I Sacramenti
Somma Teologica III, q. 63
Il carattere
Passiamo a considerare il secondo effetto
dei sacramenti, che è il carattere. Sull'argomento si pongono sei quesiti:
1. Se i sacramenti producano nell'anima un carattere; 2. Che cosa sia il carattere; 3. Di
chi sia il carattere; 4. Dove esso risieda; 5. Se s'imprima indelebilmente; 6. Se tutti i sacramenti imprimano il carattere.
ARTICOLO
1
Se i sacramenti imprimano nell'anima un carattere
SEMBRA che i sacramenti non imprimano nessun carattere nell'anima. Infatti:
1. Il carattere è un segno distintivo. Ma ciò che distingue le
membra di Cristo dalle altre creature è l'eterna predestinazione,
la quale non pone nulla nel predestinato, essendo soltanto un atto
di Dio predestinante, come abbiamo spiegato nella Prima Parte;
e ciò conforme alle parole di S. Paolo: "Saldo rimane il fondamento di Dio, avente questo suggello: Il Signore conosce quelli
che sono suoi". Dunque i sacramenti non imprimono nessun
carattere nell'anima.
2. Il carattere è un segno distintivo. Ma il segno, secondo la
definizione di S. Agostino, è "ciò che oltre l'immagine di sé prodotta sui sensi fa conoscere qualche cos'altro". Ora, nell'anima
non c'è nulla che possa produrre sui sensi una qualunque immagine.
Dunque dai sacramenti non viene impresso nessun carattere
nell'anima.
3. I sacramenti della nuova legge distinguono il fedele dal non
fedele come i sacramenti dell'antica legge. Ma i sacramenti dell'antica legge non imprimevano
(nell'anima) nessun carattere: per
questo sono riferiti dall'Apostolo "alla giustizia della carne".
Dunque neanche i sacramenti della nuova legge imprimono un
carattere.
IN CONTRARIO: S. Paolo scrive:
"Colui che ci conferma con voi
in Cristo, e che ci ha unti, è Dio. Il quale ci ha anche contrassegnati con il suo sigillo e ha infuso nei nostri cuori il pegno dello
Spirito". Ma il carattere non è altro che un contrassegno. Dunque Dio con i sacramenti imprime in noi il suo carattere.
RISPONDO: I sacramenti, come abbiamo già detto, sono ordinati
a due scopi: a togliere i peccati e a perfezionare l'anima in ciò
che riguarda il culto di Dio secondo la religione cristiana. Ora,
chiunque viene destinato a un compito specifico, ne assume ordinariamente il segno distintivo, come i soldati che venivano
arruolati nell'esercito solevano anticamente essere contrassegnati con
un qualche segno sul corpo, data la materialità della loro prestazione. Ora, poiché con i sacramenti gli uomini vengono destinati
a prestazioni spirituali attinenti al culto di Dio, è logico che per
esse restino fregiati di un qualche carattere, o segno spirituale.
Di qui le parole di S. Agostino: "Se un disertore, preso dalla paura
del segno militare impresso nel suo corpo, ricorre alla clemenza
dell'imperatore, lo supplica, ne ottiene il perdono e ritorna sotto
le armi, forse, perché libero e pentito, gli viene rinnovato il segno
militare o non piuttosto gli viene controllato e riconosciuto? E che
forse i sacramenti cristiani lascerebbero minor traccia di questo
contrassegno corporeo?".
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Al premio della futura gloria
i fedeli cristiani vengono deputati dal segno della predestinazione
eterna. Ma alle funzioni della Chiesa qui presente vengono deputati da un segno spirituale impresso in loro, che si denomina
carattere.
2. Il carattere impresso nell'anima si presenta come segno per
il fatto che viene impresso da sacramenti sensibili: poiché la certezza che uno è fregiato del carattere battesimale risulta dal fatto
che è stato asperso sensibilmente con l'acqua. Tuttavia metaforicamente si può chiamare carattere o contrassegno qualsiasi cosa,
anche non sensibile, che serva a conferire rassomiglianza con
qualcuno o a distinguerlo: Cristo, p. es., a detta dell'Apostolo, è "figura", o
"carattere della sostanza del Padre".
3. I sacramenti dell'antica legge, come abbiamo già detto, non
avevano in se stessi una virtù spirituale capace di produrre effetti
spirituali. Ecco perché in essi non si riscontrava nessun carattere
spirituale; ma bastava allora la circoncisione corporea, che l'Apostolo chiama
"sigillo".
ARTICOLO
2
Se il carattere sia un potere spirituale
SEMBRA che il carattere non sia un potere spirituale. Infatti:
1. Carattere è lo stesso che figura: poiché nella Lettera agli
Ebrei dove il latino dice "figura della sostanza del Padre", il greco
ha carattere. Ma la figura è la quarta specie della qualità, e quindi
differisce dalla potenza o potere, che è la seconda specie della qualità. Perciò il carattere non è un potere spirituale.
2. Dionigi scrive che
"la divina beatitudine accoglie nella partecipazione di sé il battezzato e gli si comunica con la propria luce,
quasi suo contrassegno". E così il carattere viene presentato come
una specie di luce. Ma la luce appartiene alla terza specie della
qualità. Dunque il carattere non è un potere o una potenza, che
appartiene alla seconda specie della qualità.
3. Il carattere viene definito da alcuni:
"Il segno santo della
comunione nella fede e dell'ordine sacro conferito dal ministro
sacro". Ora, il segno è nella categoria della relazione e non in
quella della potenza. Il carattere dunque non è un potere spirituale.
4. La potenza o potere ha natura di causa e di principio, come
spiega Aristotele. Invece il segno, che entra nella definizione del
carattere, ha piuttosto natura di effetto. Il carattere dunque non
è un potere spirituale.
IN CONTRARIO: Aristotele insegna che
"nell'anima ci sono tre
cose: potenza, abito e passione". Ma il carattere non è una passione, perché la passione passa presto e il carattere invece è
indelebile, come vedremo. E neppure è un abito. Perché un abito
non può servire indifferentemente al bene e al male. Il carattere
invece ha questa capacità: alcuni infatti ne usano bene, altri male.
Il che non può capitare agli abiti: poiché gli abiti virtuosi "nessuno può usarli male", e gli abiti viziosi nessuno può usarli bene.
Resta dunque che il carattere è un potere, o facoltà.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, i sacramenti della nuova
legge imprimono il carattere, perché deputano gli uomini al culto
di Dio secondo la religione cristiana. Cosicché Dionigi, dopo
aver affermato che "Dio comunica se stesso al neofita mediante
il segno (sacramentale)", aggiunge: "rendendolo divino e comunicatore delle cose
divine". Il culto divino infatti consiste, sia nel
ricevere i beni divini, sia nel comunicarli agli altri. Ora, per l'uno
e per l'altro compito si richiede una facoltà, un potere: infatti
per comunicare qualche cosa ad altri occorre una potenza attiva,
per ricevere occorre una potenza passiva. Dunque il carattere
implica un potere spirituale in ordine alle cose che sono proprie
del culto divino.
Bisogna però osservare che questa potenza spirituale è
strumentale, come abbiamo notato sopra per la virtù che si trova nei
sacramenti. Infatti avere il carattere sacramentale spetta ai
ministri di Dio, e il ministro ha funzione di strumento, come aveva
già notato Aristotele. Perciò come la virtù che risiede nei sacramenti rientra in un genere non per sé, ma per riduzione, essendo
un'entità transeunte e incompleta; così anche il carattere non
rientra propriamente in un genere, o in una specie, ma si riduce
alla seconda specie della qualità.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. La figura non è che una delimitazione della quantità. Quindi propriamente si trova solo nelle
cose materiali, e si attribuisce alle spirituali in senso metaforico.
Ora, qualsiasi cosa viene catalogata in un genere o in una specie
solo per ciò che le compete in senso proprio. Quindi il carattere
non può rientrare nella quarta specie della qualità: sebbene alcuni l'abbiano affermato.
2. Nella terza specie della qualità ci sono soltanto le passioni
sensibili e le qualità sensibili. Ma il carattere non è una luce
sensibile. Quindi non appartiene alla terza specie della qualità, come
alcuni hanno preteso.
3. La relazione, il cui concetto è implicito nel termine segno,
deve avere qualche cosa come suo fondamento. Ma la relazione
di quel segno che è il carattere non può avere per fondamento
immediato l'essenza dell'anima, perché così spetterebbe per natura
a ogni anima. È dunque necessario ammettere nell'anima qualche
cosa che sia il fondamento di tale relazione. Questo qualche cosa
è la realtà del carattere. Perciò il carattere non può rientrare nel
genere della relazione, come alcuni hanno sostenuto.
4. Il carattere ha natura di segno solo se si considera in
connessione col rito sensibile che lo imprime. Ma considerato in se stesso
ha natura di principio, nel senso che abbiamo illustrato.
ARTICOLO
3
Se il carattere sacramentale sia il carattere di Cristo
SEMBRA che il carattere sacramentale non sia il carattere di
Cristo. Infatti:
1. S. Paolo raccomanda agli Efesini:
"Non contristate lo Spirito Santo di Dio, con il quale siete stati sigillati". Ora nell'idea
di carattere è implicita quella di sigillo. Dunque il carattere sacramentale deve riferirsi più allo Spirito Santo che a Cristo.
2. Il carattere ha natura di segno. Ed è segno della grazia,
conferita dal sacramento. Ma la grazia viene infusa nell'anima da
tutta la Trinità, secondo le parole del Salmo: "Grazia e gloria
le elargisce il Signore". Quindi il carattere sacramentale non va
attribuito in modo speciale a Cristo.
3. Il carattere si riceve per distinguersi dagli altri. Ma ciò che
distingue i santi dagli altri è la carità, la quale secondo l'espressione di S. Agostino,
"è sola a separare i figli del Regno dai figli
della dannazione", i quali ultimi, a detta dell'Apocalisse, sono
contrassegnati dal "carattere della bestia". Ma la carità non viene
attribuita a Cristo, bensì allo Spirito Santo, come in quell'affermazione di S. Paolo:
"La carità divina si è riversata nei nostri
cuori per lo Spirito Santo che ci fu donato"; oppure al Padre: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo e la carità di Dio".
Dunque il carattere sacramentale non va riferito a Cristo.
IN CONTRARIO: Così alcuni definiscono il carattere:
"Il carattere è una distinzione impressa nell'anima razionale dal carattere
eterno, per cui la trinità creata viene sigillata a immagine della
Trinità creante e ricreante, e distingue nello stato della fede dai
non configurati". Ora, il carattere eterno è il Cristo stesso, che
S. Paolo chiama "splendore della gloria e figura", o carattere "della sostanza di
Dio". Dunque il carattere propriamente ha riferimento a Cristo.
RISPONDO: Come risulta da quanto abbiamo detto finora, il
carattere è in senso proprio il contrassegno col quale si deputa una
data cosa a un compito specifico: le monete, p. es., sono così contrassegnate per gli scambi, e i soldati lo sono per la milizia. Ora,
due sono i compiti cui possono essere deputati i fedeli. Il primo
e principale è il godimento della gloria. E per questo essi sono
contrassegnati dalla grazia, secondo l'allusione di Ezechiele: "Segna in fronte con un tau gli uomini che gemono e
piangono"; e
quella dell'Apocalisse: "Non danneggiate né la terra né il mare
né le piante finché non abbiamo marcato sulle loro fronti con il
sigillo i servi del nostro Dio".
Il secondo compito di ogni fedele è di ricevere per sé e di
comunicare agli altri le cose riguardanti il culto di Dio. E per questo
propriamente viene concesso il carattere sacramentale. Ma tutto
il culto della religione cristiana deriva dal sacerdozio di Cristo.
È chiaro quindi che il carattere sacramentale è specificamente
carattere di Cristo, del cui sacerdozio i fedeli vengono resi partecipi
in forza di questi caratteri sacramentali, i quali altro non sono che
partecipazioni del sacerdozio di Cristo derivanti da Cristo medesimo.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. L'Apostolo nel testo citato
parla del contrassegno per cui si è destinati alla gloria futura e che
consiste nella grazia. Questa viene attribuita allo Spirito Santo,
perché la donazione gratuita implicita nel concetto di grazia dipende dall'amore di Dio, e lo Spirito Santo è amore. Ecco perché
S. Paolo dichiara che "vi sono differenze di grazia, ma uno solo
è lo Spirito".
2. Il carattere sacramentale è res
(realtà sacra) rispetto al rito
esterno ed è sacramento (o segno sacro) rispetto all'effetto ultimo.
Perciò si può parlare del carattere in due accezioni diverse. Primo,
in quanto è sacramento, e allora è segno della grazia invisibile conferita dal rito sacro. Secondo, in quanto è specificamente carattere.
E allora è un contrassegno che configura a un capo nel quale risiede
la pienezza di quei poteri, o facoltà, che vengono accordati dal
carattere: i soldati p. es., che sono deputati a combattere prendono
il segno (o le insegne) del loro comandante, al quale in qualche
modo si configurano. Così coloro che sono deputati al culto cristiano, di cui Cristo è fondatore, ricevono un carattere che li rende
simili a Cristo. Quindi esso è propriamente carattere di Cristo.
3. Il carattere distingue una persona da un'altra in rapporto
al fine cui viene indirizzata la persona che lo riceve, come abbiamo
notato a proposito dei caratteri, o contrassegni militari, che sul
campo di battaglia distinguono il soldato del re legittimo dal
soldato del nemico. Allo stesso modo i caratteri che distinguono
i fedeli di Cristo dai servi del diavolo possono essere, relativi
o alla vita eterna, o al culto della Chiesa militante. La prima di
queste distinzioni è data dalla carità e dalla grazia, come vuole
la difficoltà; la seconda invece è data dal carattere sacramentale.
Quindi per la ragione dei contrari "il carattere della bestia" può
significare o la malizia ostinata, a motivo della quale alcuni vengono destinati alla pena eterna, o
la professione di un culto illecito.
ARTICOLO 4
Se il carattere risieda
in una potenza dell'anima
SEMBRA che il carattere non risieda in una potenza dell'anima.
Infatti:
1. Il carattere è una disposizione alla grazia. Ma la grazia
risiede nell'essenza dell'anima, come abbiamo visto nella Seconda
Parte. Dunque il carattere è nell'essenza dell'anima e non nelle
sue potenze.
2. Le potenze dell'anima non sono soggetto se non di abiti o di
disposizioni. Ma il carattere, abbiamo detto, non è un abito o una
disposizione, bensì un potere o una potenza, che risiede solo nell'essenza dell'anima. Dunque il carattere non risiede in nessuna
potenza dell'anima, ma piuttosto nella sua stessa essenza.
3. Le potenze
dell'anima razionale si dividono in conoscitive
e appetitive. Ma non si può limitare il carattere alle potenze conoscitive e neppure a quelle
appetitive: perché non è destinato né
solo a conoscere né solo a volere. E tuttavia non può risiedere
simultaneamente nelle une e nelle altre, perché un medesimo accidente non può avere diversi soggetti. Dunque il carattere non
risiede in una potenza, ma nell'essenza dell'anima.
IN CONTRARIO: In una
precedente definizione del carattere è
stato detto che esso s'imprime nell'anima razionale "come un'immagine". Ma l'immagine della Trinità
nell'anima si concepisce in
rapporto alle potenze. Dunque il carattere è nelle potenze dell'anima.
RISPONDO: Il carattere, come abbiamo visto, è un contrassegno
che distingue l'anima, affinché possa ricevere per sé, o comunicare
ad altri le cose riguardanti il culto divino. Ora, il culto divino
consiste in determinati atti. Ma come l'essenza è ordinata all'essere, così le potenze dell'anima sono ordinate agli atti. Dunque
il carattere non risiede nell'essenza, ma nelle potenze dell'anima.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Per determinare il soggetto
di un accidente si deve tener conto di ciò cui esso dispone prossimamente, non già di ciò cui dispone in maniera remota o indiretta.
Ora, il carattere in maniera diretta e immediata dispone l'anima
agli atti del culto divino; e poiché questi, senza l'aiuto della grazia
non si compiono debitamente, come si legge nel Vangelo: "Quelli
che adorano Dio, lo devono adorare in spirito e verità", è logico
che la generosità divina a chi riceve il carattere conceda anche la
grazia per assolvere degnamente il compito assegnato. Perciò la
sede da attribuire al carattere è da ricercarsi più in relazione agli
atti concernenti il culto divino che in relazione alla grazia.
2. L'essenza dell'anima è il soggetto delle potenze naturali che
derivano dai principii dell'essenza stessa. Ma il carattere non è
un potere naturale, bensì un potere spirituale che viene dal di fuori.
Perciò, come l'essenza dell'anima, fonte della vita naturale dell'uomo, viene perfezionata dalla grazia che le dona la vita
spirituale; così le potenze naturali dell'anima vengono perfezionate
dalla potenza o potere spirituale che è il carattere. Gli abiti e le
disposizioni infatti risiedono nelle potenze dell'anima, proprio
perché sono ordinati agli atti, che hanno il loro principio nelle
potenze stesse. Per la stessa ragione tutto ciò che è ordinato all'atto è da attribuirsi alle potenze.
3. Il carattere riguarda, come abbiamo detto, gli atti che sono
propri del culto divino. Ora, questo equivale a una professione
di fede manifestata con segni esterni. Ne segue perciò che il carattere risieda nella potenza conoscitiva in cui risiede la fede.
ARTICOLO 5
Se il carattere rimanga nell'anima in maniera indelebile
SEMBRA. che il carattere non rimanga nell'anima in maniera
indelebile. Infatti:
1. Un accidente più è nobile, più è duraturo. Ma la grazia è
più nobile del carattere, perché il carattere è ordinato alla grazia
come a un fine superiore. Ora, la grazia si può perdere con il peccato. Tanto più dunque il carattere.
2. Il carattere è una iniziazione dell'uomo al culto divino, come
abbiamo spiegato. Ma alcuni dal culto divino passano al culto
contrario con l'apostasia della fede. Costoro quindi perdono il
carattere sacramentale.
3. Cessando il fine deve cessare anche ciò che
era ordinato al
fine, perché non avrebbe più scopo: dopo la risurrezione finale,
p. es., non ci sarà più il matrimonio, perché non ci sarà più la generazione, che è il fine del matrimonio. Ma il culto esterno cui è
ordinato il carattere verrà a cessare nella Patria, dove il simbolo,
o figura lascerà il posto alla nuda verità. Dunque il carattere
sacramentale non rimane per sempre nell'anima. Quindi non è
indelebile.
IN CONTRARIO: S. Agostino osserva che
"i sacramenti cristiani
non lasciano minore traccia del carattere militare impresso sul
corpo". Ma il carattere militare non viene rinnovato, bensì "riconosciuto e confermato" in colui che ottiene dall'imperatore il
perdono dopo la colpa. Perciò neppure il carattere sacramentale può
essere cancellato.
RISPONDO: Come abbiamo detto, il carattere sacramentale è
una partecipazione del sacerdozio di Cristo concessa ai suoi fedeli:
infatti come Cristo ha la piena potestà del sacerdozio spirituale, così i suoi fedeli si configurano a lui, nel partecipare in qualche
misura i poteri spirituali relativi ai sacramenti e alle altre funzioni
del culto divino. Per questo a Cristo non si attribuisce il carattere,
ma i poteri del suo sacerdozio stanno al carattere come un tutto
perfetto sta alla sua partecipazione. Ora, il sacerdozio di Cristo
è eterno, secondo le parole del Salmista: "Tu sei sacerdote in
eterno secondo l'ordine di Melchisedech". Ecco perché ogni consacrazione che viene fatta in virtù del suo sacerdozio, finché dura
la cosa consacrata, è permanente. Ciò avviene persino nelle cose
inanimate: la consacrazione, p. es., di una chiesa o di un altare
dura per sempre, se essi non vengono distrutti. Ora, poiché soggetto del carattere, come abbiamo visto, è la parte intellettiva
dell'anima in cui risiede la fede, è evidente che essendo l'intelletto
perpetuo e incorruttibile, anche il carattere rimane nell'anima in
maniera indelebile.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Grazia e carattere risiedono
nell'anima in maniera diversa. Infatti la grazia è nell'anima come
una forma dotata di intrinseca completezza; il carattere invece
vi risiede, e l'abbiamo già detto, come una virtù strumentale. Ora,
una forma completa risiede nel suo soggetto partecipandone le
condizioni. E poiché l'anima, fin tanto che si trova nello stato di
via è mutevole nel suo libero arbitrio, ne segue che la grazia si
trovi nell'anima in modo mutevole. Al contrario la virtù strumentale segue le condizioni dell'agente principale. E quindi il
carattere rimane nell'anima indelebilmente, non per la sua perfezione,
ma per la perfezione del sacerdozio di Cristo, da cui deriva come
una virtù strumentale.
2. S. Agostino risponde, che
"neppure gli apostati vengono a
perdere il battesimo, infatti quando si pentono non lo ricevono
una seconda volta; di qui la convinzione che esso non si può perdere". La ragione di ciò sta nel fatto che il carattere è una virtù
strumentale, come abbiamo detto; ora, l'essenza dello strumento
consiste nell'esser mosso da un altro e non nel muoversi da se stesso volontariamente. Perciò, per quanto la volontà compia atti
contrari, il carattere non viene cancellato data l'immutabilità dell'agente principale.
3. Dopo questa vita, sebbene non rimanga il culto esterno,
rimane tuttavia il fine di tale culto. E quindi resta il carattere
nei buoni a loro gloria e nei cattivi a loro ignominia, come nei soldati il carattere militare si conserva anche dopo la vittoria; nei
vincitori come titolo di gloria e nei vinti come pena.
ARTICOLO 6
Se il carattere venga impresso da tutti i sacramenti della nuova legge
SEMBRA che tutti i sacramenti della nuova legge imprimano il
carattere. Infatti:
1. Tutti i sacramenti della nuova
legge rendono partecipi del
sacerdozio di Cristo. Ma il carattere sacramentale, come abbiamo
notato, non è altro che una partecipazione del sacerdozio di Cristo.
Dunque tutti i sacramenti della nuova legge imprimono il carattere.
2.
Il carattere compie nell'anima in cui risiede quello che la
consacrazione compie nelle cose consacrate. Ma da ogni sacramento
della nuova legge l'uomo riceve la grazia santificante, come abbiamo detto.
Dunque da ogni sacramento della nuova legge si riceve
il carattere.
3.
Il carattere è res et sacramentum. Ma in ciascun sacramento
della nuova legge c'è qualche cosa che è soltanto res, qualche cosa
che è soltanto sacramentum, e qualche cosa che è res et sacramentum. Dunque
ciascun sacramento imprime il carattere.
IN CONTRARIO: I sacramenti che
imprimono il carattere, non si
ripetono, perché il carattere è indelebile, come abbiamo detto. Ma
alcuni sacramenti si possono ripetere, per es., la penitenza e il
matrimonio. Quindi non tutti i sacramenti imprimono il carattere.
RISPONDO: Dicevamo sopra che i sacramenti hanno due scopi:
la riparazione del peccato e il culto divino. Ebbene fornire un
rimedio contro il peccato è cosa comune a tutti i sacramenti, per
ciò stesso che conferiscono la grazia. Non tutti i sacramenti invece
sono direttamente ordinati al culto divino: ciò è evidente nel caso
della penitenza che libera l'uomo dal peccato, ma non gli offre
nessun nuovo potere per il culto divino, restituendolo soltanto allo
stato di prima.
Ora, un sacramento può essere ordinato al culto divino in tre
modi: primo, per la natura stessa del suo atto: secondo, preparando i ministri; terzo, predisponendo a ricevere altri sacramenti.
Per la natura stessa dell'atto appartiene al culto divino l'Eucaristia, in cui il culto divino ha la sua principale espressione, essendo
essa il sacrificio della Chiesa. Ma da questo sacramento non viene
impresso il carattere: perché con esso il fedele non viene ordinato
ulteriormente a fare o a ricevere qualche cos'altro nell'ambito dei
sacramenti, essendo esso piuttosto "il termine e il coronamento
di tutti i sacramenti", come si esprime Dionigi. Contiene però in
sé realmente il Cristo, in cui risiede non il carattere, ma tutta la
pienezza del sacerdozio.
Ai ministri dei sacramenti è riservato il sacramento dell'ordine,
perché con questo gli uomini ricevono l'ufficio di comunicare i
sacramenti agli altri. A coloro poi che son deputati a riceverli
spetta il battesimo, perché con esso l'uomo acquista la facoltà di
ricevere gli altri sacramenti della Chiesa: il battesimo infatti è
chiamato "la porta di tutti i sacramenti". In qualche modo è
identico lo scopo della confermazione, come vedremo in seguito.
Ecco perché questi tre sacramenti, battesimo, confermazione e
ordine, imprimono il carattere.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ:
1. Tutti i sacramenti rendono
l'uomo partecipe del sacerdozio di Cristo, in quanto gli comunicano qualche suo effetto: non tutti i sacramenti però gli
conferiscono il potere di agire o di ricevere in atti relativi al culto proprio
del sacerdozio del Cristo. Il che è indispensabile perché un sacramento imprima il carattere.
2. Tutti i sacramenti santificano l'uomo in quanto gli
conferiscono la mondezza dal peccato ottenuta per mezzo della grazia.
Ma l'uomo viene santificato in modo particolare con una specie
di consacrazione a opera di alcuni sacramenti, che imprimono il
carattere, appunto perché viene deputato al culto divino: come
le stesse cose inanimate si dicono consacrate in quanto vengono
destinate al culto divino.
3. È vero che il carattere è res et sacramentum; però non segue
che in tutti i casi la res et sacramentum sia il carattere. Diremo
in seguito che cosa sia la res et sacramentum negli altri sacramenti.
|