L'Eucarestia
Somma Teologica III, q. 78
La forma di questo sacramento
Passiamo ora a esaminare la forma di questo
sacramento.
In proposito si pongono sei quesiti:
1. Quale sia la forma di
questo sacramento; 2. Se la forma della consacrazione del pane
sia conveniente. 3. Se lo sia la forma della consacrazione del sangue; 4. L'efficacia di entrambe le forme; 5. La loro veridicità;
6. Il loro confronto reciproco.
ARTICOLO
1
Se la forma di questo sacramento sia la seguente:
"Questo è il mio corpo", e: "Questo è il calice del mio
sangue"
SEMBRA che la forma di questo sacramento non sia la seguente:
"Questo è il mio corpo ", e: "Questo è il calice del mio sangue".
Infatti:
1. Appartengono alla forma del sacramento le parole con le quali
Cristo consacrò il suo corpo e il suo sangue. Ma Cristo, come dice
il Vangelo, prima benedisse il pane che aveva preso in mano, e
dopo soltanto disse: "Prendete e mangiate: questo è il mio corpo"; altrettanto fece con il calice. Dunque le suddette parole
non sono la forma di questo sacramento.
2. Eusebio di Emesa
dice che "l'invisibile sacerdote converte
nel suo corpo le visibili creature, dicendo: Prendete e mangiate,
questo è il mio corpo". Dunque appartiene alla forma del sacramento tutta la frase. Lo stesso vale per le parole riguardanti il
sangue.
3. Nella forma del battesimo si esprime la persona del ministro
e la sua azione, dicendo: "Io ti battezzo". Ma nelle suddette
parole non c'è allusione alcuna alla persona del ministro né alla
sua azione. Dunque non è conveniente la forma di questo sacramento.
4. La forma del sacramento basta da sola a fare il sacramento,
cosicché il sacramento del battesimo si può conferire a volte con
le sole parole della forma, tralasciando tutte le altre. Se dunque
le suddette parole sono la forma di questo sacramento, sarà possibile eventualmente celebrare questo sacramento proferendo queste
parole soltanto, omettendo tutte le altre che si dicono nella messa.
Ciò tuttavia è falso, perché, se si omettessero le altre, le suddette
parole s'intenderebbero come se il sacerdote le pronunziasse in
nome proprio, mentre il pane e il vino non si convertono nel corpo
e nel sangue del sacerdote. Perciò le parole suddette non sono la
forma di questo sacramento.
IN CONTRARIO: S. Ambrogio scrive:
"La consacrazione si fa
con le parole e le affermazioni del Signore Gesù. Infatti con tutte
le altre parole si loda Dio, si supplica per il popolo, per i re, per
tutti gli altri. Ma quando compie il venerabile sacramento, il
sacerdote non si serve più delle proprie espressioni, bensì delle
parole di Cristo. Perciò è la parola di Cristo che compie questo
sacramento".
RISPONDO: Questo sacramento differisce dagli altri sacramenti
in due cose. Primo, per il fatto che si compie mediante la consacrazione della materia; mentre gli altri sacramenti si compiono
mediante l'uso della materia consacrata. - Secondo, per il fatto
che negli altri sacramenti la consacrazione della materia consiste
solo in una benedizione, per la quale la materia consacrata riceve
strumentalmente una virtù spirituale che dal ministro, strumento
animato, può passare in strumenti inanimati. Al contrario in
questo sacramento la consacrazione della materia consiste in una
miracolosa conversione della sostanza, che Dio solo può compiere. Perciò nel fare questo sacramento il ministro non ha altro ufficio
che quello di proferire le parole.
E poiché la forma dev'essere adeguata alla realtà,
conseguentemente la forma di questo sacramento differisce in due maniere
dalle forme degli altri sacramenti. Primo, nel fatto che le forme
degli altri sacramenti esprimono l'uso della materia: p. es., battezzare o confermare; mentre la forma di questo sacramento
esprime solo la consacrazione della materia, che consiste nella transustanziazione, e cioè con le espressioni:
"Questo è il mio corpo",
e "Questo è il calice del mio sangue". - Secondo, perché le forme
degli altri sacramenti vengono proferite dal ministro in persona
propria, sia in atto di fare, come quando si dice: "Io ti battezzo"
o "Io ti confermo"; sia in atto di comandare, come quando nel
sacramento dell'ordine si dice: "Ricevi il potere..."; sia in atto
d'intercedere, come nel sacramento dell'estrema unzione: "Per
questa unzione e per la nostra intercessione...". Al contrario la
forma di questo sacramento viene proferita in persona di Cristo
stesso che parla (direttamente): in modo da far intendere che il
ministro nella celebrazione di questo sacramento non fa nient'altro
che proferire le parole di Cristo.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Ci sono in proposito molte
opinioni. Alcuni sostennero che Cristo, avendo potere di eccellenza sui sacramenti,
compì questo sacramento senza alcuna forma
verbale e dopo pronunziò le parole con le quali gli altri dovevano
consacrare. Ciò sembra intendere Innocenzo III quando scrive: "Si può dire senza dubbio che Cristo prima consacrò per virtù
divina, e poi espresse la forma con la quale avrebbero consacrato
gli altri". - Ma contro questa opinione sta l'esplicita affermazione
del Vangelo, in cui si dice che Cristo "benedisse": la quale benedizione fu fatta certamente con delle parole. Perciò la frase
riferita di Innocenzo III esprime più un'opinione che una
determinazione.
Altri
invece sostennero che quella benedizione fu fatta con
delle parole che non conosciamo. - Ma nemmeno questo può stare.
Perché la benedizione della consacrazione ora si compie ripetendo
quanto fu fatto allora. Quindi se allora la consacrazione non avvenne in forza di queste parole, non avverrebbe neppure ora.
Perciò
altri affermarono che quella benedizione fu fatta anche
allora con le stesse parole con le quali avviene adesso, ma Cristo
le pronunziò due volte: prima segretamente per consacrare, poi
manifestamente per istruire. - Ma neppure questo è sostenibile.
Perché il sacerdote consacra proferendo queste parole, non come
dette da Cristo nella benedizione segreta, bensì come pronunziate
da lui palesemente. Di conseguenza, non avendo efficacia tali
parole se non dall'essere pronunziate da Cristo, è chiaro che anche
Cristo deve aver consacrato nel pronunziarle manifestamente.
Altri perciò ritengono che gli Evangelisti nel raccontare non
sempre hanno conservato l'ordine cronologico dei fatti, come nota
S. Agostino. Cosicché l'ordine cronologico si potrebbe ricostruire
nel modo seguente: "Preso il pane, lo benedisse dicendo: "Questo
è il mio corpo"; quindi lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli". -
Ma codesto senso si può ricavare dallo stesso testo evangelico,
anche senza apportarvi dei cambiamenti. Perché il gerundio "dicendo" indica la concomitanza delle parole pronunziate con
ciò che precede. E tale concomitanza non è necessario intenderla
soltanto rispetto all'ultimo atto, quasi che Cristo abbia detto quelle
parole nel momento di dare il pane ai suoi discepoli; ma può
intendersi rispetto a tutto ciò che precede, così da avere questo senso: "Mentre benediceva e spezzava e dava ai suoi discepoli,
disse queste parole: Prendete ecc.".
2. Le parole:
"Prendete e mangiate" esprimono l'uso della
materia consacrata, uso che non è necessario alla validità di questo
sacramento, come si è detto sopra. Perciò neanche queste parole
sono essenziali alla forma.
Nondimeno, poiché l'uso della materia consacrata contribuisce
alla perfezione del sacramento, nel senso in cui l'operazione non
è la prima, ma la seconda perfezione di una cosa, tutte le parole
indicate concorrono a esprimere integralmente questo sacramento.
Ed è in tal senso che Eusebio intese attribuire alle suddette parole
l'efficacia sul sacramento, rispetto alla sua prima e seconda
perfezione.
3. Nel sacramento del battesimo il ministro compie un atto
riguardante l'uso della materia, uso che è essenziale al battesimo
stesso; l'uso invece non è mai tale nell'Eucarestia. Perciò il paragone non regge.
4. Alcuni
affermarono che questo sacramento non si può celebrare pronunziando le parole in questione e tacendo le altre, quelle
particolarmente che sono nel canone della messa. - Ma ciò risulta
falso. Sia dal testo sopra citato di S. Ambrogio, sia anche perché
il canone della messa non è identico per tutte le chiese e per tutti
i tempi, essendo state aggiunte cose diverse da persone diverse.
Si deve dunque ritenere che, se il sacerdote pronunziasse solo
le parole suddette con l'intenzione di celebrare questo sacramento,
esso varrebbe; perché l'intenzione farebbe intendere codeste parole
come proferite in persona di Cristo, anche se ciò non venisse espresso dalle parole precedenti. Nondimeno peccherebbe gravemente
il sacerdote che celebrasse così, perché non rispetterebbe il rito
della Chiesa. Il che non avviene nel battesimo, che è sacramento
di necessità; invece, come nota S. Agostino, alla mancanza della
comunione eucaristica può supplire la comunione spirituale.
ARTICOLO
2
Se
"Questo è il mio corpo" sia la forma conveniente
della consacrazione del pane
SEMBRA che
"Questo è il mio corpo" non sia la forma
conveniente della consacrazione del pane. Infatti:
1. La forma del sacramento deve esprimere l'effetto del
sacramento. Ma l'effetto che si ottiene nella consacrazione del pane
è la conversione della sostanza del pane nel corpo di Cristo, conversione che si esprime meglio col termine diviene che col termine
è. Quindi nella forma della consacrazione si dovrebbe dire:
"Questo diviene il mio corpo".
2. S. Ambrogio scrive:
"La parola di Cristo fa questo sacramento. Quale parola di Cristo? Quella che ha fatto ogni cosa:
comandò il Signore e furono fatti i cieli e la terra". Dunque anche
la forma di questo sacramento sarebbe stata più conveniente col
verbo di modo imperativo: "Questo sia il mio corpo".
3. Come il soggetto della proposizione in esame indica ciò che
si converte, così il predicato indica dove termina la conversione.
Ora, come è determinato ciò in cui la cosa si converte, ossia il
corpo del Cristo, così è determinato ciò che si converte: infatti
esso non è che il pane. Di conseguenza, come il predicato è
espresso con un sostantivo, così si doveva indicare con un sostantivo anche il soggetto, dicendo:
"Questo pane è il mio corpo".
4. Ciò in cui termina la conversione, come appartiene a una
natura determinata, essendo un corpo, così appartiene a una
determinata persona. Dunque per indicare anche la persona si
doveva dire: "Questo è il corpo di Cristo".
5. Nelle parole della forma non si deve mettere nulla che non
sia essenziale. Perciò non si può giustificare la congiunzione enim
che troviamo in certi libri, la quale non appartiene all'essenza della
forma.
IN CONTRARIO: Il Signore usò questa forma nel consacrare,
come risulta dal vangelo di S. Matteo.
RISPONDO: Questa è la forma conveniente della consacrazione
del pane. Sopra infatti abbiamo visto che tale consacrazione
consiste nella conversione della sostanza del pane nel corpo di
Cristo. Ora, è necessario che la forma del sacramento significhi
ciò che il sacramento produce. Quindi anche la forma della consacrazione del pane deve significare la conversione del pane nel corpo
di Cristo, nella quale si riscontrano tre elementi: la conversione,
il termine di partenza e il termine di arrivo.
Ebbene, la conversione si può considerare in due modi: nel suo
compiersi e nella sua attuazione già avvenuta. Ora, nella forma
della consacrazione del pane la conversione non doveva essere
indicata nel suo compiersi, ma come attuata. Primo, perché questa
conversione non è successiva ma istantanea, come si disse sopra,
e nelle mutazioni istantanee il compiersi s'identifica con l'essere
compiuto. - Secondo, perché le forme sacramentali servono a
indicare l'effetto del sacramento, come le forme dell'arte servono
a indicare l'effetto del lavoro. Ma la forma che guida l'arte non
è che l'immagine del prodotto rifinito, cui l'artista mira con la
sua intenzione: la forma dell'arte p. es., nella mente di un architetto è principalmente la forma
della casa costruita, e solo
secondariamente la forma della sua costruzione. Perciò anche nella
forma della consacrazione del pane deve esprimersi la conversione
come attuata, perché ad essa mira l'intenzione.
Ma poiché la conversione stessa viene espressa in questa forma
come compiuta, necessariamente gli estremi della conversione
bisogna indicarli come sono al momento in cui la conversione si
è già realizzata. Ebbene, allora il termine di arrivo ha la natura
propria della sua sostanza, mentre il termine di partenza non
conserva la sua sostanza, ma solo i suoi accidenti, con i quali si
presenta ai sensi e secondo i quali è determinabile dai sensi. È
giusto quindi che il termine di partenza venga indicato con il
pronome dimostrativo, riferito agli accidenti sensibili che rimangono. Invece il termine di arrivo si esprime con un sostantivo,
che indica la natura di ciò in cui la cosa si converte: e questo, come
abbiamo notato, è il corpo di Cristo nella sua integrità e non la sola
carne. Perciò la forma "Questo è il mio corpo" è convenientissima.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. L'effetto ultimo di questa
consacrazione non è il divenire ma l'essere, come si è detto. E
quindi nella forma si deve esprimere di preferenza quest'ultimo.
2. Nella creazione
agì la stessa parola di Dio che opera anche
in questo sacramento, ma in modo diverso. Infatti qui essa opera
sacramentalmente, ossia secondo la forza dell'espressione. Perciò
è necessario indicare in questa forma l'ultimo effetto della consacrazione mediante un verbo sostantivo, di modo indicativo e di
tempo presente. Nella creazione delle cose invece la parola di Dio
operò soltanto come causa efficiente: e l'efficienza deriva dal comando della sua sapienza. Ecco perché nella creazione delle cose
la parola di Dio si esprime con un verbo di modo imperativo,
p. es.: "Si faccia la luce: e la luce fu".
3. A conversione avvenuta il termine di partenza non conserva
la natura della sua sostanza, come la conserva invece il termine
di arrivo. E quindi non c'è parità.
4. Con il pronome
"mio", che implica l'indicazione della prima
persona, cioè di quella che parla, è sufficientemente espressa la
persona di Cristo, in nome della quale si proferiscono le parole,
come si è detto.
5. La congiunzione
"enim" si mette in questa forma secondo
l'uso della Chiesa Romana, che deriva dall'Apostolo Pietro. E si
fa così per ricollegarsi alle parole precedenti. Essa quindi non
appartiene alla forma, come non appartengono ad essa le parole
che precedono la forma stessa.
ARTICOLO
3
Se
"Questo è il calice del mio sangue ecc." sia la forma conveniente
della consacrazione del vino
SEMBRA che la formula
"Questo è il calice del mio sangue, del
nuovo ed eterno testamento, mistero di fede, che sarà sparso per
voi e per molti in remissione dei peccati", non sia la forma conveniente della consacrazione del vino. Infatti:
1. Come il pane si converte nel corpo di Cristo in forza della
consacrazione, così il vino si converte nel suo sangue, come risulta
da quanto abbiamo detto. Ora, nella forma della consacrazione
del pane il corpo di Cristo è in caso retto, senza l'aggiunta di
altro. Perciò non è giusto che nella consacrazione del vino il sangue
di Cristo sia in caso obliquo, con l'aggiunta del "calice" in caso
retto, dicendo: "Questo è il calice del mio sangue".
2. Le parole dette nella consacrazione del pane non sono più
efficaci delle parole dette nella consacrazione del vino, essendo le
une e le altre parole di Cristo. Ma appena detto: "Questo è il
mio corpo", la consacrazione del pane è fatta. Dunque appena
detto: "Questo è il calice del mio sangue", è fatta la consacrazione
del vino. Dunque le parole che vengono dopo, non appartengono
alla forma: tanto più che esprimono solo certe proprietà di questo
sacramento.
3. Il nuovo Testamento sembra consistere in un'ispirazione
interiore, come risulta dal fatto che l'Apostolo cita le parole di
Geremia: "Contrarrò con la casa d'Israele un patto
(o testamento)
nuovo, mettendo le mie leggi nelle loro menti". Il sacramento
invece si celebra in forma visibile ed esterna. Non è opportuno
quindi che nella forma del sacramento si dica: "del nuovo Testamento".
4. Nuovo si dice quanto è ancora
prossimo all'inizio della sua
esistenza. L'eterno invece non ha inizio nell'esistere. Perciò l'espressione "del nuovo ed eterno" non è a proposito, perché sembra implicare una contraddizione.
5. È necessario allontanare dall'uomo ogni occasione di errore,
come raccomanda Isaia: "Togliete dalla via del mio popolo ogni
inciampo". Ma taluni errarono pensando che il corpo e il sangue
di Cristo siano in questo sacramento misticamente soltanto. Dunque non era opportuno che in questa forma si dicesse:
"mistero
di fede".
6. Sopra abbiamo detto che, come il battesimo è
"il sacramento
della fede", così l'Eucarestia è "il sacramento della carità".
Perciò in questa forma non "di fede", ma
"di carità" si sarebbe
dovuto parlare.
7. Questo sacramento, è per intero memoriale della passione del
Signore, ciò sia per il corpo che per il sangue, secondo il testo
di S. Paolo: "Ogni volta che mangerete di questo pane e berrete
di questo calice, voi annunzierete la morte del Signore". Non
dovrebbe quindi menzionarsi la passione di Cristo e il suo frutto
solo nella forma della consacrazione del sangue e non in quella
del corpo, tanto più che il Signore aveva detto: "Questo è il mio
corpo che sarà dato per voi".
8. La passione di Cristo, si è detto sopra, di suo è sufficiente
per tutti, ma quanto a efficacia giova a molti. Si doveva dunque
dire: "sarà sparso per tutti", o "per molti", ma senza aggiungere
"per voi".
9. Le parole con le quali si consacra questo sacramento,
derivano la loro efficacia dall'istituzione di Cristo. Ma nessun
evangelista riferisce che Cristo abbia detto tutte queste parole. Perciò
la forma della consacrazione del vino non è conveniente.
IN CONTRARIO: La Chiesa, istruita dagli Apostoli, usa questa
forma nella consacrazione del vino.
RISPONDO: Riguardo a questa forma ci sono due opinioni.
Alcuni sostennero che è essenziale a questa forma solo la frase: "Questo è il calice del mio sangue", e non le parole
successive.
- Ma questa opinione non sembra giusta: perché le parole successive sono delle determinazioni del predicato, ossia del sangue
di Cristo; e quindi appartengono all'integrità della formula.
Per tale ragione altri
con più verità ritengono essenziali alla
forma tutte le parole successive fino alla proposizione: "Ogni
volta che farete questo...", la quale, riguardando l'uso di questo
sacramento, non è essenziale alla forma. È per questo che il sacerdote pronunzia tutte le suddette parole con lo stesso rito e
atteggiamento, cioè tenendo il calice tra le mani. Del resto anche in
S. Luca le parole successive vengono frapposte alle prime: "Questo calice è il nuovo testamento nel mio sangue".
Si deve dunque ritenere che tutte le suddette parole sono
essenziali alla forma: però con le prime, "Questo è il calice del mio
sangue", si indica la conversione stessa del vino in sangue, come
abbiamo spiegato per la forma del pane; invece con le altre parole
si indica la virtù del sangue sparso nella passione, la quale opera
in questo sacramento. Ora, la passione è ordinata a tre scopi.
Primo e principalmente, a conferire l'eterna eredità, conforme al
testo di S. Paolo: "In virtù del suo sangue abbiamo libero accesso
al santuario". E ciò viene indicato dall'espressione: "del nuovo
ed eterno testamento". - Secondo, tende alla giustizia della grazia
che deriva dalla fede, come dice l'Apostolo: "Dio ha prestabilito
lui (Gesù) quale mezzo di propiziazione per via della fede nel suo
sangue, in modo da essere giusto lui e nello stesso tempo giustificante chi per la fede è di Gesù Cristo". E per indicare questo
si aggiunge: "mistero di fede". - Terzo, è ordinata a rimuovere
gli ostacoli, ossia i peccati che impediscono di raggiungere le due
cose precedenti, secondo le parole di S. Paolo: "Il sangue di Cristo
purificherà le nostre coscienze dalle opere morte", cioè dai peccati.
E ciò viene espresso dalla frase: "che sarà sparso per voi e per
molti altri in remissione dei peccati".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. La frase: "Questo è il calice
del mio sangue" è figura retorica e si può intendere in due modi.
Primo, quale metonimia, poiché il contenente qui sta per il contenuto, nel senso seguente:
"Questo è il mio sangue contenuto
nel calice". Del calice si fa qui menzione, perché il sangue di
Cristo viene consacrato in questo sacramento come bevanda dei
fedeli: ciò che non è proprio del sangue; era dunque necessario
che venisse indicato con il recipiente adatto a questo scopo.
Secondo, si può intendere come metafora, cosicché il calice
sarebbe indicato quale figura della passione di Cristo, la quale può
inebriare come una coppa, secondo il testo di Geremia: "Mi ha
riempito di amarezze, mi ha ubriacato di assenzio"; tanto che il
Signore stesso chiamò calice la propria passione: "Passi da me
questo calice". E allora il senso sarebbe: "Questo è il calice della
mia passione". E di essa si fa menzione nel consacrare il sangue
separatamente dal corpo; perché la separazione del sangue dal
corpo avvenne con la passione.
2. Poiché, come ora si è detto, il sangue consacrato a parte
rappresenta chiaramente la passione di Cristo, l'effetto della passione doveva essere ricordato più nella consacrazione del sangue
che nella consacrazione del corpo, soggetto della passione. E ciò
viene indicato da quelle parole del Signore: "che sarà dato per
voi", come per dire: "che per voi sarà assoggettato alla passione".
3.
Il testamento consiste nella disposizione circa un'eredità.
Ora, Dio ha disposto di dare agli uomini l'eredità celeste in virtù
del sangue di Gesù Cristo, perché, come dice l'Apostolo: "Dove
c'è un testamento, occorre che intervenga la morte del testatore".
Ebbene, il sangue di Cristo è stato dato agli uomini in due modi.
Primo, in modo figurale: e ciò nell'antico Testamento. Perciò
l'Apostolo conclude dicendo: "Neppure il primo Testamento fu
inaugurato senza sangue", come si rileva dall'Esodo: "Dopo aver
letto ogni prescrizione della legge, Mosè asperse l'intero popolo e
disse: Questo è il sangue del testamento che il Signore ha concluso
con voi".
Secondo, esso fu dato nella realtà: ed è questa la caratteristica
del nuovo Testamento. L'Apostolo così ne parla nel passo citato: "Il Cristo è il
mediatore del nuovo Testamento, affinché, intervenuta la sua morte, gli eletti ricevano l'eterna eredità che è stata
loro promessa". Perciò qui viene ricordato "il sangue del nuovo
Testamento", perché questo non è più dato in figura, ma nella
realtà, tanto che si aggiunge: "che sarà sparso per voi". - L'ispirazione interiore poi deriva dalla virtù del sangue, in quanto veniamo giustificati dalla passione di Cristo.
4. Questo testamento è nuovo perché nuova è la sua offerta
sacramentale. Ed è chiamato eterno, tanto a causa dell'eterno
decreto di Dio, quanto a causa dell'eterna eredità di cui in questo
testamento si dispone. Inoltre è eterna la persona stessa di Cristo,
per il cui sangue è concessa tale disposizione testamentaria.
5. La parola
"mistero" è usata qui, non per escludere la realtà,
ma per sottolineare il suo occultamento. Perché in questo sacramento il sangue stesso di Cristo è presente in modo occulto; e la sua
passione stessa fu occultamente raffigurata nel vecchio Testamento.
6. L'Eucarestia è denominata
"sacramento di fede" perché
oggetto di fede: che il sangue di Cristo infatti sia realmente presente in questo sacramento si crede solo per fede. Inoltre la
passione stessa di Cristo giustifica per mezzo della fede.
Il battesimo
invece è detto "sacramento della fede" in quanto ne è una professione. - L'Eucarestia è poi
"il sacramento della carità" nel
senso che la rappresenta e la produce.
7.
Il sangue consacrato separatamente dal corpo rappresenta più
chiaramente, come si è detto, la passione di Cristo. Ed è per
questo che si rammenta la passione di Cristo e il suo frutto nel
consacrare il sangue, piuttosto che nel consacrare il corpo.
8.
Il sangue della passione di Cristo non ha efficacia soltanto
per la parte eletta dei Giudei, per i quali fu offerto il sangue dell'antico Testamento, ma anche per i Gentili; e non solo per i
sacerdoti che celebrano questo sacramento o per gli altri che lo
ricevono, ma anche per coloro per i quali viene offerto. Ecco perché
viene detto espressamente "per voi", Giudei, "e per molti", per
i quali viene offerto.
9. Gli evangelisti non intendevano di far conoscere le forme dei
sacramenti, che nella Chiesa primitiva bisognava tener nascoste,
come osserva Dionigi. Ma intesero tessere la storia di Cristo.
Nondimeno quasi tutte le suddette parole possono raccogliersi
da diversi luoghi della Scrittura. Infatti la frase: "Questo è il
calice" è in S. Luca e in S. Paolo. In S. Matteo poi si legge: "Questo è il mio sangue del nuovo Testamento, che sarà sparso
per molti in remissione dei peccati". - Le aggiunte "eterno" e
"mistero di fede" derivano dalla tradizione del Signore, giunta
alla Chiesa tramite gli Apostoli, secondo l'attestazione di S. Paolo: "Dal Signore ho ricevuto ciò che ho trasmesso a
voi".
ARTICOLO 4
Se nelle parole delle due forme suddette risieda una virtù creata capace
di produrre la consacrazione
SEMBRA che nelle parole delle due forme suddette non risieda
nessuna virtù creata capace di produrre la consacrazione. Infatti:
1. Il Damasceno afferma:
"Solo per virtù dello Spirito Santo
avviene la conversione del pane nel corpo di Cristo". Ma la virtù
dello Spirito Santo è una virtù increata. Dunque per nessuna
virtù creata di tali parole si compie questo sacramento.
2. I miracoli non vengono compiuti per una virtù creata
qualsiasi, ma solo per virtù divina, come abbiamo visto nella Prima
Parte. Ma la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo è un'opera non meno miracolosa della creazione, o
della formazione del corpo di Cristo nel seno della Vergine: cose
che non poterono avvenire per nessuna virtù creata. Perciò neppure questo sacramento viene consacrato per una qualsiasi virtù
creata delle parole suddette.
3. Le parole in questione non sono parole
semplici, ma composte
di frasi e non si pronunziano simultaneamente, ma successivamente.
Invece la conversione di cui parliamo, avviene istantaneamente,
come si disse sopra: quindi è necessario che si compia per opera di
una virtù semplice. Non si compie dunque per virtù di queste parole:
IN CONTRARIO: S. Ambrogio scrive:
"Se tanta è la forza della
parola del Signore Gesù da far esistere ciò che prima non esisteva,
quanto più agirà sulle cose esistenti e le cambierà in altre? Così
quello che era pane prima della consacrazione, è ormai corpo di
Cristo dopo la consacrazione, perché la parola di Cristo muta la
creatura".
RISPONDO: Alcuni
affermarono che non c'è nessuna virtù creata,
sia nelle parole suddette usate per compiere la transustanziazione,
sia negli altri sacramenti per produrre i loro effetti. - Tale opinione, come sopra abbiamo spiegato, è inconciliabile con le
affermazioni dei Santi Padri e contraddice alla dignità dei sacramenti
della nuova legge. Di conseguenza, essendo questo sacramento più
nobile degli altri, come sopra abbiamo visto, è evidente che nelle
parole della forma di questo sacramento deve esserci una virtù
creata capace di operare la conversione che in esso si compie: virtù
però strumentale, analoga a quella degli altri sacramenti, come si
disse sopra. Infatti quando queste parole vengono proferite in
persona di Cristo, ricevono da lui per sua disposizione una virtù
strumentale; come anche le altre sue azioni e parole, secondo le
spiegazioni date, hanno strumentalmente una virtù salvifica.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Quando si dice che solo per
virtù dello Spirito Santo il pane si converte nel corpo di Cristo,
non si esclude la virtù strumentale che è nella forma di questo
sacramento; come quando si dice che solo il fabbro fa un coltello,
non si esclude la virtù del suo martello.
2. I miracoli nessuna creatura li può fare come agente
principale; tuttavia li può fare strumentalmente, come il contatto stesso
della mano di Cristo guarì il lebbroso. È appunto in tal modo che
le sue parole convertono il pane nel suo corpo. Nulla di ciò poté
invece avvenire nella concezione del corpo di Cristo al momento
della sua formazione, così da concedere a una realtà qualsiasi
derivante dal corpo di Cristo una virtù strumentale per la formazione di quel corpo medesimo. Neppure nella creazione c'era un
termine di partenza su cui si potesse esercitare l'azione strumentale
della creatura. Perciò questi paragoni non reggono.
3. Le suddette parole, con le quali si compie la consacrazione,
operano sacramentalmente. Perciò la virtù trasformante contenuta nelle forme di questo sacramento segue il loro significato,
che diventa completo con la pronunzia dell'ultima parola. Quindi
nell'ultimo istante del proferimento delle parole, queste ricevono
la virtù strumentale, in relazione però a tutte le precedenti. Tale
virtù è semplice rispetto a ciò che significano: sebbene nelle parole
proferite esternamente ci sia una certa composizione.
ARTICOLO 5
Se le suddette proposizioni siano veridiche
SEMBRA che le suddette proposizioni non siano veridiche.
Infatti:
1. Nella proposizione:
"Questo è il mio corpo", il pronome "questo" indica la sostanza. Ma secondo quanto abbiamo
spiegato, nel momento di dire "questo", c'è ancora la sostanza del
pane, avvenendo la transustanziazione nell'ultimo istante del proferimento delle parole. Ora, la proposizione:
"Il pane è il corpo
di Cristo", è falsa. Dunque è falsa anche l'altra: "Questo è il
mio corpo".
2. Il pronome
"questo" è dimostrativo rispetto ai sensi. Ma
le specie sensibili presenti in questo sacramento non sono né il
corpo stesso di Cristo né gli accidenti del corpo di Cristo. Perciò
non può esser vera la frase: "Questo è il mio corpo".
3. Queste parole, come abbiamo visto sopra, per il loro
significato sono causa efficiente della conversione del pane nel corpo di
Cristo. Ma la causa efficiente precede l'effetto. Quindi il significato di queste parole precede la conversione del pane nel corpo di
Cristo. Prima però della conversione la proposizione: "Questo è
il mio corpo" è falsa. Deve quindi giudicarsi falsa in senso assoluto.
Lo stesso vale anche della formula: "Questo è il calice del mio
sangue, ecc.".
IN CONTRARIO: Queste parole vengono proferite in persona di
Cristo, il quale dice di se stesso: "Io sono la verità".
RISPONDO: Ci sono in proposito opinioni diverse. Alcuni
pensarono che nella frase: "Questo è il mio corpo" il pronome
"questo" fosse dimostrativo grammaticalmente e non efficientemente;
perché tutta la proposizione avrebbe valore materiale, venendo
proferita come un dato storico, in quanto il sacerdote riferisce
che Cristo ha detto: "Questo è il mio corpo".
Ma tale opinione è insostenibile. Perché nel caso le parole non
verrebbero applicate alla materia sensibile presente, e allora non
si compirebbe il sacramento; scrive infatti S. Agostino: "Si unisce
la parola all'elemento e si ha il sacramento". - Inoltre con tale
spiegazione non si supera affatto la difficoltà; perché le stesse
ragioni valgono per la prima volta che Cristo proferì quelle parole:
che certo allora non furono proferite materialmente, ma per attuarne
il significato. Perciò è da ritenersi che anche quando vengono dette
dal sacerdote, hanno un valore significativo e non soltanto materiale. E non importa che il sacerdote le riferisca come dette da
Cristo. Perché per l'infinita virtù di Cristo, come dal contatto della
sua carne la virtù di rigenerare raggiunse non solo le acque che
lo lambirono, ma tutte le altre dovunque e per tutti i secoli futuri,
così per il proferimento di queste parole da parte di Cristo esse
ricevettero la virtù di consacrare, qualunque sia il sacerdote che
le pronunzia, allo stesso modo che se a pronunziarle fosse presente
Cristo medesimo.
Altri
perciò hanno pensato che il pronome "questo" nella
proposizione esaminata sia dimostrativo, non rispetto ai sensi, ma
rispetto all'intelligenza. Cosicché la frase "Questo è il mio corpo",
vorrebbe dire: "Ciò che questo significa è il mio corpo".
Neppure questo però è sostenibile. Perché, producendo i
sacramenti quello che significano, non si otterrebbe con tale forma la
presenza del corpo di Cristo in questo sacramento secondo la
realtà, ma solo come in un segno che lo esprime. E questa è
un'eresia, come sopra abbiamo visto.
Altri
per conseguenza hanno sostenuto che il pronome "questo"
è dimostrativo rispetto ai sensi, ma non nell'istante in cui viene
pronunziato, bensì nell'ultimo istante della forma, come quandò
uno dice: Ora taccio, l'avverbio ora sta a indicare l'istante immediatamente successivo a quello in cui parla, nel senso: Appena
dette queste parole, taccio.
Ma neppure questa opinione si
regge. Perché secondo tale spiegazione la frase avrebbe questo significato:
"Il mio corpo è il mio
corpo". In tal caso la formula non compirebbe ciò che significa,
perché ciò è vero anche prima di proferire la forma. Neppure
questo dunque è il significato della proposizione suddetta.
Perciò si deve procedere diversamente, affermando che questa
proposizione, come abbiamo già detto, ha la virtù di compiere la
conversione del pane nel corpo di Cristo. Essa quindi sta alle
altre proposizioni che hanno virtù soltanto significativa e non
operativa, come l'idea dell'intelletto pratico, fattiva delle cose, sta
all'idea dell'intelletto speculativo, derivata dalle cose: infatti "le
parole sono segni dei concetti", per dirla con Aristotele. Perciò
come i concetti dell'intelletto pratico non presuppongono le cose
concepite, ma le compiono, così la verità di questa proposizione
non presuppone la cosa significata, ma la compie: tale è infatti
il rapporto della parola di Dio con le cose che produce. Ora, questa
conversione non avviene per fasi successive, ma in modo istantaneo,
come si è detto. È vero quindi che la proposizione in esame va
intesa in rapporto all'istante conclusivo della locuzione: non si
deve però sottintendere nel soggetto quello che è il termine della
conversione, così da significare che il corpo di Cristo è il corpo
di Cristo; neppure si deve sottintendere nel soggetto ciò che era
prima della conversione, ossia il pane: ma si deve intendere nel
soggetto ciò che è comune alle due cose, ossia la cosa genericamente contenuta sotto le specie. In realtà le parole della forma
non fanno che il corpo di Cristo sia il corpo di Cristo, né che il
pane sia il corpo di Cristo, ma che il contenuto di queste specie,
il quale prima era pane, sia il corpo di Cristo. A bella posta il
Signore non dice: "Questo pane è il mio corpo", come intende
la seconda opinione, e neppure: "Questo mio corpo è il mio corpo", come vorrebbe la terza opinione: ma genericamente:
"Questo è il mio corpo", senza specificare il soggetto con qualche
sostantivo, bensì adoperando come soggetto il solo pronome, che
indica la sostanza in genere senza specificazione, cioè senza una
forma determinata.
SOLUZIONE DELLE
DIFFICOLTÀ: 1. Il pronome "questo" indica
la sostanza, ma senza determinarne la natura, come si è detto.
2. Il pronome
"questo" non indica gli accidenti, bensì la
sostanza contenuta sotto gli accidenti, la quale prima era pane e dopo
è il corpo di Cristo: e quest'ultimo, sebbene non si rivesta di tali
accidenti, è nondimeno contenuto sotto di essi.
3. Il significato di questa proposizione precede la cosa
significata in ordine di natura, come la causa è per natura prima
dell'effetto; non la precede però in ordine di tempo, perché questa
causa implica simultaneamente il proprio effetto. E tanto basta
alla verità della proposizione.
ARTICOLO 6
Se la forma della consacrazione del pane
produca il suo effetto prima
che termini la forma della consacrazione del vino
SEMBRA che la forma della consacrazione del pane non produca
il suo effetto finché non sia terminata la forma della consacrazione
del vino. Infatti:
1. Come per la consacrazione del pane comincia a essere
presente il corpo di Cristo sotto questo sacramento, così per la consacrazione del vino incomincia a essere presente il sangue. Se dunque
le parole della consacrazione del pane avessero il loro effetto prima
della consacrazione del vino, succederebbe che in questo sacramento il corpo di Cristo comincerebbe a essere presente privo di
sangue. Il che non è ammissibile.
2. Un sacramento non può avere che un unico compimento: nel
battesimo p. es., sebbene le immersioni siano tre, tuttavia la prima
immersione non ha effetto finché non è a termine la terza. Ora,
tutta la celebrazione eucaristica costituisce un unico sacramento,
come sopra abbiamo visto. Perciò le parole con le quali si consacra
il pane non conseguono il loro effetto, senza le parole sacramentali
con cui si consacra il vino.
3. Nella forma stessa della consacrazione del pane si hanno più
parole, le prime delle quali non hanno effetto se non quando sia
stata detta l'ultima, come si è spiegato. Dunque per lo stesso
motivo anche le parole con cui si consacra il corpo di Cristo non
hanno effetto, se non quando siano state proferite le altre con cui
se ne consacra il sangue.
IN CONTRARIO: Appena dette le parole della consacrazione del
pane, l'ostia consacrata si mostra all'adorazione del popolo. Ma
ciò non avverrebbe, se non vi fosse presente il corpo di Cristo,
perché altrimenti sarebbe un atto d'idolatria. Dunque le parole
della consacrazione del pane conseguono il loro effetto prima che
siano pronunziate le parole della consacrazione del vino.
RISPONDO: Alcuni dottori antichi
ritennero che queste due
forme, della consacrazione del pane e del vino, si aspettano a
vicenda nell'operare: cioè la prima non raggiungerebbe il suo effetto finché non sia stata proferita la seconda.
Ma questa opinione non è ammissibile, perché, come si è detto,
alla verità della proposizione: "Questo è il mio corpo", si richiede
per il verbo di tempo presente che la cosa significata sia simultanea
alla significazione stessa della frase; altrimenti, se la cosa significata si aspettasse per il futuro, si userebbe un verbo di tempo
futuro, non di tempo presente; e non si direbbe: "Questo è il
mio corpo", bensì : "Questo sarà il mio corpo". Ora, il significato
di questa frase si attua appena termina la pronunzia di tali parole.
Occorre dunque che la cosa significata, effetto di questo sacramento, sia subito presente; altrimenti la proposizione non sarebbe
vera. - Inoltre tale opinione è contro il rito della Chiesa, la quale
subito dopo il proferimento di quelle parole adora il corpo di Cristo.
Si deve dunque ritenere che la prima forma non aspetta la
seconda nell'operare, ma produce subito il suo effetto.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Dalla ragione esposta nella
difficoltà sembra che siano stati ingannati quanti tennero la suddetta opinione. Si deve dunque ricordare che, dopo la consacrazione
del pane sono presenti nella specie del pane, sia il corpo di Cristo in
forza del sacramento, sia il suo sangue in forza della naturale concomitanza; invece dopo la consacrazione del vino, nelle specie del vino
il sangue di Cristo è presente in forza del sacramento, e il corpo
di Cristo per naturale concomitanza, cosicché tutto il Cristo è
presente sotto l'una e sotto l'altra specie, come si è detto sopra.
2. La completezza di questo sacramento è unica, come abbiamo
visto precedentemente, in quanto è costituito di due cose, cioè di
cibo e di bevanda, ciascuna delle quali però ha la propria perfezione. Invece le tre immersioni del battesimo sono ordinate a un
unico e semplice effetto. Quindi il paragone non regge.
3. Le varie parole che sono nella forma della consacrazione del
pane, concorrono a dare il senso a una stessa proposizione; non
così le parole delle due forme distinte. Quindi il caso è diverso.
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