L'Eucarestia
Somma Teologica III, q. 77
La permanenza degli accidenti in questo sacramento
Veniamo ora a trattare della permanenza degli accidenti in
questo sacramento.
In proposito discuteremo otto argomenti: 1. Se gli accidenti
che rimangono siano senza soggetto; 2. Se la quantità, o estensione
sia il soggetto degli altri accidenti; 3. Se questi accidenti possano
agire sui corpi esterni; 4. Se possano corrompersi; 5. Se da essi
possa generarsi qualche cosa; 6. Se possano nutrire; 7. La frazione
del pane consacrato; 8. Se al vino consacrato sia possibile aggiungere altri liquidi.
ARTICOLO
1
Se in questo sacramento gli accidenti rimangano senza soggetto
SEMBRA che in questo sacramento gli accidenti non rimangano
senza soggetto. Infatti:
1. In questo sacramento di verità non può esserci nulla di
disordinato o di falso. Ora, l'esistenza di accidenti senza soggetto è
contro l'ordine che Dio ha posto nella natura. Ed è pure una
specie d'inganno: poiché gli accidenti sono i segni indicativi naturali della sostanza. Perciò in questo sacramento non ci sono
accidenti senza soggetto.
2. Nemmeno per miracolo può avvenire che a una cosa si tolga
la sua definizione o che le si adatti la definizione di un'altra: p. es.,
che un uomo, rimanendo uomo, sia un animale non ragionevole.
Infatti ne seguirebbe la simultaneità di cose contraddittorie: perché, come dice Aristotele
"la definizione di una cosa è quello che
significa il suo nome". Ebbene, la definizione dell'accidente implica che esso sia in un soggetto, mentre la definizione della sostanza
implica che essa sussista in sé senza un soggetto. Dunque per
miracolo non può avvenire che in questo sacramento gli accidenti
rimangano senza il loro soggetto.
3.
L'accidente è individuato dal soggetto. Se dunque gli
accidenti rimangono in questo sacramento senza soggetto,
non saranno individuali ma universali. Il che è falso,
perché allora non sarebbero sensibili ma intelligibili.
4. Gli accidenti in forza della consacrazione di questo sacramento
non acquistano alcuna composizione. Ma prima della consacrazione essi non erano composti né di materia e forma, né di natura
e supposito. Quindi anche dopo la consacrazione non sono composti in nessuno di questi due modi. Ora però questo è impossibile,
perché allora sarebbero più semplici degli angeli, pur essendo cose
sensibili. Perciò in questo sacramento gli accidenti non rimangono
senza il loro soggetto.
IN CONTRARIO: S. Gregorio
afferma che "le specie sacramentali
conservano i nomi delle cose esistenti prima, cioè del pane e del vino". Quindi, non restando la sostanza del pane e del vino, tali
specie rimangono senza il loro soggetto.
RISPONDO: Gli accidenti del pane e del vino, la cui permanenza
in questo sacramento dopo la consacrazione è constatata dai nostri
sensi, non hanno il loro soggetto nella sostanza del pane e del vino,
la quale, come si è detto sopra, non rimane. E neppure sussistono
nella loro forma sostanziale, poiché sparisce; e anche se restasse, "non potrebbe fare da
soggetto", come osserva Boezio. È poi
evidente che questi accidenti non hanno il loro soggetto nella
sostanza del corpo e del sangue di Cristo; perché la sostanza del
corpo umano non può rivestirsi in alcun modo di tali accidenti;
inoltre non è possibile che il corpo di Cristo glorioso e impassibile
subisca dei cambiamenti per rivestirsi di tali accidenti.
Alcuni
però sostengono che gli accidenti hanno per loro soggetto l'aria circostante. - Ma anche questo è impossibile. Primo,
perché l'aria non è suscettibile di tali accidenti. - Secondo, perché
tali accidenti non si trovano dov'è l'aria. Anzi, al muoversi delle
sacre specie, l'aria si ritrae. - Terzo, perché "gli accidenti non
passano da soggetto a soggetto"; nel senso che un accidente,
numericamente identico, non può trovarsi prima in un soggetto e
poi in un altro. Perché l'accidente deve la sua individualità al
soggetto. Quindi non può accadere che, rimanendo numericamente
identico, si trovi prima in un soggetto e poi in un altro. - Quarto,
perché l'aria, non spogliandosi dei propri accidenti, avrebbe simultaneamente gli accidenti propri e altrui. - Né si può dire che tale
trapasso avvenga miracolosamente per virtù della consacrazione:
perché le parole della consacrazione non la significano; e d'altra
parte esse non producono se non ciò che significano.
Perciò si deve concludere che in questo sacramento gli accidenti
rimangono senza soggetto. E la cosa è possibile per virtù divina.
Perché, dipendendo l'effetto dalla causa prima più ancora che dalla
causa seconda, Dio, causa prima della sostanza e dell'accidente,
con la sua infinita virtù può conservare in essere l'accidente anche
quando sia venuta meno la sostanza, la quale lo conserva in essere
in qualità di causa propria; cioè come può produrre senza le
cause naturali altri effetti delle cause naturali: come formò, p. es.,
un corpo umano nel seno della Vergine "senza seme virile".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Niente impedisce che una
cosa sia ordinata secondo la legge comune della natura, e che il
suo contrario venga ordinato secondo un privilegio speciale di
grazia, come è evidente nella risurrezione dei morti e nella illuminazione dei ciechi: del resto anche nelle relazioni umane si
concedono a certuni dei privilegi speciali al di fuori della legge comune.
E così, sebbene secondo l'ordine comune della natura gli accidenti
sussistano in un soggetto, tuttavia per una ragione speciale, secondo l'ordine della grazia, gli accidenti in questo sacramento
sussistono senza il loro soggetto, per i motivi già indicati.
2. Poiché l'ente non è un genere, non può l'essere stesso
costituire l'essenza della sostanza o dell'accidente. La frase quindi
"ente per sé senza soggetto" non è la definizione della sostanza.
Né è definizione dell'accidente "ente in un soggetto"; ma piuttosto diremo che alla quiddità o essenza della sostanza
"compete
di esistere senza un soggetto", e alla quiddità o essenza dell'accidente
"compete di esistere in un soggetto". Ora, in questo
sacramento non viene concesso agli accidenti di essere senza soggetto
in forza della loro essenza, ma per la virtù divina che li sostenta.
Quindi non cessano di essere accidenti; perché né si toglie ad essi
la loro definizione, né viene sostituita con la definizione della
sostanza.
3. Questi accidenti hanno acquistato la loro individualità dalla
sostanza del pane e del vino e, dopo che questa si è cambiata nel
corpo e nel sangue del Cristo, si conservano per virtù divina nella
loro individualità di prima. Rimangono perciò singolari e sensibili.
4. Questi accidenti, come tutti gli altri, finché rimane la sostanza
del pane e del vino, non hanno l'essere in proprio, ma lo ha in
essi la loro sostanza: la neve, p. es., ha di esser bianca per l'accidente della bianchezza. Dopo la consacrazione invece gli accidenti
che rimangono hanno l'essere in proprio. Perciò risultano composti di essere e di ciò che è
(o essenza), come si è detto nella
Prima Parte a proposito degli angeli. Inoltte essi sono composti
di parti quantitative.
ARTICOLO
2
Se in
questo sacramento le dimensioni del pane e del vino facciano
da soggetto degli altri accidenti
SEMBRA che in questo sacramento le dimensioni del pane e del
vino non facciano da soggetto degli altri accidenti. Infatti:
1.
"Non si dà accidente di un accidente": perché nessuna forma
può fare da soggetto, essendo lo star sotto proprietà della materia.
Ma la quantità, o estensione, è uno degli accidenti. Dunque la
quantità non può essere il soggetto degli altri accidenti.
2. Come la quantità, anche gli altri accidenti ricevono la loro
individuazione dalla sostanza. Se dunque la quantità, o estensione
del pane e del vino conserva l'individuazione ricevuta in precedenza, anche gli altri accidenti devono conservare quella che
avevano già nella sostanza. Perciò essi non hanno il loro soggetto
nella quantità: mentre ogni accidente deve appunto al proprio
soggetto la propria individuazione.
3. Tra gli accidenti del pane e del vino che rimangono si
riscontrano coi nostri sensi anche la rarità e la densità. Ma queste non
possono sussistere nella quantità prescindendo dalla materia: perché raro è ciò che ha poca materia in grandi dimensioni, e denso
è ciò che ha molta materia in piccole dimensioni, come spiega
Aristotele. Perciò soggetto degli accidenti che rimangono in
questo sacramento non può essere la quantità.
4. La quantità separata dal soggetto è la quantità
geometrica,
la quale non è soggetto di qualità sensibili. Ora, poiché gli accidenti che rimangono in questo sacramento sono sensibili, non
possono avere come loro soggetto la quantità, ossia le dimensioni del
pane e del vino, che rimangono dopo la consacrazione.
IN CONTRARIO: Le qualità non sono divisibili se non
indirettamente, cioè per la divisione del soggetto. Ma le qualità che
rimangono in questo sacramento si dividono per la divisione delle sue
dimensioni: come i sensi mostrano chiaramente. Dunque le dimensioni sono il soggetto degli accidenti che rimangono in questo
sacramento.
RISPONDO: È necessario che gli altri accidenti che rimangono
in questo sacramento abbiano come loro soggetto le dimensioni
rimaste del pane e del vino. Primo, perché ai nostri sensi risulta
esistente in questo sacramento una quantità estesa, dotata di colore
e di altri accidenti: e in ciò i sensi non s'ingannano.
Secondo, perché la prima disposizione della materia è la
quantità dimensionale; per cui anche Platone dava come prime
divisioni della materia la grandezza e la piccolezza. E poiché la materia
è il soggetto primordiale, ne segue che tutti gli altri accidenti
debbano riferirsi al soggetto mediante le dimensioni, cosicché il
primo soggetto del colore è la superficie: tanto che alcuni considerarono le dimensioni quale sostanza dei corpi, come riferisce
Aristotele. Ora, siccome, sparito il soggetto, gli accidenti conservano nell'Eucarestia il loro
essere di prima, ne segue che tutti gli
accidenti restano fondati sopra le dimensioni.
Terzo, perché essendo il soggetto principio d'individuazione
degli accidenti, ciò che fa da soggetto agli accidenti dev'essere in
qualche modo principio di individuazione. Ora, è proprio dell'individuo di non essere in più soggetti. E ciò può dipendere da due
ragioni. Primo, dal fatto che per sua natura una data cosa non
è fatta per essere ricevuta in un soggetto: è così che le forme
immateriali separate, sussistenti per se stesse, sono individuali
per se stesse. Secondo, può dipendere dal fatto che certe forme,
sia sostanziali che accidentali, pur essendo fatte per esistere in
qualche soggetto, non sono fatte per essere ricevute in più soggetti:
è il caso, p. es., di questo bianco che colora questo corpo. Ebbene
rispetto alle prime il principio d'individuazione per tutte le forme
che le sono inerenti è la materia; perché, dovendo per natura tali
forme essere ricevute da un soggetto, quando una di esse viene
ricevuta nella materia, la quale non sussiste in altro soggetto, da
quel momento codesta forma stessa non può più essere in altri
soggetti. Rispetto alle seconde invece, principio d'individuazione
è la quantità, ossia le dimensioni. Infatti una forma in tanto è
limitata a sussistere in un solo soggetto, in quanto questo è indivisibile in sé e distinto da ogni altro. Ora, la sostanza diventa
divisibile in forza della quantità, come osserva Aristotele. Perciò
le dimensioni sono il principio d'individuazione per tali forme, nel
senso che a parti diverse della materia corrispondono forme distinte
numericamente. Cosicché la quantità per se stessa (nelle sue dimensioni) ha una certa individuazione: al punto che possiamo
immaginare più linee della identica specie, le quali però differiscono
per la loro posizione, posizione che rientra in questo tipo di quantità; la dimensione infatti è
"una quantità avente posizione".
Ecco perché la capacità ad essere soggetto degli altri accidenti va
attribuita più alla quantità che ad altri accidenti.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Un accidente non può essere
di per sé il soggetto di un altro accidente, perché non ha un proprio essere. Però in quanto un accidente è nella sostanza, si può
dire che fa da soggetto a un altro accidente, se l'altro è ricevuto
dalla sostanza mediante il primo: e così la superficie può dirsi
soggetto del colore. Perciò quando a un accidente viene concesso
da Dio di esistere per sé, gli viene anche concesso di essere soggetto di altri
accidenti.
2. Gli altri accidenti, anche considerati nella sostanza del pane,
venivano individuati tramite la quantità dimensionale, come si
è detto. Ed è per questo che la quantità è soggetto degli altri
accidenti in questo sacramento, piuttosto che viceversa.
3. Rarità e densità sono qualità che i corpi derivano dall'avere
essi dentro le loro dimensioni poca o molta materia: al pari di
tutti gli altri accidenti esse derivano dai principi della sostanza.
Perciò, come sparendo la sostanza vengono conservati per virtù
divina gli altri accidenti; così sparendo la materia si conservano
per virtù divina le qualità derivanti dalla materia, cioè la rarità
e la densità.
4. La quantità matematica astrae non dalla materia intelligibile,
ma dalla materia sensibile, come dice Aristotele. Ora, la materia
può dirsi sensibile, perché è rivestita di qualità sensibili. È ovvio
quindi che la quantità, che in questo sacramento rimane priva di
soggetto, non è la quantità matematica.
ARTICOLO
3
Se le specie che rimangono in questo sacramento possano agire sulle
cose esterne
SEMBRA che le specie rimaste in questo sacramento non possano
agire sulle cose esterne. Infatti:
1. Aristotele dimostra che le forme esistenti nella materia vengono
prodotte da altre forme presenti nella materia, non già da
forme separate dalla materia; perché ogni agente agisce sugli enti
che sono al suo stesso livello. Ma le specie sacramentali sono
specie prive di materia, poiché, come risulta da quanto si è detto,
esse rimangono senza soggetto. Dunque non possono agire sulla
materia esterna inducendo in essa delle forme.
2. Cessando l'azione dell'agente principale, è inevitabile che
cessi l'azione dello strumento: così fermandosi il fabbro, non si
muove il martello. Ma tutte le forme accidentali agiscono strumentalmente in virtù della forma sostanziale che è l'agente
principale. Perciò, non rimanendo in questo sacramento la forma
sostanziale del pane e del vino, come si è detto sopra, le superstiti
forme accidentali non possono agire sulla materia esterna.
3. Niente può agire oltre i limiti della propria natura, non
potendo l'effetto essere superiore alla causa. Ora, tutte le specie
sacramentali sono accidenti. Non possono quindi agire sulla materia esterna, così almeno da cambiarne la forma sostanziale.
IN CONTRARIO: Se non potessero agire sui corpi esterni, non
potrebbero essere avvertite dai nostri sensi; perché una cosa si
sente in quanto essa modifica i nostri sensi, come dice Aristotele.
RISPONDO: Poiché ogni ente agisce in quanto è in atto, è chiaro
che per ogni ente il modo di agire è identico al suo modo di essere.
Ora, siccome alle specie sacramentali è dato per virtù divina di
rimanere nell'essere che avevano quando sussisteva la sostanza del
pane e del vino, è logico che conservino anche il loro modo di agire.
Quindi tutte le funzioni, che potevano avere quando era presente
la sostanza del pane e del vino, possono essere compiute da esse
anche quando la sostanza del pane e del vino si converte nel corpo
e nel sangue di Cristo. Perciò non c'è dubbio che esse possono
agire sui corpi esterni.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Le specie sacramentali, sebbene siano forme prive di materia, conservano tuttavia il medesimo
essere che avevano nella materia. Perciò in base a questo loro
essere sono simili alle forme esistenti nella materia.
2. L'agire della forma accidentale dipende dall'agire della forma
sostanziale, come l'essere dell'accidente dipende dall'essere della
sostanza. Quindi come per virtù divina è concesso alle specie
sacramentali di poter sussistere senza la sostanza, così è concesso
loro di poter agire senza la forma sostanziale per intervento di
Dio, da cui, come da primo agente, dipende l'agire di ogni forma
e sostanziale e accidentale.
3. La trasmutazione che porta a un'altra forma sostanziale non
viene prodotta dalla forma sostanziale direttamente, ma mediante
le qualità attive e passive che agiscono in virtù della forma sostanziale. Ora, questa virtù
strumentale rimane come prima nelle
specie sacramentali per l'intervento di Dio. Ecco perché codeste
qualità strumentalmente possono mutare la forma sostanziale: allo
stesso modo che un dato essere può agire oltre la propria natura,
non per virtù sua, ma per virtù dell'agente principale.
ARTICOLO 4
Se le specie
sacramentali possano corrompersi
SEMBRA che le specie sacramentali non possano corrompersi.
Infatti:
1. La corruzione avviene per la separazione della forma dalla
materia. Ma la forma del pane, come sopra abbiamo spiegato,
non resta in questo sacramento. Perciò le specie suddette non
possono corrompersi.
2. Una forma non può corrompersi che indirettamente per la
corruzione del soggetto: tanto è vero che le forme per sé sussistenti
sono incorruttibili, come vediamo nel caso delle sostanze spirituali.
Ma le specie sacramentali sono forme prive di soggetto. Dunque
non possono corrompersi.
3. Se si corrompono, ciò accadrà o naturalmente o
miracolosamente. Ma non può accadere naturalmente, non essendo possibile
individuare il soggetto della corruzione che perduri dopo la corruzione. E non può accadere miracolosamente, perché i miracoli
compiuti in questo sacramento avvengono in virtù della consacrazione, la quale mira a conservare le specie sacramentali, e una
stessa cosa non può essere causa di conservazione e di corruzione.
Perciò le specie sacramentali non possono corrompersi in nessuna
maniera.
IN CONTRARIO: I nostri sensi avvertono che le ostie consacrate
imputridiscono e si corrompono.
RISPONDO: Corruzione è
"il passare dall'essere al non essere".
Ma le specie sacramentali, abbiamo detto sopra, mantengono lo
stesso essere che avevano prima, quando sussisteva la sostanza del
pane e del vino. Perciò, come l'essere di tali accidenti poteva corrompersi nella sostanza del pane e del vino, così può
corrompersi
quando quella sostanza viene a mancare.
Ma prima tali accidenti potevano corrompersi in due modi:
direttamente e indirettamente. Direttamente, sia per l'alterarsi
delle qualità, che per aumento o diminuzione della quantità: non
già per crescita o decrescita come nei corpi animati, non essendo
animata la sostanza del pane e del vino, ma per addizione o per
divisione; infatti, come nota Aristotele, con la divisione di una
dimensione se ne fanno due, e al contrario con l'addizione di due
se ne fa una. In tal modo possono evidentemente corrompersi
gli accidenti eucaristici dopo la consacrazione, sia perché la
quantità del sacramento può essere soggetta a divisione e addizione; sia perché, essendo essa soggetto delle qualità sensibili, come si è
detto, può anche essere soggetto delle loro alterazioni, p. es., del
colore e del sapore del pane o del vino.
Inoltre le specie del pane e del vino prima della consacrazione
potevano corrompersi indirettamente per la corruzione del loro
soggetto. E in questa maniera possono corrompersi anche dopo
la consacrazione. Sebbene infatti non rimanga il loro soggetto,
rimane tuttavia l'essere che tali accidenti avevano nel loro soggetto, un essere proprio e connaturale ad esso. Perciò questo
essere può venir corrotto da un agente contrario, come da questo
poteva essere corrotta la sostanza del pane e del vino: che pure
non si corrompeva se non a seguito dell'alterazione degli accidenti.
Occorre però ben distinguere questi due modi di corrompersi.
Siccome infatti il corpo e il sangue di Cristo succedono in questo
sacramento alla sostanza del pane e del vino, qualora intervenga
da parte degli accidenti un cambiamento insufficiente a corrompere
il pane e il vino, con tale mutazione non cessano di essere nel
sacramento il corpo e il sangue di Cristo: sia che il cambiamento
avvenga nelle qualità, p. es., mediante una lieve alterazione del
colore o del sapore del pane e del vino; sia che avvenga nella
quantità, p. es., mediante la divisione delle specie in parti che
possono conservare in sé la natura del pane e del vino. - Se invece
intervenisse un cambiamento così profondo che avrebbe corrotto
la sostanza del pane e del vino, non rimangono il corpo e il sangue
di Cristo sotto questo sacramento. E ciò tanto da parte delle
qualità, come quando il colore, il sapore e le altre qualità del pane
e del vino si guastano in modo tale che la sostanza del pane e del
vino non lo sopporta; quanto da parte della quantità, qualora,
p. es., il pane, o il vino venisse polverizzato in parti così minute
da far scomparire le specie del pane e del vino.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. La corruzione propriamente
ha il compito di far cessare l'essere che una forma ha nella materia; perciò è necessario che la corruzione separi la forma dalla
materia. Se invece tale essere non si trovasse nella materia, e fosse
tuttavia identico all'essere che si trova nella materia, potrebbe
corrompersi anche in assenza della materia: ciò appunto avviene
in questo sacramento, come risulta da quanto abbiamo detto.
2. Le specie sacramentali, sebbene siano forme senza materia,
conservano tuttavia l'essere che prima avevano nella materia.
3. La corruzione delle specie sacramentali non è miracolosa, ma
naturale: presupponendo però il miracolo compiutosi nella consacrazione, e cioè che quelle specie sacramentali mantengano senza il
soggetto l'essere che prima avevano nel soggetto; allo stesso modo che
un cieco guarito in maniera miracolosa ci vede in maniera naturale.
ARTICOLO 5
Se dalle specie sacramentali
possa generarsi qualche cosa
SEMBRA che nulla possa generarsi dalle specie sacramentali.
Infatti:
1. Ciò che si genera, si genera dalla materia: infatti dal
nulla
nulla si genera, sebbene dal nulla derivi qualche cosa per creazione.
Ma sotto le specie sacramentali non c'è altra materia che quella del
corpo di Cristo, che è incorruttibile. Dunque dalle specie sacramentali niente si può generare.
2. Tra cose che non sono dello stesso genere, una non può
generarsi dall'altra: dalla bianchezza, p. es., non può prodursi una
linea. Ma l'accidente e la sostanza differiscono nel genere. Perciò
le specie sacramentali, essendo accidenti, non è possibile che da
esse derivi una sostanza.
3. Se da esse si generasse una sostanza corporea, questa non
sarebbe senza i suoi accidenti. Se dunque dalle specie sacramentali si generasse una sostanza corporea, dagli accidenti dovrebbero
nascere sia la sostanza che gli accidenti, ossia due cose da una: il
che è impossibile. È quindi impossibile che dalle specie sacramentali si generi una sostanza corporea.
IN CONTRARIO: Si può vedere con i sensi che dalle specie
sacramentali si genera qualche cosa: la cenere, se vengono bruciate;
i vermi, se vanno in putrefazione; o la polvere, se vengono tritate.
RISPONDO: Poiché, come dice Aristotele,
"la corruzione di una
cosa è generazione di un'altra", è inevitabile che dalle specie sacramentali, quando si corrompono, si generi qualche altra cosa. Infatti
non si corrompono così da sparire completamente, come se venissero annichilate; ma ad esse succede in modo evidente un'entità
sensibile.
In che modo però da esse possa generarsi qualche cosa, è difficile
a comprendersi. Infatti è chiaro che dal corpo e dal sangue di
Cristo, ivi realmente presenti, non si genera nulla, trattandosi di
realtà incorruttibili. Se invece rimanesse in questo sacramento la
sostanza o la materia del pane e del vino, sarebbe facile veder
generata da esse, come alcuni ritennero, l'entità sensibile successiva. Ciò però è falso per quanto si è detto sopra.
Alcuni
perciò hanno asserito che gli elementi generati non provengono dalle specie sacramentali, ma dall'aria circostante. - Ma
questo risulta impossibile per molte ragioni. Primo, perché quando si genera una cosa da un'altra, quest'ultima precedentemente
appare alterata e corrotta. Ora, nell'aria circostante non si manifesta in precedenza nessuna alterazione e corruzione. Non è da
essa perciò che hanno origine i vermi e le ceneri. - Secondo, perché
la natura dell'aria non è tale da poter produrre con simili alterazioni
codeste cose. - Terzo, perché può accadere che bruci o si corrompa
una grande quantità di ostie consacrate: e con l'aria non sarebbe
possibile generare altrettanta materia, se non rendendo molto
spessa una grande quantità di aria. - Quarto perché in tale trasformazione dovrebbero essere coinvolti anche i corpi solidi
circostanti, p. es., il ferro o le pietre (su cui poggia il
sacramento), che
invece dopo la generazione delle suddette cose risultano invariati.
- Perciò questa è un'affermazione insostenibile, perché contraria
alle constatazioni dei nostri sensi.
Altri
perciò hanno insegnato che nel momento della corruzione
delle specie ritornerebbe la sostanza del pane e del vino, e così
dalla ritornata sostanza del pane e del vino verrebbero generati
le ceneri, i vermi e altre simili cose. Ma anche questa opinione
è inaccettabile. Primo, perché se la sostanza del pane e del vino
si è convertita nel corpo e nel sangue di Cristo, come si è detto
sopra, non può ritornare a esistere se non per la riconversione del
corpo e del sangue di Cristo nella sostanza del pane e del vino, il
che è impossibile: come non può tornare ad esistere l'aria convertitasi in fuoco, se non per la riconversione del fuoco in aria. Se
poi la sostanza del pane e del vino fu annichilata, non può tornare ad esistere, perché ciò che è caduto nel nulla, non può tornare
numericamente identico a quello di prima: a meno che non si
denomini ritorno della sostanza precedente il fatto che Dio ne
crea una nuova al posto della prima. - Secondo, ciò è impossibile,
perché non si può assegnare il tempo in cui la sostanza del pane
e del vino dovrebbe ritornare. Infatti si è dimostrato sopra che
per tutta la durata delle specie del pane e del vino rimane il corpo
e il sangue di Cristo, i quali, secondo le spiegazioni già date, non
possono esser presenti in questo sacramento assieme alla sostanza
del pane e del vino. Cosicché tale sostanza non può ritornare
finché durano le specie sacramentali. Parimenti tale sostanza non
può tornare quando esse spariscono, perché allora la sostanza del
pane e del vino verrebbe a trovarsi assurdamente senza i propri
accidenti. - A meno che non si affermi che nell'ultimo istante
della corruzione delle specie ritorna non la sostanza del pane e
del vino, essendo quello l'istante medesimo in cui si presentano
le sostanze generate dalle specie, bensì la materia del pane e del
vino, che propriamente parlando si dovrebbe dire creata di nuovo
piuttosto che ritornata. In questo senso la suddetta opinione
sarebbe ancora sostenibile.
Tuttavia, poiché non sembra ragionevole ammettere miracoli in
questo sacramento se non in dipendenza della consacrazione, la
quale non importa né creazione né ritorno di materia, è meglio
asserire che nella consacrazione stessa viene concesso miracolosamente alla quantità, ossia alle dimensioni del pane e del vino, di
essere il primo soggetto delle forme successive. Ora, questa è una
proprietà della materia. Di conseguenza è concesso alla suddetta
quantità tutto ciò che spetta alla materia. E così quanto potrebbe
generarsi dalla materia del pane e del vino se fosse presente, può
generarsi dalla suddetta quantità propria del pane e del vino;
non per un nuovo miracolo, ma in forza del miracolo già compiuto (nella
consacrazione).
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Sebbene (nelle sacre specie)
non ci sia la materia per generare qualche cosa, c'è tuttavia la
quantità, o estensione a far le veci della materia, come si è detto.
2. Le specie sacramentali sono degli accidenti, esse però,
secondo le spiegazioni date, hanno le funzioni e le virtù della sostanza.
3. Le dimensioni proprie del pane e del vino conservano la
propria natura e ricevono miracolosamente le virtù e le proprietà
della sostanza. Ecco perché esse possono trasformarsi in ambedue
le cose: in una nuova sostanza e nelle sue dimensioni.
ARTICOLO 6
Se le specie sacramentali possano nutrire
SEMBRA che le specie sacramentali non possano nutrire. Infatti:
1. S. Ambrogio ha scritto:
"Non è questo un pane che finisce
nel nostro corpo, ma è il pane della vita eterna che alimenta la
sostanza della nostra anima". Ora, ogni cosa che nutre, finisce
nel nostro corpo. Dunque questo pane non nutre. E lo stesso
vale per il vino.
2.
"Ci nutrono le cose stesse che ci donano l'essere", dice
Aristotele. Ma le specie sacramentali sono accidenti, i quali non
possono costituire l'uomo, non essendo l'accidente parte della sostanza.
Dunque le specie sacramentali non possono nutrire.
3. Il Filosofo afferma che
"l'alimento nutre perché è una sostanza, fa invece crescere perché dotato di quantità". Ma le specie
sacramentali non sono sostanza. Dunque non possono nutrire.
IN CONTRARIO: L'Apostolo parlando di questo sacramento
scrive: "C'è chi resta con la fame e chi si ubriaca", e la Glossa commenta:
"Rimprovera coloro che dopo la celebrazione del sacro
mistero e la consacrazione del pane e del vino si riprendevano le
proprie offerte, e senza farne parte agli altri le consumavano da
soli, così da ubriacarsi perfino". Ora, ciò non sarebbe potuto
accadere, se le specie sacramentali non nutrissero. Dunque le specie sacramentali nutrono.
RISPONDO: L'attuale quesito non presenta difficoltà dopo la
risposta data a quello precedente. Difatti, come dice Aristotele,
in tanto il cibo nutre in quanto si cambia nella sostanza di chi
si alimenta. Ma abbiamo già detto che le specie sacramentali possono convertirsi in una sostanza che si genera da esse. Ora, per
la stessa ragione per cui possono convertirsi in cenere e in vermi,
possono convertirsi nel corpo umano. Quindi è chiaro che nutrono.
L'opinione di alcuni
poi, secondo la quale esse non nutrirebbero
in senso proprio convertendosi in corpo umano, ma ristorando e
sostenendo tramite un influsso sui sensi, come l'odore del cibo
può ristorare e l'odore del vino inebriare, risulta falsa alla prova
dei sensi. Infatti un simile ristoro non è durevole per l'uomo, il
cui corpo ha bisogno di compensare continue perdite. E tuttavia
l'uomo potrebbe sostenersi a lungo consumando in grande quantità ostie e vino consacrati.
Similmente non può reggersi l'opinione di chi dice che le specie
sacramentali nutrono mediante la forma sostanziale del pane e del
vino, la quale rimarrebbe. Sia perché essa non rimane, come sopra
abbiamo dimostrato. - Sia perché nutrire non è compito della
forma, ma piuttosto della materia, la quale riceve la forma di chi
si nutre e perde quella dell'alimento. Aristotele infatti osserva che
il cibo è dissimile all'inizio, mentre alla fine è simile.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Dopo la consacrazione si può
parlare di pane, in questo sacramento, in due sensi. Primo, indicando come pane le specie
del pane che mantengono il nome della
sostanza di prima: e in tal senso lo usa S. Gregorio nell'omelia di
Pasqua. Secondo, si può chiamare pane lo stesso corpo di Cristo
che è mistico pane "disceso dal cielo". Perciò quando S. Ambrogio
dice che "questo pane non finisce nel nostro corpo", usa il termine
pane nel secondo senso: poiché il corpo di Cristo non si converte
nel corpo dell'uomo, ma ristora il suo spirito. Egli perciò non
parla di pane nel primo senso.
2. Le specie sacramentali, sebbene non siano tra le parti
costitutive del corpo umano, tuttavia si convertono in esse, come si
è detto.
3. Le specie sacramentali, pur non essendo sostanza, hanno
nondimeno le virtù della sostanza, come sopra abbiamo spiegato.
ARTICOLO
7
Se in questo sacramento le specie sacramentali subiscano la frattura
SEMBRA che in questo sacramento la frazione non possa
raggiungere le specie sacramentali. Infatti:
1. Aristotele attribuisce la frangibilità dei corpi alla loro
porosità. Ma questa non può attribuirsi alle specie sacramentali.
Dunque le specie sacramentali non sono frangibili.
2. La frattura è accompagnata dal suono. Ma le specie
sacramentali non producono suono: poiché, come dice il Filosofo, sonoro
è un corpo duro avente superficie leggera. Dunque le specie sacramentali non sono soggette a frattura.
3. Frangere sembra identico a masticare. Ora, ciò che qui si
mangia è il vero corpo di Cristo, stando alle sue parole: "Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue...". Dunque è il corpo
di Cristo che si frange e si mastica. Difatti anche nella professione
di Berengario si legge: "Consento con la santa Chiesa Romana, e
confesso con il cuore e con le labbra che il pane e il vino presenti
sull'altare sono, dopo la consacrazione, il vero corpo e sangue di
Cristo, il quale viene toccato dalle mani dei sacerdoti, nonché
franto e masticato dai denti dei fedeli". Non è dunque alle specie
sacramentali che deve attribuirsi la frazione.
IN CONTRARIO: La frazione avviene con la divisione della
quantità. Ma nell'Eucarestia non si divide altra quantità che
quella
delle specie sacramentali: poiché non si divide né il corpo di Cristo
che è immutabile, né la sostanza del pane che sparisce. Dunque
si frangono le specie sacramentali.
RISPONDO: Presso gli antichi
ci furono in proposito molte
opinioni. Alcuni infatti dissero che la frazione non avveniva in
questo sacramento secondo la realtà oggettiva, ma solo secondo
l'impressione visiva degli astanti. - Questo però non è sostenibile.
Perché in questo sacramento di verità i sensi non s'ingannano
sugli oggetti di loro competenza: e tra questi c'è la frazione che
divide una cosa in più parti, e queste cose rientrano tra i sensibili
comuni, come nota Aristotele.
Altri perciò dissero che nell'Eucarestia c'è una vera frazione,
senza incidere sulla sostanza. - Ma anche questa opinione contraddice i nostri sensi.
Appare infatti in questo sacramento un
soggetto quanto, il quale, prima compatto, viene poi diviso in molte
parti: e questo quanto è necessariamente il soggetto della frazione.
D'altronde non si può dire che si franga il vero corpo di Cristo.
Primo, perché è incorruttibile e impassibile. - Secondo, perché è
presente tutto intero in ciascuna parte, come si è detto prima:
e ciò è inconciliabile con la sua frazione.
Resta dunque che la frazione, come gli altri accidenti, ha per
soggetto le dimensioni quantitative del pane. E come le specie
sacramentali sono il sacramento del vero corpo di Cristo, così tale
frazione delle specie è il sacramento o simbolo della passione sofferta dal vero corpo di Cristo.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Nelle specie sacramentali, come rimangono la rarità e la densità, conforme a quanto si è detto
sopra, così rimane anche la porosità, e di conseguenza la frangibilità.
2. La durezza segue la densità. Perciò quando le specie
sacramentali sono dense, sono anche dure: e con la durezza è
naturalmente connessa la sonorità.
3. Ciò che viene mangiato nella propria specie, viene anche
franto e masticato nella propria specie. Ma il corpo di Cristo non
viene mangiato nella propria specie, bensì sotto le specie sacramentali. Perciò S. Agostino, spiegando le parole evangeliche,
"La
carne non giova a nulla", scrive: "Esse si riferiscono a coloro che
le interpretavano carnalmente. Avevano capito cioè che si trattasse di carne come quella fatta a pezzi in un animale ucciso, o
venduta al macello". Quindi non è il corpo vero di Cristo che si
frange, se non sotto le specie sacramentali. - Ed è in questo senso
che va intesa la professione di Berengario: la frazione e la triturazione dei denti si riferiscono alle specie sacramentali, sotto le
quali è presente il corpo di Cristo.
ARTICOLO
8
Se col vino consacrato si possano mescolare altri liquidi
SEMBRA che col vino consacrato non si possano mescolare altri
liquidi. Infatti:
1. Il liquido che si mesce, prende le qualità del liquido in cui
si mesce. Ma nessun liquido può prendere le qualità delle specie
sacramentali, essendo esse accidenti senza sostanza, come si è
detto. Dunque nessun liquido può mescolarsi con le specie sacramentali del vino.
2. Se un liquido si mescolasse con quelle specie, necessariamente
ne deriverebbe un composto unico. Ora non è possibile comporre
un'unica cosa, né con il liquido suddetto che è una sostanza e le
specie sacramentali che sono degli accidenti, né combinando codesto liquido con il sangue di Cristo, il quale a motivo della sua
incorruttibilità non ammette addizioni o sottrazioni. Perciò nessun
liquido può mescolarsi col vino consacrato.
3. Se col vino consacrato si potesse mescolare altro liquido,
anch'esso dovrebbe diventare consacrato, come l'acqua che si
versa nell'acqua benedetta diventa anch'essa benedetta. Ma il
vino consacrato è sangue di Cristo. Quindi anche il liquido aggiunto diventerebbe sangue di Cristo. In tal caso una sostanza
diverrebbe sangue di Cristo per una via diversa dalla consacrazione: il che è inammissibile. Dunque nessun liquido può
mescolarsi col vino consacrato.
4. Se mescolando due cose una di esse si corrompe totalmente,
non si ha più un composto, come osserva Aristotele. Ma l'aggiunta di qualsiasi liquido corrompe la specie sacramentale del
vino, cosicché cessa di essere sotto di essa il sangue di Cristo. Sia
perché il più e il meno sono differenze che distinguono e differenziano la quantità, come il bianco e il nero distinguono il colore.
Sia perché il liquido aggiunto, non trovando ostacolo alcuno, si
diffonde per tutte le specie consacrate: così viene a cessare in esse
la presenza del sangue di Cristo, il quale non può esservi presente
insieme ad altra sostanza. Perciò nessun altro liquido può mescolarsi col vino consacrato.
IN CONTRARIO: I sensi constatano che altri liquidi si possono
mescolare col vino dopo la consacrazione, esattamente come
prima.
RISPONDO:
La soluzione del presente quesito deriva
chiaramente da quanto si è già detto. Infatti sopra abbiamo spiegato
che le specie, le quali rimangono in questo sacramento, come in
virtù della consacrazione acquistano il modo di essere della sostanza, così acquistano di essa anche il modo di agire e di patire: ossia
la capacità di fare e di ricevere quanto farebbe o riceverebbe la
sostanza, se fosse ivi presente. Ora, è chiaro che se là ci fosse la
sostanza del vino, con essa si potrebbe mescolare altro liquido.
L'effetto però di tale aggiunta sarebbe diverso secondo la
qualità e la quantità del liquido. Se infatti si aggiungesse in tanta
quantità da potersi diffondere in tutto il vino, rimarrebbe tutto
mescolato. Ora, ciò che è composto da due cose, non è più né
l'una né l'altra delle due, ma tanto l'una che l'altra si converte
nel composto che ne risulta. E in questo caso se il liquido aggiunto al vino fosse di altra natura, ne seguirebbe che il vino di
prima cesserebbe di esistere. - Se invece il liquido aggiunto al
vino fosse della stessa natura, p. es., altro vino, rimarrebbe la
natura del vino, ma il vino non rimarrebbe numericamente lo
stesso. E lo dimostra la diversità degli accidenti: quando l'uno
fosse vino bianco e l'altro rosso.
Se però il liquido aggiunto fosse tanto poco da non
potersi diffondere per tutto, il vino non rimarrebbe mescolato in tutto ma
solo in una sua parte. Questa evidentemente cambierebbe d'individualità per l'aggiunta di materia estranea. Il tutto però
conserverebbe la medesima natura, non solo se quel poco liquido
versatovi fosse vino, ma anche se fosse di altra natura, perché una
goccia d'acqua versata in molto vino si cambia in vino, come
osserva Aristotele.
Ebbene, negli articoli precedenti si è dimostrato che il corpo
e il sangue di Cristo rimangono in questo sacramento finché le
specie conservano la propria identità numerica: poiché ad esser
consacrato fu questo pane e questo vino determinato. Di conseguenza se si facesse un'aggiunta di liquido qualsiasi in tanta misura
da diffondersi in tutto il vino consacrato e da fare miscuglio con
esso, sparirebbe l'identità numerica e cesserebbe la presenza del
sangue di Cristo. Se invece si aggiungesse un liquido in misura
così scarsa da non potersi diffondere per tutto, ma solo per una
parte delle specie, la presenza del sangue di Cristo cesserebbe in
quella parte e rimarrebbe nelle altre.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Innocenzo III in una Decretale dichiara che "gli accidenti si fondono con il vino aggiunto;
perché, se si aggiungesse dell'acqua, essa prenderebbe il sapore
del vino. Accade così che gli accidenti mutano soggetto, come
accade anche che il soggetto muti accidenti. La natura così cede
al miracolo e la virtù divina opera fuori dell'ordine consueto".
Questo però non si deve intendere nel senso che i medesimi accidenti passino numericamente dal vino consacrato al vino aggiunto,
ma tale mutamento avviene a seguito di un'azione. Infatti gli
accidenti del vino che rimangono, conservano le funzioni della
sostanza, come si disse: e quindi è con una trasmutazione che
raggiungono il liquido aggiunto.
2. Il liquido aggiunto al vino consacrato non si mescola affatto
alla sostanza del sangue di Cristo. Si mescola però alle specie
sacramentali: tuttavia con tale mescolanza le dette specie si corrompono o in tutto o in parte, in conformità con quanto si disse
sulla possibilità che da quelle specie si generi qualche altra cosa.
Se si corrompono in tutto, non c'è altro da cercare: perché non
ci sarà più che un tutto nuovo uniforme. Se invece si corrompono
in parte, ci sarà un'unità di dimensioni e di massa quantitativa,
ma non di sostanza, perché una parte di esse sarà priva di soggetto e un'altra legata alla sostanza; come se si formasse un corpo
di due metalli: per la quantità sarà un corpo soltanto, ma non
sarà un corpo omogeneo rispetto alla natura dei metalli.
3. Come dice Innocenzo III nella Decretale suddetta,
"se dopo
la consacrazione del vino s'infonde nel calice altro vino, questo
non si cambia nel sangue, né si mescola al sangue; ma mescolandosi
agli accidenti del vino di prima, circonda d'ogni parte il sangue
di Cristo ivi presente, senza mescolarsi con esso". Ciò deve intendersi per il caso in cui l'aggiunta del liquido estraneo non sia
tanta da far cessare totalmente la presenza del sangue di Cristo.
Allora si dice che lo "circonda d'ogni parte", non perché venga
a contatto del sangue di Cristo secondo le dimensioni proprie di
lui, ma secondo le dimensioni sacramentali in cui è contenuto. -
Diverso è invece il caso dell'acqua benedetta: perché quella benedizione non produce alcun cambiamento nella sostanza dell'acqua,
come invece la produce la consacrazione del vino.
4. Alcuni
hanno asserito che, per quanto piccola sia l'aggiunta
di liquido estraneo, la sostanza del sangue di Cristo cessa di essere
sotto tutta la specie. La ragione è quella riferita dall'argomento.
Ma non è una ragione valida. Perché il più e il meno diversificano
la quantità estesa non nella sua essenza, ma nelle sue dimensioni.
Inoltre il liquido aggiunto può essere così scarso da non potersi
diffondere dovunque, e quindi neppure nelle dimensioni: le quali,
come abbiamo già spiegato, sebbene siano prive di soggetto, tuttavia oppongono a un altro liquido tanta resistenza quanta ne
opporrebbe la sostanza se fosse presente.
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