione,
insieme al corpo di Cristo sotto una parte dell'ostia ci sarebbe la
sostanza del pane, contro quello che abbiamo dimostrato
sopra. Se invece incominciasse a verificarsi prima della consacrazione, allora ci sarebbe un periodo di tempo durante il quale sotto
una parte dell'ostia non sarebbe contenuta né la sostanza del pane
né il corpo di Cristo; e questo è inaccettabile.
Sembra che gli stessi autori suddetti si siano resi conto di questo.
Cosicché proposero anche l'altro termine dell'alternativa: cioè
l'annichilazione. - Ma neppure questa è possibile. Perché non c'è
altro modo per cui il vero corpo di Cristo possa iniziare la sua
presenza in questo sacramento all'infuori della conversione in esso
della sostanza del pane: e tale conversione viene negata ammettendo, o l'annichilazione della sostanza del pane, o la sua risoluzione
nella materia preesistente. - Parimenti non c'è modo neppure
d'assegnare a tale risoluzione o annichilazione una causa che la
produca: poiché l'effetto del sacramento viene indicato dalla forma; ma nessuna di queste due cose viene indicata dalle parole
della forma: "Questo è il mio corpo".
È
chiaro quindi che la suddetta opinione è falsa.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Dopo la consacrazione la
sostanza del pane e del vino non rimane, né sotto le specie sacramentali, né altrove. Non ne segue tuttavia che venga annichilata:
essa si converte nel corpo di Cristo. Come non segue che l'aria
da cui si è generato il fuoco, se non è qui né altrove, sia annichilata.
2. La forma da cui si parte non si muta nella forma successiva,
ma l'una succede all'altra in un dato soggetto; quindi la prima
forma non rimane se non nella potenza della materia. Qui invece
la sostanza del pane si muta nel corpo di Cristo, come si è detto.
Perciò l'argomento non regge.
3. Dopo la consacrazione, sebbene sia falsa la proposizione:
"La sostanza del pane è qualche cosa", è però qualche cosa ciò in
cui la sostanza del pane si è convertita. Quindi la sostanza del
pane non è stata annichilata.
ARTICOLO 4
Se il pane possa convertirsi nel corpo di Cristo
SEMBRA che il pane non possa convertirsi nel corpo di Cristo.
Infatti:
1. La conversione è una mutazione. Ma in ogni mutazione
dev'esserci un soggetto, il quale prima è in potenza e poi in atto,
perché il moto è "l'atto di un ente in potenza", come dice Aristotele. Ora, la sostanza e del pane e del corpo di Cristo, non può
avere soggetto, perché è proprio della sostanza, nota Aristotele, "non essere in un soggetto". Quindi è impossibile che tutta la
sostanza del pane si converta nel corpo di Cristo.
2. Nella
conversione la forma risultante inizia come nuova nella
materia di ciò che si è trasmutato in essa: quando l'aria, p. es.,
si converte nel fuoco che prima non esisteva, la forma del fuoco
incomincia allora a esistere nella materia dell'aria; e così quando
il cibo si converte in sostanza umana prima inesistente, la forma
umana incomincia allora a esistere nella materia del cibo. Se
dunque il pane si converte nel corpo di Cristo, la forma del corpo
di Cristo deve incominciare come cosa nuova a esistere nella materia del pane: il che è falso. Dunque il pane non si converte
nella sostanza del corpo di Cristo.
3. Di due cose che sono radicalmente distinte tra loro, una non
diventa mai l'altra: il bianco, p. es., non diventa mai nero, ma è
il soggetto del bianco che diventa soggetto del nero, come dice
Aristotele. Ora, come sono contrarie tra loro due forme radicalmente distinte, essendo esse principi della differenza formale;
così
sono radicalmente distinte due determinate porzioni di materia,
essendo principi della distinzione materiale (o numerica). Quindi
è impossibile che questa materia del pane diventi quest'altra materia individuante il corpo di Cristo. Perciò è impossibile che la
sostanza di questo pane si converta nella sostanza del corpo di
Cristo.
IN CONTRARIO: Eusebio di
Emesa afferma: "Non dev'essere
per te strano e impossibile, che cose terrene e mortali si convertano
nella sostanza di Cristo".
RISPONDO: Sopra abbiamo già chiarito che in questo sacramento
è presente il vero corpo di Cristo; il quale non può iniziarvi la sua
presenza con un moto locale; anzi abbiamo visto pure che il corpo
di Cristo non è in esso neppure localmente: perciò bisogna concludere che il corpo di Cristo vi inizia la sua presenza per la
conversione in esso della sostanza del pane.
Questa conversione però non è simile alle conversioni naturali,
ma è del tutto soprannaturale, compiuta. dalla sola potenza di
Dio. Di qui le parole di S. Ambrogio: "È noto che la Vergine
generò fuori dell'ordine della natura. Ora, anche ciò che noi consacriamo è il corpo nato dalla Vergine. Perché dunque cerchi
l'ordine naturale nel corpo di Cristo, se il Signore stesso Gesù è
stato partorito dalla Vergine fuori dell'ordine di natura?". E a
commento del passo, "Le parole che vi ho rivolto", a proposito
di questo sacramento, "sono spirito e vita", il Crisostomo afferma:
"Sono cioè spirituali, non hanno niente di carnale, né seguono un
processo di natura, liberate da ogni necessità terrena e dalle leggi
che vigono sulla terra".
È
chiaro infatti che ogni ente opera in quanto è in atto. Ma
ogni agente creato è limitato nel suo atto, appartenendo a un dato
genere e a una data specie. Quindi l'azione di qualsiasi agente
creato si limita a un determinato atto. Ora, la determinazione di
qualsiasi cosa al proprio essere in atto dipende dalla forma. Perciò
un agente naturale o creato non può causare che una trasmutazione
di forma. E quindi ogni conversione, che si compia secondo le
leggi naturali, è un cambiamento soltanto formale. Dio invece è
atto infinito, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Perciò
la sua azione si estende a tutta la natura dell'ente. E quindi può
produrre non soltanto delle conversioni formali, in cui in un medesimo soggetto si succedono forme diverse; ma può trasmutare
tutto l'ente, in modo che tutta la sostanza di un ente si converta
per intero nella sostanza di un altro.
Ciò appunto avviene per virtù divina in questo sacramento.
Infatti tutta la sostanza del pane si converte in tutta la sostanza
del corpo di Cristo, e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza
del sangue di Cristo. Perciò questa non è una convelsione formale,
ma sostanziale. Né rientra tra le specie delle mutazioni naturali,
ma con termine proprio può dirsi transustanziazione.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. La prima obiezione procede
dalle mutazioni di forma; perché è proprio della forma essere nella
materia o nel soggetto. La cosa non ha luogo nella conversione
di tutta la sostanza. Infatti questa conversione sostanziale, poiché
implica un ordine tra due sostanze, di cui una si converte nell'altra,
ha il suo soggetto in ambedue le sostanze, appunto come l'ordine
e il numero.
2. Anche la seconda
obiezione si basa sulla conversione o
mutazione formale; perché, come abbiamo detto, è necessario che la
forma sia nella materia o nel soggetto. Ciò invece non avviene
nella trasmutazione di tutta la sostanza, in cui il soggetto non
esiste.
3. Per virtù di un agente limitato non può una forma cambiarsi
in un'altra forma, né una materia in un'altra materia. Ma per
virtù di un agente infinito, che opera su tutto l'ente, tale conversione
è possibile; perché ad ambedue le forme e ad ambedue le materie
è comune la natura di ente; e l'autore dell'ente può mutare l'entità dell'una nell'entità dell'altra, eliminando ciò che distingueva
l'una dall'altra.
ARTICOLO 5
Se in questo sacramento rimangano gli accidenti del pane e del vino
SEMBRA che in questo sacramento non
rimangano gli accidenti
del pane e del vino. Infatti:
1. Rimosso ciò che precede, viene meno ciò che segue. Ora,
per natura la sostanza precede l'accidente, come prova Aristotele.
Poiché dunque, fatta la consacrazione, non rimane la sostanza del
pane in questo sacramento, non rimangono neppure i suoi accidenti.
2. Nel sacramento della verità non ci dev'essere nessun inganno.
Ma dagli accidenti noi giudichiamo della sostanza. Perciò, se rimanessero gli accidenti senza che rimanga la
sostanza del pane, il
giudizio dell'uomo verrebbe ad essere ingannato. Ciò dunque non
è conveniente per questo sacramento.
3. La nostra fede, sebbene non sia subordinata alla ragione, non
è tuttavia contro ma sopra di essa, come abbiamo detto all'inizio
di quest'opera. Ora, la nostra ragione prende le mosse dai sensi.
Perciò la nostra fede non deve mettersi contro i sensi, al punto di
credere sostanza del corpo di Cristo quanto i nostri sensi giudicano
essere pane. Non è dunque conveniente che in questo sacramento
rimangano gli accidenti del pane oggetto dei sensi, e non rimanga
la sostanza del pane.
4. Ciò che rimane dopo la conversione risulta essere il soggetto
della mutazione. Se dunque, a conversione avvenuta, rimangono
gli accidenti del pane, si dovrà dire che gli stessi accidenti sono
il soggetto della conversione. Il che è impossibile, perché "niente
è accidente di un altro accidente". Non devono dunque rimanere
in questo sacramento gli accidenti del pane e del vino.
IN CONTRARIO: S. Agostino
afferma: "Sotto le specie del pane
e del vino che vediamo, noi onoriamo cose invisibili, cioè la carne
e il sangue".
RISPONDO: Con i sensi si constata che, fatta la consacrazione,
rimangono tutti gli accidenti del pane e del vino. E ciò è stato
disposto sapientemente dalla provvidenza divina. Primo, perché,
non essendo per gli uomini cosa abituale ma ributtante mangiare
carne umana e bere sangue umano, la carne e il sangue del Cristo
ci vengono presentati sotto le specie di quei cibi, che più frequentemente sono usati dagli uomini,
cioè del pane e del vino.
Secondo, perché questo sacramento non sia oggetto d'irrisione
da parte dei non credenti, come sarebbe se mangiassimo il Signore
nostro nelle sue proprie sembianze.
Terzo, perché il ricevere in modo invisibile il corpo e il sangue
del Signore, giovi ad accrescere il merito della fede.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. L'effetto, come nota Aristotele, dipende più dalla causa prima che dalla causa seconda. Quindi
per virtù di Dio che è la causa prima di tutte le cose, possono
rimanere cose susseguenti, senza che rimanga ciò che le precede.
2. In questo sacramento non c'è alcun inganno: perché gli
accidenti, di cui giudicano i sensi, rimangono nella loro realtà.
L'intelletto poi, il quale, come dice Aristotele, ha per suo oggetto la
sostanza, viene preservato dall'inganno mediante la fede.
3. E così è risolta anche la terza difficoltà. Perché, la fede non
è contro i sensi, ma riguarda cose cui i sensi non possono arrivare.
4. Questa conversione, come abbiamo notato, non ha
propriamente un soggetto. Tuttavia gli accidenti che rimangono, hanno
una certa somiglianza con esso.
ARTICOLO 6
Se, fatta la consacrazione,
rimanga in questo sacramento la forma
sostanziale del pane
SEMBRA che, fatta la consacrazione, rimanga in questo
sacramento la forma sostanziale del pane. Infatti:
1. È stato detto che dopo la consacrazione rimangono gli
accidenti. Ma essendo il pane qualche cosa di artificiale, anche la sua
forma è un accidente. Quindi, a consacrazione avvenuta, rimane.
2. La forma del corpo di Cristo è l'anima, poiché secondo la
definizione di Aristotele l'anima è "atto del corpo fisico avente
vita in potenza". Ma non si può dire che la forma sostanziale del pane
si converta nell'anima. Dunque essa rimane dopo la consacrazione.
3. In ogni ente l'operazione propria presuppone la forma
sostanziale. Ma ciò che rimane in questo sacramento, nutre e produce
tutti gli effetti che produrrebbe il pane se fosse presente. Dunque
la forma sostanziale del pane rimane.
IN CONTRARIO: La forma sostanziale del pane fa parte della sostanza
del pane. Ma la sostanza del pane si converte nel corpo di Cristo, come
si è detto. Dunque la forma sostanziale del pane non può rimanere.
RISPONDO: Alcuni
hanno pensato che, fatta la consacrazione,
rimangono non solo gli accidenti del pane, ma anche la sua forma
sostanziale. - Ma ciò non può essere. Primo, perché, se la forma
sostanziale del pane rimanesse, si convertirebbe nel corpo di Cristo
null'altro che la materia del pane. Conseguentemente non tutto
il pane si convertirebbe nel corpo di Cristo, ma solo la materia
del pane. Il che è incompatibile con la forma del sacramento nella
quale si dice: "Questo è il mio corpo".
Secondo, perché se la forma sostanziale del pane rimanesse,
rimarrebbe o unita o separata dalla materia. Ma la prima ipotesi
è impossibile. Perché, rimanendo nella materia del pane, rimarrebbe allora tutta la sostanza del pane, contro quanto abbiamo
detto. Né potrebbe rimanere unita ad altra materia: perché ogni
forma non si trova se non nella propria materia. - Se poi rimanesse separata dalla materia, allora sarebbe una forma intelligibile
in atto e quindi intelligente: poiché sono tali tutte le forme separate dalla materia.
Terzo, la cosa sarebbe inconciliabile con questo sacramento. Infatti
gli accidenti del pane rimangono in questo sacramento per mostrare
il corpo di Cristo, come si è detto sopra, sotto apparenze non proprie.
Perciò la forma sostanziale del pane non rimane.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Niente impedisce che
l'arte
faccia qualche cosa, la cui forma non è accidentale ma sostanziale:
così possono prodursi artificialmente rane e serpenti. Tali forme l'arte
non le produce per virtù propria, ma per virtù dei principi naturali.
Ed è così che essa produce la forma sostanziale del pane mediante la
virtù del fuoco che cuoce la materia composta di farina e di acqua.
2. L'anima è forma del corpo e gli dona tutta la sua struttura
di essere completo: cioè l'essere, l'essere corporeo, l'essere animato
e così via. Orbene, la forma del pane si converte nella forma del
corpo di Cristo solo rispetto all'essere corporeo: non già rispetto
all'essere animato da un'anima umana.
3. Tra le operazioni del pane alcune gli sono proprie in ragione
degli accidenti, p. es., alterare i nostri sensi. E tali operazioni si
riscontrano nella specie del pane dopo la consacrazione a causa
della permanenza degli accidenti stessi.
Altre operazioni invece sono proprie del pane, o in forza della
materia, come il potersi convertire in un'altra cosa; oppure in forza della forma sostanziale, come gli effetti derivanti dalla sua
natura, il fatto p. es., di "irrobustire il cuore dell'uomo". E tali
operazioni si riscontrano in questo sacramento non in quanto
rimane la forma o la materia, ma perché sono concesse miracolosamente agli stessi accidenti, come si dirà in seguito.
ARTICOLO
7
Se questa conversione avvenga istantaneamente o gradualmente
SEMBRA che questa conversione non avvenga istantaneamente,
ma gradualmente. Infatti:
1. In questo sacramento prima si ha la sostanza del pane e poi
la sostanza del corpo di Cristo. Perciò le due cose non si hanno
nel medesimo istante, bensì in due istanti. Ma tra due istanti c'è
sempre un tempo intermedio. Quindi questa conversione avviene
necessariamente in quel processo di tempo, che intercorre dall'ultimo istante in cui è presente il pane, al primo istante in cui è
presente il corpo di Cristo.
2. In ogni conversione si distingue il suo farsi e l'esser fatta,
o compiuta. Ma queste due cose non sono simultanee, perché
quello che si sta facendo non esiste ancora, e quello che è già fatto
esiste già. Dunque in questa conversione c'è un prima e un dopo.
Conseguentemente non è istantanea, ma graduale.
3. S. Ambrogio afferma che questo sacramento
"si compie con
le parole di Cristo". Ma le parole di Cristo vengono proferite
successivamente. Quindi questa conversione non è istantanea.
IN CONTRARIO: Questa conversione si compie per una virtù
infinita, della quale è proprio operare istantaneamente.
RISPONDO: Una mutazione può essere istantanea per tre motivi.
Primo, a motivo della forma a cui termina la mutazione. Se infatti
si tratta di una forma che ammette un più e un meno, essa viene
acquisita dal soggetto per gradi successivi, come la sanità. Ecco
perché la forma sostanziale "non ammettendo un più e un meno",
viene introdotta nella materia istantaneamente. - Secondo, a motivo del soggetto che a volte viene gradualmente preparato a
ricevere la forma: l'acqua p. es., si riscalda poco a poco. Quando
invece il soggetto è di per sé nella disposizione immediata alla
forma, la riceve istantaneamente: così un corpo diafano si illumina
all'istante. - Terzo, a motivo dell'agente di virtù infinita: poiché
esso è capace di disporre in un attimo la materia alla forma. Così
si legge che avendo Cristo detto: "Effeta, cioè: Apriti, subito a
un uomo si aprirono gli orecchi e si sciolse il nodo della lingua".
E per questi tre motivi la conversione di cui parliamo è
istantanea. Primo, perché la sostanza del corpo di Cristo, alla quale
termina questa conversione, non ammette un più e un meno. -
Secondo, perché in questa conversione non c'è un soggetto da
preparare gradualmente. - Terzo, perché viene compiuta dall'infinita virtù di Dio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Alcuni non ammettono che
tra due istanti ci debba sempre essere un tempo intermedio. Dicono infatti che ciò è impossibile tra due istanti che si riferiscano
al medesimo movimento, ma non tra due istanti che si riferiscono
a cose diverse. Così tra l'istante che segna la fine del riposo e
l'istante che segna l'inizio del movimento non c'è tempo intermedio.
- Ma in questo s'ingannano. Perché, l'identità del tempo e dell'istante o la loro diversità non si giudicano in relazione a qualsiasi
movimento, bensì in relazione al primo moto del cielo, che è la
misura di ogni moto e di ogni quiete.
Perciò altri
ammettono il tempo intermedio nel tempo che
misura il movimento dipendente dal moto del cielo. Ci sono però
moti indipendenti dal moto del cielo, che non sono misurati da
esso: i moti degli angeli, p. es., di cui abbiamo parlato nella Prima
Parte. Perciò tra due istanti corrispondenti a codesti moti non
c'è tempo intermedio. - Ma questo non si può applicare al caso
presente. Perché, sebbene questa conversione non abbia di per sé
rapporto con il moto dei cieli, segue però la pronunzia delle parole,
la quale è misurata necessariamente dal moto dei cieli. Perciò è
inevitabile che tra due istanti qualsiasi di questa conversione ci
sia un tempo intermedio.
Alcuni allora dicono che l'ultimo istante in cui è presente il
pane e il primo istante in cui è presente il corpo di Cristo sono
due in riferimento alle due cose misurate, ma sono un medesimo
istante in riferimento al tempo misurante: come quando due linee
si toccano, i punti da parte delle linee sono due, ma è il medesimo
punto rispetto al luogo d'incontro. - Ma qui il caso è diverso.
Perché, l'istante e il tempo non sono per i movimenti particolari
una misura intrinseca come la linea e il punto per i corpi, ma
soltanto estrinseca, come il luogo per i corpi.
Altri
quindi dicono che l'istante è identico nella realtà, ma
duplice secondo ragione. - Da questo però seguirebbe che simultaneamente esisterebbero nella realtà cose tra loro opposte. Infatti
la differenza di ragione non cambia affatto la realtà.
Perciò si deve rispondere che questa conversione avviene, come
si è detto, per le parole di Cristo proferite dal sacerdote, in modo
che l'ultimo istante della dizione delle parole è il primo istante
della presenza del corpo di Cristo nel sacramento, mentre in tutto
il tempo precedente c'era la sostanza del pane. Ma in questo
tempo non è possibile distinguere il penultimo istante immediatamente precedente all'ultimo; perché il tempo non si compone
d'istanti consecutivi, come dimostra Aristotele. E così è precisabile
il primo istante della presenza del corpo del Cristo, ma non è
precisabile l'ultimo istante in cui è presente la sostanza del pane, bensì
è precisabile l'ultimo tempo. Del resto la stessa cosa si riscontra
anche nelle trasmutazioni naturali, come insegna Aristotele.
2. Nelle mutazioni istantanee c'è coincidenza tra il farsi e l'esser
fatto: è simultaneo, p. es., venire illuminati ed essere illuminati.
Poiché in tali mutazioni si parla di cose fatte in quanto già sono,
e di divenire in quanto prima di allora non erano.
3. Questa conversione, come si è detto, avviene nell'ultimo
istante del proferimento delle parole: allora infatti è completo il
loro significato, il quale ha efficacia nella forma dei sacramenti.
Perciò non segue che questa conversione debba essere graduale.
ARTICOLO
8
Se sia vera questa proposizione:
"Dal pane si ottiene il corpo di Cristo"
SEMBRA che sia falsa questa proposizione:
"Dal pane si ottiene
il corpo di Cristo". Infatti:
1. Ogni cosa da cui se ne ottiene un'altra si può dire che diventa
l'altra, ma non viceversa: diciamo infatti che dal bianco si ottiene
il nero e che il bianco diventa nero; e sebbene diciamo che un
uomo diventa nero, non diciamo tuttavia che da un uomo si ottiene il nero, come osserva Aristotele. Se dunque è vero che dal pane
si ottiene il corpo di Cristo, sarà vero che il pane diventa il corpo
di Cristo. Il che è falso, perché il pane non è il soggetto della conversione, ma ne è piuttosto il termine di partenza. Non è dunque
esatto che dal pane si ottenga il corpo di Cristo.
2. Il divenire ha per termine l'essere o l'esser fatto. Ma non è
mai vera questa proposizione: "Il pane è il corpo di Cristo", e
neppure quest'altra: "Il pane è diventato il corpo di Cristo";
oppure: "Il pane sarà il corpo di Cristo". Non è vera dunque
nemmeno questa: "Dal pane si ottiene il corpo di Cristo".
3. Ogni cosa da cui se ne ottiene un'altra, si converte in questa.
Ma la proposizione: "Il pane si converte nel corpo di Cristo", è
falsa; perché tale conversione è più miracolosa della creazione,
per descrivere la quale tuttavia non si dice che il non ente si converte nell'ente. Dunque è falsa anche la proposizione:
"Dal pane
si ottiene il corpo di Cristo".
4. La cosa da cui se ne ottiene un'altra ha la capacità di
diventare quest'ultima. Ma è falso dire: "Il pane può diventare il
corpo di Cristo". Dunque è falso anche dire: "Dal pane si ottiene il corpo di
Cristo".
IN CONTRARIO: S. Ambrogio
afferma: "Quando sopraggiunge la consacrazione, dal pane si ottiene il corpo di Cristo".
RISPONDO: Questa conversione del pane nel corpo di Cristo sotto
certi aspetti somiglia alla creazione e alla trasmutazione naturale,
e sotto altri differisce da ambedue. Infatti è comune a tutti e tre
i fatti la successione dei termini, cioè che una cosa sia dopo l'altra:
infatti nella creazione abbiamo l'essere dopo il non essere, in questo
sacramento abbiamo il corpo di Cristo dopo la sostanza del pane,
e nella mutazione naturale abbiamo il bianco dopo il nero, o il fuoco
dopo l'aria; inoltre è comune la non coincidenza di detti termini.
Detta conversione
somiglia inoltre alla creazione, perché in
entrambe è escluso un soggetto comune ai due termini del trapasso. Il contrario invece si verifica in ogni trasmutazione naturale.
Questa conversione ha poi un'affinità con la trasmutazione
naturale su due cose, però in maniere diverse. Primo, per il fatto
che in ambedue uno degli estremi si converte nell'altro: il pane
nel corpo di Cristo, e l'aria (p. es.) nel fuoco, mentre il non ente
non si converte nell'ente. Tuttavia nei due casi il trapasso è ben
diverso. Infatti in questo sacramento l'intera sostanza del pane
si converte in tutto il corpo di Cristo; mentre nella mutazione
naturale la materia di una cosa riceve la forma di un'altra dopo
la perdita della forma precedente. - Secondo, si somigliano in
questo, che in ambedue i trapassi rimane un dato permanente: il
che non può avvenire nella creazione. Però con questa differenza:
che mentre nelle trasmutazioni naturali rimane identica la materia
o il soggetto, in questo sacramento rimangono identici gli accidenti.
Da ciò si rileva quali siano le differenze di linguaggio da
osservarsi in proposito. Poiché infatti in nessuno dei tre processi
indicati i termini estremi sono simultanei, in nessuno di essi un
estremo si può predicare dell'altro con un verbo di tempo presente che
indichi la sostanza; ecco perché non diciamo che "Il non ente è ente", o che "Il pane è il corpo di Cristo", oppure che "L'aria
è il fuoco", o che "Il bianco è nero".
Tenendo conto invece che gli estremi si succedono, possiamo
nei tre casi usare la proposizione da (ex), per designare la successione. Possiamo
così dire con verità e proprietà di linguaggio che
"dal non ente si ha l'ente", "dal pane si ha il corpo di
Cristo", "dall'aria il fuoco", o "dal bianco il nero".
Ma poiché nella creazione un estremo non si converte nell'altro,
parlando della creazione non possiamo usare il termine conversione,
e quindi non possiamo dire che "il non ente si converte nell'ente".
A codesto termine invece possiamo ricorrere in questo sacramento,
come anche nelle trasmutazioni naturali. Ma siccome in questo
sacramento si converte tutta una sostanza in tutta un'altra sostanza, tale conversione si chiama propriamente transustanziazione.
Ancora, poiché di questa conversionè non esiste un soggetto,
tutto ciò che si riscontra nelle conversioni naturali a motivo del
soggetto non si può applicare a questa conversione. Innanzi tutto
è chiaro che la potenza all'opposto è dovuta al soggetto; ed è in
relazione a esso che valgono le frasi: "Il bianco può essere nero",
e "L'aria può essere fuoco". Sebbene in questo secondo caso
l'espressione non sia così propria come nel primo: infatti il soggetto del bianco in cui c'è la potenza al nero, è tutta la sostanza
di codesto soggetto bianco, non essendo il bianco una parte della
sostanza; invece il soggetto della forma dell'aria è una parte dell'aria e quindi dire che
"l'aria può essere fuoco" è vero in forza
della parte, per sineddoche. Al contrario nella transustanziazione
come nella creazione, non essendovi alcun soggetto, non si dice
che un estremo può essere l'altro, p. es., che "il non ente possa
essere l'ente", oppure che "il pane possa essere il corpo di Cristo".
- Per la stessa ragione non si può dire propriamente che "dal
non ente si ha l'ente", o che "dal pane si ha il corpo di Cristo";
perché questa preposizione da (de) indica una causa consustanziale
e tale consustanzialità degli estremi nelle trasmutazioni naturali
dipende dalla comunanza del soggetto. - Similmente non è consentito dire che "il pane sarà il corpo di Cristo", o che "il pane
diventa il corpo di Cristo"; come non è consentito, rispetto alla
creazione dire che "il non ente sarà l'ente", o che "il non ente
diventa l'ente", perché questo modo di dire è vero nelle trasmutazioni naturali dipendentemente dal soggetto: quando diciamo,
p. es., che "il bianco diventa nero" e che "il bianco sarà nero".
Nondimeno, siccome in questo sacramento, a conversione
avvenuta, rimane qualche cosa di immutato, cioè gli accidenti del
pane, come si è detto sopra, secondo una certa analogia alcune
delle proposizioni esaminate possono essere accettate: cioè che "il pane è il corpo di Cristo", che
"il pane sarà il corpo di Cristo",
oppure che "dal pane si ottiene il corpo di Cristo", intendendo
con il termine pane non la sostanza del pane, ma indeterminatamente ciò che è contenuto sotto le specie del pane, sotto le quali
prima era contenuta la sostanza del pane e poi il corpo di Cristo.
SOLUZIONE DELLE
DIFFICOLTÀ: 1. La cosa da cui se ne ottiene
un'altra, talora indica il soggetto insieme a uno degli estremi della
mutazione, come quando si dice di una cosa che "da bianca si fa
nera". Talora invece indica solo l'opposto o l'estremo contrario,
come quando si dice che "dal mattino si fa giorno". E allora non è
consentito di dire che questo diventa quello, cioè che "il mattino
diventa il giorno". Altrettanto nel caso nostro: sebbene si dica
con proprietà che dal pane si ottiene il corpo di Cristo, tuttavia
l'espressione "il pane diviene il corpo di Cristo" non si può usare
con proprietà di linguaggio; ma solo secondo una certa analogia,
come si è detto.
2. La cosa da cui se ne ottiene un'altra, talora diventerà l'altra
in forza del soggetto presupposto. Perciò, siccome in questa conversione sacramentale non c'è un soggetto, non è possibile
considerarla alla pari.
3. In questa conversione ci sono delle cose più difficili che nella
creazione, nella quale è difficile soltanto questo, che una cosa
venga dal nulla: ciò tuttavia rientra nel modo di operare che è
proprio della causa prima, la quale non presuppone nient'altro.
Invece nella transustanziazione non solo è difficile il fatto che
questo tutto si converte in un altro tutto, cosicché non resti nulla
del primo, e ciò non rientra nel modo comune di agire di nessuna
causa, ma c'è di difficile anche la permanenza degli accidenti dopo
la conversione della sostanza, e molte altre cose di cui si parlerà
in seguito. Ciò nonostante, il termine conversione si usa per questo
sacramento, come abbiamo spiegato, e non per la creazione.
4. La potenza, come si è detto, spetta al soggetto, che manca
in questa conversione. Ecco perché non è lecito dire che il pane
può essere il corpo del Cristo, poiché questa conversione non si
compie in virtù della potenza passiva della creatura, ma solo in
virtù della potenza attiva del Creatore.
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